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Walt Disney: un modernista reazionario

di Marco Managò - 09/11/2006


Alessandro Barbera, pubblicista, insegnante di materie giuridiche, è l’autore di un interessante saggio, pubblicato da Stampa alternativa nel dicembre 2001, in cui si analizza la figura del noto disegnatore americano, della sua ideologia (poco nota e spesso travisata) e dell’influenza che ebbero i suoi personaggi.
Il peso che rivestono tali protagonisti disneyani non è di poco conto, considerando l’estensione temporale e spaziale che possiedono; accanto alle innocue figure di topi e altri animali si può scorgere un mondo piuttosto ampio, di notevole persuasione, definita dallo stesso Barbera “… seconda solo a quella della Chiesa cattolica”.
L’arco di tempo contrassegnato dalla figura di Topolino è vasto e si snoda per tutto il secolo precedente, attraversando belliche epopee e radicate ideologie di massa.
Spiega ancora l’autore, “Walt Disney ha creato un mondo su presupposti arcaici e contemporaneamente ha vissuto nella paura di vederlo annientato da agenti nemici. Da ciò il suo anticomunismo ‘viscerale’. In più è stato un ‘conservatore-rivoluzionario’, un ‘modernista reazionario’, per estensione un ‘fascista’. Non è stato invece o lo è stato solo per riflesso, un propagandista della american way of life. Con l’America ha avuto un rapporto simile, fatte le debite differenze, a quello di Ezra Pound. L’America gli piaceva, ma l’avrebbe voluta diversa”.
Le prime e pressanti critiche all’opera disneyana sono giunte dagli ambienti di sinistra, preoccupate di sanzionare quel paladino dell’America capitalista e imperialista. Fedeli ai dettami marxisti, di condanna delle sovrastrutture culturali occultatrici dell’apparato economico, si puntava il dito sulla strategia mediatica di diffusione dello stile di vita americano, a cominciare da quello rooseveltiano (del quale, in realtà, Disney ne espresse i caratteri pur non aderendovi).
Per considerare l’opera disneyana non si possono escludere i contributi offerti dalle fiabe, vera e propria trasposizione dell’ideologia del disegnatore, dal forte contenuto esoterico.
Il libro si sviluppa attraverso un bilancio dei più significativi interventi riguardo la figura degli eroi di Disney, a cominciare dalle valutazioni, a metà degli anni ’60, del noto psicologo Antonini, reo di non aver scorto proprio la distinzione essenziale tra fumetti e cartoni animati.
La critica di Antonini, sull’onda dell’antiamericanismo paventato dagli intellettuali del tempo, rimprovera Disney per aver ignorato le problematiche correnti: i conflitti sociali, la lotta di classe, nonché l’aspetto religioso. Lamenta, inoltre, una scarsa aderenza dei personaggi alla realtà del tempo, alle tematiche sessuali, persistendo un mondo ovattato di paperi e topi, in cui si parla di nipoti (e non figli) e di eterne fidanzate.
Un contributo di Umberto Eco, posteriore di pochi anni, inviterà a comprendere l’enormità del colosso imprenditoriale disneyano e suggerirà di formulare giudizi senza scadere in forzature e dietrologie che rischiano di diventare ridicole.
La necessità di dover comunque dare spiegazioni a un mondo così vasto di fumetti e cartoni, rischia di generare valutazioni piuttosto corpose. L’innocua e materna Nonna Papera viene così descritta da Antonini << … “la grande madre. Vi è in lei la frigida, affettuosa-possessiva-dominatrice forza della virago del vecchio West pionieristico e intrepido”. Ella è indubbiamente frigida: simbolo e archetipo di quel tipo di mulier anglica “vergine-madre”, che sostenne il peso della famiglia nel lontano pionierismo… >>
La critica a Disney trova il culmine della condanna in una sorta di convegno-processo che si tiene a Verona nel 1969 (tre anni dopo la morte di Disney), in cui il creatore di Topolino viene messo alla gogna non soltanto per l’ideologia trasmessa ma anche per le doti professionali di disegnatore.
Le contraddizioni degli esperti raggiungeranno il limite nell’analizzare la figura di Paperino, giudicato prima un essere dotato di eccessivo odio, poi valutato per l’accusa opposta. Alcuni vedranno nel papero ribelle una sorta di contestatore della società del tempo, altri ne valuteranno l’opportunismo, la furbizia di un profittatore inserito in una comunità che accetta, in quanto, da parassita, gli permette di vivere senza lavorare.
Nei primi anni ’70, due autori cileni, Dorfman e Mattelart, sulla scia del nuovo governo guidato da Allende, volto all’epurazione dei fumetti di Disney, compiono un violento attacco al disegnatore. Una valutazione parziale, la loro, per l’atavico vizio di escludere i cartoni animati e di concentrare l’attenzione esclusivamente su Paperino e sul suo celeberrimo disegnatore, Carl Barks. Il perno della loro critica è sulla mancata predisposizione dei disegnatori riguardo la lotta di classe e le contraddizioni capitalistiche.
