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Reddito di cittadinanza: l’incubo dei padroni

di Fabrizio Fratus - 19/05/2015

Fonte: IlTalebano


Un tema che non passa mai di moda

Tutti parlano del reddito di cittadinanza. Da ultimo, l’aspirante premier Matteo Renzi, che lo ha definito “la negazione dell’Articolo 1 della Costituzione” (allora ben venga, aggiungiamo noi). Dimostrando ancora una volta all’elettorato di sinistra che in lui si riconosce, di non essere altro che berlusconiani pre-outing… si mettano il cuore in pace.

Di Reddito di cittadinanza, si parla molto e spesso viene attaccato… ma cos’è e a cosa serve? Va subito chiarito che il reddito di cittadinanza (RdC) non è il reddito minimo garantito (RMG) come molti confondono: il primo è un sussidio universale incondizionato, ricevuto da tutti per un tempo indefinito e a prescindere dalla specifica ricchezza, lo si riceve in relazione al fatto di essere cittadini; il secondo è un tipo di sussidio universale, ha regole valide per tutti ed è destinato solo ad alcuni (vedasi chi perde il lavoro).

Il RdC, come detto sopra, è un sussidio non subordinato alla situazione economica dell’individuo, ogni persona ne ha diritto, l’importo del contributo è uguale per tutti gli individui e il suo finanziamento si realizza chiedendo maggiore contributo a coloro che hanno maggiore disponibilità (il suo finanziamento si ottiene grazie ad un contributo sociale sul reddito da capitale). Il grande vantaggio è che il RdC non influenza la decisione sulla scelta del lavoro come invece si verifica con il reddito minimo garantito. Lo scopo principale è di fornire una somma di denaro che permetta di partecipare alla società in modo dignitoso. I diversi redditi che il cittadino riesce ad ottenere grazie a lavoro, patrimonio, pensione o altro si sommano al RdC.

Da alcuni anni, in tutta Europa, si sta sviluppando la discussione di questa nuova metodologia per dare dignità ai cittadini. Essendo indipendente dal salario, sostituisce tutte le forme di indennizzo derivanti dalla perdita del posto di lavoro (cassa integrazione, sussidi di disoccupazione, prepensionamenti, ecc.). E’ un’ottima metodologia per garantire una maggiore coesione, prevenendo la povertà e l’esclusione sociale, non essendoci più la garanzia per cui un lavoro possa garantire la partecipazione al benessere economico e sociale. Sempre più persone, anche lavorando, rimangono sotto la soglia di povertà e ciò crea disgregazione e diverse malattie di tipo depressivo. Malattie che poi, ovviamente, si ripercuotono sulla comunità sia sotto forma economica che di sicurezza. Dando a tutti i cittadini una disponibilità di base per garantirsi la sopravvivenza, si sottraggono gli stessi alla necessità di sottomettersi a condizioni lavorative al limite della schiavitù.

Quanto alle forme di finanziamento, si è parlato di azioni su molteplici fronti, se si pensa al risparmio in ambito sanitario e di assistenza sociale che comporterebbe, capiamo come la cosa sia fattibile. Quanto al disincentivo al lavoro, avverrebbe solo nel caso in cui la somma garantita fosse talmente alta da renderne superflua l’integrazione (in Alaska, già dagli anni’80, è stato introdotto con un importo di 2.000 dollari annui, recuperando le risorse dai benefici economici derivati dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi). Inoltre, questo strumento porterebbe benefici in termini di lavoro e di occupazione, aumentando la disponibilità monetaria da parte dei cittadini che fa crescere i consumi, causando a sua volta un aumento della domanda sui beni e quindi anche un aumento di impieghi.

Dunque, uno strumento di ricollocazione e redistribuzione delle ricchezze prodotte, che libera l’uomo dalla schiavitù salariale, combattendo lo sfruttamento del lavoro presente nelle società di stampo capitalista. Restituendo al lavoro il suo significato più ampio e nobile. Restituendo all’uomo la possibilità di scegliere. Ecco perchè fa paura ai padroni… e ai loro pupazzi.