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La radice del problema è la finanza

di Francesco Lamendola - 14/09/2015

Fonte: Il corriere delle regioni



 

Povero Viktor Orban, col suo patetico muro, che non è nemmeno un muro, e che già l’universo mondo politicamente corretto ha bollato come il muro della vergogna e dell’infamia (assai meno si parla del muro di Israele contro i Palestinesi: quello non è politicamente scorretto): passano sotto i reticolati, spingono, urlano, pregano, implorano, bestemmiano, e alla fine lo superano.

Povero Matteo Salvini, con le sue frasi ad effetto, i suoi atteggiamenti da uomo duro, i suoi ritornelli accalappia voti: dal Vaticano fino a Sinistra, Ecologia e Libertà, sono tutti d’accordo di sparare su di lui: il cinico, il razzista, il cattivo, il reazionario, l’ottuso, l’antimoderno, il nostalgico dell’autarchia di mussoliniana memoria, il bersaglio preferito dei comici progressisti e buonisti.

E povero cittadino comune, ungherese o italiano, greco o francese, tedesco o svedese: nessuno gli ha domandato cosa ne pensa, gli hanno cambiato la vita senza che neppure se ne rendesse conto, come si sfila la sedia da sotto il sedere di un bonaccione un po’ addormentato, un po’ sventato, e poi ci si fa quattro risate allorché questi si rende conto di essere seduto sul nulla, e annaspa.

Gli hanno tolto la sovranità e gli hanno imposto l’accoglienza indiscriminata di milioni di stranieri: così non è più padrone né dei suoi risparmi, né della sua città, del suo quartiere, della sua casa. È rimasto lì, come un allocco, con quattro pezzi di carta in mano che rappresentano la sua vita di lavoro, ma che forse non valgono più nulla; e con una casa, un quartiere, una città che gli son cambiati sotto gli occhi nello spazio di pochi anni e ormai è come se vivesse al Cairo o a Baghdad.

Intanto, il suo vicino di casa si è appena sposato: con un altro uomo. A scuola, i suoi figli e i suoi nipoti apprendono, dalla maestra, con tanto di filmini e di “schede didattiche”, che non esistono due sessi, ma cinque orientamenti sessuali; e che l’amore omosessuale è la cosa più normale che ci sia, e che il relativo matrimonio, con tanto di figli adottivi, è  il sacrosanto diritto che logicamente ne deriva; e che, a parlare in altro modo, si rischia la denuncia, la multa e, forse, il carcere.

Eppure, sia la questione dei cosiddetti migranti, sia quella relativa alla istituzionalizzazione dell’omosessualità, altro non sono che due aspetti collaterali di un problema molto più ampio, molto più profondo, che parte da lontano: ed è proprio la miseria intellettuale e la carenza culturale dei nostri governanti, per non parlare dei sedicenti intellettuali (i peggiori di tutti: i più servi, i più faziosi, i più venalmente interessati a propagandare la menzogna) a far sì che le singole questioni appaiano slegate l’una dall’altra, e le si affronti (o non affronti) come se fossero capitoli distinti.

In principio c’era la finanza: una finanza sempre più vorace, che è cresciuta e che continua a crescere in progressione esponenziale, irresistibile, geometrica: è essa la madre di tutti i problemi nei quali ci stiano dibattendo, dalle migrazioni dei popoli al dilagare del relativismo etico, dal buonismo a senso unico allo sfaldamento della famiglia, dell’amicizia, del tessuto sociale. Sono tutti effetti dello strapotere della finanza: effetti in gran parte voluti e scientificamente pilotati; in qualche caso, però, non voluti né previsti, ma egualmente inevitabili.

La finanza moderna ha un luogo e una data di nascita: Londra, 1694: fondazione della Banca d’Inghilterra. A partire da quel momento tutti i meccanismi della modernità sono stati organizzati e orientati secondo gli interessi della finanza, ossia dell’economia speculativa, e non più della produzione, del lavoro, dell’economia reale. A partire da quella data, il banchiere ha preso gradualmente il controllo di tutte le società, di tutti gli stati, di tutte le economie, e ha imposto i suoi uomini, le sue regole, le sue logiche (perverse). Tutto è stato subordinato ad essa, tutto è stato pensato, fatto e disfatto in funzione di essa: guerre e rivoluzioni, crisi economiche e scoperte scientifiche, innovazioni tecnologiche e movimenti culturali, artistici, letterari, filosofici. Lo sport, la danza, la televisione, l’università, l’impresa, le pensioni, l’ecologia (o la sua negazione), il risparmio, la catena di montaggio, i romanzi, la bioingegneria: tutto è stato piegato ai suoi voleri.