La loro analisi, che in più non distingue da produzioni non necessariamente statunitensi, ignora, invece, le critiche poste da Barks alla società moderna, al progresso esasperato e alla sperequazione della ricchezza, della quale Paperone ne simboleggia la sarcastica rappresentazione.
Altro rimprovero mosso è quello di ignorare l’eros, di rappresentare solo nipoti e non figli (atto proletario, quest’ultimo), distorcendo il reale rapporto che si crea tra genitore e prole e utilizzando l’infanzia non per rappresentarla nella sua interezza ma solo per addolcire strumentalmente il mondo degli adulti.
Paperino, Barks e Disney rappresentano una regressione culturale e debbono quindi essere rifiutati.
Le ripercussioni di tali condanne trovano riscontro in Italia, dove, però, alcuni autori cercano di trovare, comunque, in Barks una critica del sistema capitalistico quanto di quello rivoluzionario sovietico e, colgono nel difficile rapporto Paperone-Paperino una sorta di conflitto sociale tra classe padronale e proletariato.
La dietrologia promossa dai critici di Topolino sfiora l’esagerazione, scorgendo valutazioni di carattere epocale anche quando i disegnatori sono stati mossi da circostanze del tutto casuali e occasionali. Tali esternazioni trovano la loro massima espressione nel 1978, in occasione del cinquantesimo anniversario della nascita di Topolino. Ci si arrabatta per scorgere le inclinazioni politiche del famoso topo e del suo creatore, altrettanto noto, individuando una palese adesione al maccartismo statunitense. Si mette in discussione anche la paternità stessa di Topolino e se ne critica la trasformazione da folletto ribelle alla versione postbellica, borghese, collaborazionista (con la polizia), conformista e liberista.
La contraddizione non risparmia anche il presunto contenuto erotico in fumetti e fiabe, attraverso le considerazioni di esperti convinti di espliciti riferimenti sessuali e altri sicuri del rifiuto a qualsiasi allusione.
Nel 1985, dopo circa vent’anni, termina la condanna marxista a Topolino e c., non si tratta soltanto di posizioni individuali, espresse in coincidenza di una retrospettiva al Mostra del Cinema di Venezia, si celebra anche con la pubblicazione, promossa dal Pci, di un volume di approfondimento su Disney, privo di critica e di cenno alle lotte di classe.
In tale processo evolutivo, un ruolo fondamentale lo gioca la riscoperta delle considerazioni, di quaranta anni prima, del celebre regista russo Ejzenstejn, che individua, nei personaggi di Disney, una sorta di colorata ribellione contro la grigia oppressione statunitense e i suoi nefasti principi di dominio su uomo e natura.
Il crollo dell’Urss faciliterà tale processo distensivo e consentirà al nuovo corso della Disney, presieduto da Eisener, di sviluppare, alla piena luce del sole, quello che i critici paventavano come american way of life.
La critica, soprattutto quella europea, si è soffermata eccessivamente sulla produzione fumettistica, sottovalutando quella dei cartoni animati e delle fiabe, privilegiata, invece, da Walt Disney.
In generale ci è soffermati sul dualismo Topolino – Paperino, simboleggiante quello tra Disney e Barks, quando in realtà non esiste contrapposizione tra i due disegnatori né tra i due personaggi. Volendo forzare la critica si potrebbe osservare in Paperino l’immagine del cittadino statunitense alle prese con un mondo in realtà disagiato, con molte contraddizioni e paure, al contrario di un Topolino sicuro, riflesso del vincente sistema americano.
La riduzione qualitativa della produzione disneyana, sotto accusa dopo i primi decenni postbellici, può effettivamente trovare riscontro, ma occorre considerare la morte di Disney nel 1966 e l’abbandono professionale di Barks un anno dopo.
Negli ultimi anni, la prevalenza di Zio Paperone, a discapito del povero nipote, potrebbe non a torto, far propendere per un rafforzamento dell’idea vincente capitalistica, sorda ai problemi di chi si trova indietro nella scala sociale.
Negli anni novanta vengono pubblicati due volumi, uno di Laqua (Come Topolino è caduto in mano dei nazisti) e uno di Eliot (Il principe nero di Hollywood), in cui la visione di un Disney romantico cede il passo a una valutazione più severa.

Senza mezzi termini i due autori scrivono di un Disney fascista, Eliot lo descrive vicino al nazismo, maccartista e antisemita. L’accusa di antisemitismo è difficile da provare, più sicuro, afferma Barbera, è il rifiuto disneyano ai dicktat delle grandi compagnie cinematografiche di Hollywood gestite da ebrei.
L’anticomunismo e il maccartismo si sviluppano attraverso il rifiuto del boicottaggio dei sindacalisti rivoluzionari, rei di imporre le proprie scelte cospirative; la collaborazione di Disney all’Fbi, però, si spiega non per l’opportunismo personale piuttosto per una libera e personale scelta ideologica.
