Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / In un mondo di emergenze continue in realtà non accade mai niente

In un mondo di emergenze continue in realtà non accade mai niente

di Gianni Vattimo e Santiago Zabala - 14/07/2015

Fonte: La Stampa



Leggiamo, sui giornali e sul web, che esiste un nuovo movimento filosofico chiamato «nuovo realismo» o «realismo speculativo». I suoi principali fautori sono giovani filosofi europei come Quentin Meillassoux e Gabriel Markus, tra gli altri. Contro l’idealismo, la fenomenologia e l’ermeneutica sostengono che sia possibile accedere alle qualità primarie del mondo come se esistesse per se stesso, senza dipendere dal linguaggio e dall’interpretazione. Vogliono tornare al Grande Di Fuori (le Grand Dehors) che è costituito di oggetti indipendenti, cioè «una realtà mai esaurita da alcuna relazione con gli esseri umani o con altre entità», come spiega il filosofo americano Graham Harman.
Secondo questi pensatori, siamo stati troppo a lungo imprigionati dalla «svolta linguistica» e dal conflitto delle interpretazioni, per cui l’esistente è soltanto la correlazione con un soggetto che lo concepisce. La filosofia della svolta linguistica ha negato al pensiero qualsiasi accesso razionale alle cose in se stesse, dando risalto a discorsi senza fondamento sulle opere d’arte, le credenze religiose e persino sugli animali.
Contro questi studi i «nuovi realisti» sostengono che si debba tornare all’assoluto pensato come realtà fisica. In altre parole, credono in una realtà indipendente da noi, che soltanto la matematica può spiegare, sebbene, come ha sottolineato Slavoj Zizek qualsiasi «campo di “realtà” (qualsiasi ”mondo”) è già sempre strutturato, visto attraverso un’invisibile cornice». Ma questo ritorno alla realtà sarà in grado di guidare le nostre esistenze individuali o sociali?
Non ci interessa valutare se questi filosofi dicano davvero qualcosa di nuovo, in filosofia cosa sempre sospetta, piuttosto vogliamo capire che cosa si nasconde dietro il loro approccio teoretico. E’ curioso, come fa notare il filosofo britannico Simon Critchley, «che mentre un ceppo della filosofia anglo-americana (si pensi a John McDowell e Robert Brandom) adotta punti di vista di Kant, di Hegel e Heidegger, arrivando persino a flirtare con certe forme di idealismo, gli ultimi sviluppi della filosofia continentale siano un ritorno a un realismo cartesiano che si riteneva morto e sepolto».
Sebbene questi «nuovi» filosofi giustifichino il loro credo teoretico in forme diverse, spesso da un punto di vista matematico, in modo da dimostrare - nonostante Thomas Kuhn - la supposta stabilità della comprensione scientifica del mondo, crediamo che la loro opera faccia parte di un globale richiamo all’ordine. Tutto questo non è molto diverso, come ricorda il filosofo americano Arthur C. Danto da «ciò che dopo la Prima Guerra mondiale fu chiamato in Francia “rappel à l’ordre”, un richiamo all’ordine, in cui gli artisti dell’avanguardia furono invitati a mettere da parte i loro esperimenti e a rappresentare le cose in modi che potessero rassicurare chi aveva visto il proprio mondo devastato dalla guerra». Ma che cosa significa ordine nel XXI secolo, dopo la fine del comunismo, delle ideologie e della stessa storia?
Al contrario di quanto ci si possa in un primo tempo aspettare, quest’ordine non si riferisce a una realtà che debba essere rispettata o imposta, ma a una assenza di eventi ed emergenze che sembra costituire la condizione del nostro mondo globalizzato. Sebbene la nostra vita quotidiana e i giornali siano pieni di «eventi» ed «emergenze», l’impressione dominante dei cittadini dei paesi industrializzati è che non accada più nulla: la realtà è fissata e stabile. L’assenza di emergenza è la conseguenza di un mondo dove la politica, la finanza e la cultura sono state incapsulate in parametri prestabiliti. Il problema non è soltanto che questi parametri siano stati decisi in precedenza, ma piuttosto che sono stati concepiti per salvarci dalle emergenze, da tutto ciò che emerge come differente. Le differenze escluse includono le alternative politiche, come il movimento Occupy, la riforma globale della finanza come chiede Piketty, o la sopravvivenza delle facoltà umanistiche nelle università. Forse la partecipazione dei cittadini al voto, le richieste dei governi di mettere fine alle politiche di austerità della Bce, la partecipazione degli intellettuali alla sfera pubblica, stanno declinando in tutta l’Europa perché domina una generale rassegnazione, che nemmeno una crisi economica come quella che stiamo vivendo riesce a scalfire. Come dovremmo rispondere a queste condizioni se non interessandoci alla realtà?
Il nuovo realismo «orientato verso gli oggetti» ci chiede di accettare quest’assenza di emergenza e di comportarci di conseguenza. Dopo tutto, quando accettiamo che il mondo com’è in se stesso è il nostro stesso mondo, affidiamo alla matematica e alla fisica il compito di formulare una corretta ontologia della natura. Chiunque non si sottometta all’attuale assenza di emergenza sbaglia, o peggio sta dalla parte sbagliata della realtà, se non dalla parte sbagliata del confine. Questo non concerne solo la filosofia ma la sociologia, la psicologia e l’economia, così strettamente legate ai loro osservatori, agli interpreti, alle comunità in cui operano. E sono proprio queste comunità che si perdono appena torniamo alla «realtà» per sottometterci ad essa. Invece di stringere le corde dell’ordine sociale che accompagna l’assenza di emergenze della realtà, è necessario indebolire ulteriormente quest’ordine, perché «l’unica emergenza è l’assenza di emergenza», come ha detto Heidegger.