Non solo: la finanza, padrona dell’informazione e dell’istruzione, ha squalificato ogni critica nei suoi confronti con il marchio d’infamia della schizofrenia, della paranoia, del complottismo. Ogni voce realmente critica è stata spenta, ridotta al silenzio (nel modo più semplice: negandole l’accesso ai grandi mezzi di comunicazione); screditata con la tecnica di mescolarla con delle teorie francamente balzane; ridicolizzata sistematicamente. Chi parla della finanza mondiale e della sua dittatura, chi parla del gruppo Bilderberg o della Commissione Trilaterale, subito viene zittito rinfacciandogli la credenza nelle scie chimiche o nelle basi aliene sotterranee. Nessun analista, nessuno studioso serio osa più avanzare critiche globali alla finanza, per timore del ridicolo che lo escluderebbe per sempre dai salotti televisivi, dalla stampa e dalle grandi case editrici, per non parlare delle cattedre universitarie e delle poltrone delle grandi istituzioni scientifiche.

Così, ci si perde nei dettagli, nelle diatribe sui singoli problemi: e non si coglie la loro profonda, intima connessione. Ci si divide fra buonisti e insensibili, fra progressisti e retrogradi, fra laici e oscurantisti: si litiga, ci si accapiglia per delle questioni di principio; e intanto ci viene sottratta la sovranità monetaria, poi la sovranità tout-court, infine la capacitò di decidere il nostro futuro. Ci viene imposta un’Europa che è diventata un’Eurabia: con tutto rispetto per gli Arabi. E ci viene imposto un omosessualismo che scardina dalle fondamenta il senso stesso della famiglia umana: con tutto rispetto per gli omosessuali. Si cambiano le regole, si cambiano i valori, silenziosamente; o, meglio ancora, i poteri forti pretendono che si prenda atto del cambiamento, anche se nessuno è stato coinvolto, interpellato, ascoltato.

I nostri politici illuminati ed accoglienti ripetono al comune cittadino che deve essere ospitale, che deve fare spazio a qualche altro milione d’immigrati: tanto, loro non hanno idea di che cosa voglia dire vivere in un quartiere degradato, in una città degradata, pieni di spacciatori e prostitute, terrorizzati dalla piccola criminalità, sempre più feroce e incontrollabile. Nelle loro belle ville, nei loro palazzi con tanto di camerieri, cuochi e giardinieri, né i ministri, né i monsignori che predicano l’accoglienza e che rimproverano la durezza di cuore dei loro concittadini, devono mai fare i conti con la sporcizia, l’insicurezza, la paura. Non sono problemi loro: a loro incombe solamente l’onere di fare dei bei discorsi, di catechizzare con le tele-prediche.

Il lavoro scarseggia, e scarseggerà sempre di più: ma che importa? L’importante è che la finanza aumenti i suoi profitti. I giovani non trovano sbocchi, non hanno prospettive: ma che importa? I figli dei ministri e i nipoti dei monsignori se ne vanno all’estero e si costruiscono carriere prestigiose e strapagate. Il numero dei disoccupati e dei piccoli imprenditori rovinati dalle tasse continua ad aumentare, e così la percentuale di coloro che si tolgono la vita per la disperazione: ma che importa? L’importante è preoccuparsi per gli stranieri, per i migranti, per gli invasori: sono loro i più deboli, è loro che bisogna aiutare, è per loro che bisogna stringersi. Dei nostri poveri, chi se ne frega? Né i politici, né i monsignori, si sono mai dati tanta pena per essi: ci penserà la Provvidenza; siamo o non siamo tutti figli del buon Dio?

Intanto si distruggono le ultime foreste, si surriscaldano ulteriormente le nostre città, si immettono nell’atmosfera quantità industriali di sostanze chimiche di scarico; si rovesciano sui campi di grano, sui vigneti, sui frutteti, milioni di tonnellate di veleni, per la gioia della nostra salute e della nostra speranza di vita; si manipola il Dna delle creature viventi, si clonano gli animali, si mescolano geni di specie animali e vegetali, si progettano chimere, mostri e superuomini; si fecondano donne con il seme di mariti e amanti deceduti, si trasformano chirurgicamente donne in uomini e uomini in donne, si immolano decine di milioni di animali per vedere in quanto tempo impazziscono o quanta porzione di cervello bisogna asportare loro perché, finalmente, muoiano: e tutti questo in nome della scienza e del progresso, cioè del Bene.

E guai ad avanzare dubbi, guai a non mostrarsi entusiasti di simili, esaltanti prospettive: si rischia la scomunica e la condanna inappellabile: la condanna al silenzio. Nella società della comunicazione esasperata e compulsiva, chi non va in televisione, chi non firma i pezzi sui maggiori quotidiani, è come se fosse morto. Preferirebbe essere morto, anzi, piuttosto che subire un simile destino. Perché questo è diventato il nostro punto debole, il nostro tallone d’Achille: la vanità. Più ancora che il denaro, è il successo l’arma che ci minaccia costantemente: e noi subiamo il ricatto.