I contatti tra Disney e Mussolini iniziarono con la visita dell’americano a Roma nel 1932 (e forse anche nel 1937); stima reciproca tra i due, tanto che il duce, boicottando i fumetti d’oltreoceano, risparmiò Topolino e c.
Stessa considerazione da parte di Goebbels e Hitler
Da notare come negli anni trenta, negli Stati Uniti, ci fosse una forte componente vicina al fascismo, giudicato per il suo carattere innovativo e dinamico, più che per l’ideologia.
Scrive Barbera << A Disney capitò quello che quasi contemporaneamente accadde ai citati ambienti conservatori inglesi. Essi, sulla base di premesse magico-esoteriche, avevano guardato in un primo momento con simpatia alla Germania nazional-socialista. Ma in seguito la simpatia si trasformò in avversione, essendosi convinti che quello nazista fosse un esoterismo negativo… >>
In un primo momento Disney avrebbe frequentato il partito nazista americano, scoppiata la guerra aderì al comitato antinterventista, e durante le ostilità, proprio in virtù della valutazione di cui sopra, criticò con film e fumetti lo sviluppo nazista, pur non rinnegandone la visione iniziatica.
Spiega Barbera come quello di Disney fosse un “nazismo magico”, legato a società segrete (Vril) di carattere esoterico e iniziatico, fortemente legato ai miti delle fiabe nordiche, magistralmente espresse in Biancaneve e i sette nani, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco e Fantasia. << La vera svolta disneyana è quella che lo porta a passare da un generico conservatorismo ad un consapevole tradizionalismo; ovvero l’incontro con la fiaba nordica… >> scrive. La natura, rappresentata spesso da Disney, esprime al meglio l’aspetto sacro che contorna i fenomeni magici, per i quali, inoltre, è accantonata ogni ironia: il contenuto di sapienza, di tradizione e il valore che tali fenomeni contengono, merita profondo rispetto e, se si presenta qualche spunto di modernità, è solo per delinearne il carattere di eternità rispetto a quello fugace.
Spiega l’autore << Il luogo privilegiato per le manifestazioni magico-esoteriche è in genere il Medioevo. Per lui (Disney ndr) l’età di mezzo non è una semplice epoca storica, ma una metafora della condizione umana. Dunque il luogo privilegiato per la manifestazione dei conflitti e degli impulsi archetipici. >>
Aggiunge << Disney raramente nei suoi film allude alla religione rivelata. E se lo fa ne accenna sempre di sfuggita… Per lo più l’elemento religioso-divino è trattato come magia. Lo scontro tra Bene e Male resta affidato a forze magiche antagoniste. >>
Interessante la valutazione sull’adesione di Disney al mondo delle favole e dei suoi contenuti. << L’interesse di Disney per la fiaba non va visto come un fatto narrativo, affabulatorio. Al contrario esprime una visione ideologica. Il mondo magico e/o mitico è per lui espressione di una doppia realtà… L’esoterismo non è solo fuga in un diverso altrove; è anche l’individuazione del nucleo occulto, segreto, parallelo al mondo visibile... I mondi sono due: quello visibile e quello invisibile, ovvero quello sensibile e quello extra-sensibile. Ed è il secondo che dà significato al primo interpretandolo ed orientandolo. >>
La ragione del Bene, del suo prevalere rispetto al Male, è proprio nel giusto legame tra i due mondi, quando il primo si aliena dal secondo, si scade nella malvagità.
Le allusioni disneyane ai contenuti delle fiabe nordiche sono molteplici, a partire dalla moneta numero uno di Zio Paperone, che potrebbe simboleggiare alcuni magici anelli dei Nibelunghi o del Signore degli Anelli. Streghe e draghi, simbolo del male, sono vinti da principi ed eroi che, spesso con un bacio, simbolo della rinascita, permettono la fine del sonno e, in un crescendo di trascendenza, consentono di avviarsi all’ascesi.
L’analisi di Barbera, documentata e puntuale, permette di scorgere aspetti decisamente poco conosciuti dell’arte disneyana e della valutazione dell’uomo Disney, della sua ricerca di autonomia nella produzione (pagata spesso a duro prezzo); ne esalta le convinzioni ideologiche, assimilate coscientemente, per questo passibili di severa autocritica ove necessario, senza forzature dogmatiche.
Al di là dello scadimento consumistico, occorre considerare le motivazioni ideologiche riprodotte da Disney, per le quali l’osservazione della sola produzione fumettistica, in realtà, ne perderebbe l’essenza, al contrario della produzione cinematografica.
Un’analisi finalmente obiettiva, scevra dai condizionamenti politici che spesso hanno accompagnato precedenti valutazioni del creatore di Topolino, per demolirne l’immagine poco assuefatta ai dettami ideologici dello scrivente di turno o perché, secondo il pensiero politicamente corretto, rei di pregiudiziale fascista, di scomodi retaggi da cancellare a tutti i costi.