La radice del problema è la finanza, ma la finanza è matematica, è una cosa complicata; e, come se non bastasse, è una cosa che sembra lontana e inafferrabile, è ovunque e in nessun posto: e, come tutte le cose misteriose ed elusive, sembra infine che non sia, che non possa rappresentare un gran pericolo per noi. Un leone affamato che ci viene incontro ruggendo, è pericoloso; un caro armato che avanza sui cingoli, con il cannone spianato; un aereo da bombardamento che sgancia il suo rosario di morte, queste sono cose pericolose: ma la finanza? Che cosa abbiamo da spartire, noi, comuni mortali, con la finanza? Noi, che abbiamo solo una modesta casa e qualche euro di risparmio in banca? Noi, che ci riteniamo già straricchi se possiamo concederci una vacanza di otto giorni, invece che di quattro; che ci sembra di dilapidare i soldi, se ci decidiamo ad acquistare una nuova automobile, dopo aver speso un sacco di soldi per far riparare la vecchia: in che modo possiamo essere minacciati dalla finanza, noi moscerini, noi lillipuziani?

Eppure la finanza è un mostro che non disprezza e non trascura nulla, neppure i moscerini e i lillipuziani. Ogni euro di risparmio, ogni casetta lasciata in eredità dai genitori ai figli dopo una vita di lavoro, ogni singolo scontrino fiscale rilasciato dal barbiere, dal panettiere, dal calzolaio: tutto va bene, tutto fa brodo, tutto concorre alla sua crescita smisurata, ai suoi appetiti cannibaleschi, ai suoi pasti pantagruelici. Non spreca nulla, non butta via nulla, lei: perfino i soldi del racket, persino i proventi della droga, tutto è calcolato, tutto è incanalato nel gigantesco imbuto che porta verso il collettore mondiale; come da mille e mille fiumi e torrenti, i salari e le pensioni di sette miliardi di persone concorrono alla ricchezza  inconcepibile di poche centinaia.

La finanza sembra innocua: non la si vede, non è opprimente, non è invasiva; vive e ci lascia vivere; in fondo, è buona, o, almeno, la si può considerare umana. O no? Sì, è vero: controlla la pubblicità e le bollette, i governi e le grandi organizzazioni sovranazionali; mette al posto giusto i suoi uomini, sulle poltrone più alte, nelle posizioni più importanti; ma insomma, bisogna pur fidarsi un poco, non si può mica vivere nella cultura del sospetto. Non bisogna pensare troppo male della finanza: che cosa sarebbe di noi, senza di lei? Chi finanzierebbe le campagne contro la fame nel mondo? Chi finanzierebbe le ricerche contro il cancro? E chi finanzierebbe le fondazioni culturali, che ci permettono di ascoltare a viva voce la conferenza del pensatore o del sociologo o dell’autore di best-seller di turno?

Via, bisogna pure ammetterlo: siamo fortunati che la finanza c’è. È la finanza che sovvenziona gli studi, i sondaggi, le ricerche, le previsioni, le inchieste; che colma i deficit di bilancio delle fondazioni private e delle università statali; che promuove i Rotary, che dà smalto al sapere. Non bisogna vedere tutto nero, non bisogna gridare sempre al lupo; non si deve fare del terrorismo psicologico. Avremo pure il diritto di vivere in santa pace e di dormire sonni tranquilli.

Nel frattempo, l’Europa è diventata l’Eurabia; la famiglia è diventata la convivenza di due omosessuali; la ricerca scientifica è diventata la fabbricazione di mostri viventi; la chiesa, una società per azioni che predica bene e razzola male; e la filosofia… è diventata il regno di tutte le fumisterie, di tutte le astruserie, di tutte le farneticazioni possibili. Oh, ma con criterio, secondo una precisa tabella di marcia e uno scopo ben definito: la distruzione capillare, sistematica, implacabile, di ogni residuo di logica e di buon senso, di ogni parvenza di liberi arbitrio. Un mare di chiacchiere nel cui apparente disordine c’è una finalità ben precisa e chiarissima (per chi la vuol vedere): l’instaurazione del relativismo assoluto, sotto le cui bandiere chiunque potrà proclamare, senza timore di contraddittorio, che il nero è bianco e che il bianco è nero; che il bello è brutto e il brutto, bello; che il vero è falso e il falso, invece, verissimo.

Come se ne esce?

In primo luogo, con la consapevolezza.

In secondo luogo, adottando uno stile di vita coerente con la rinnovata consapevolezza.

La finanza è un mostro fatto di aria: se le persone smettono di alimentarla con i loro stili di vita sbagliati e distruttivi, essa si esaurisce e muore.

O forse non ne usciremo affatto: bisogna pur essere realisti. Ciò non significa che non si debba lottare; sarebbe troppo comodo. Accarezzerebbe troppo la nostra pigrizia, la nostra mollezza. Perché il potere finanziario ci ha rammolliti, oltre che incretiniti. Una ragione in più per ridestarsi…