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Galizia e Volinia: il passato che non passa

di Alessio Turchi - 08/06/2025

Galizia e Volinia: il passato che non passa

Fonte: Giubbe rosse

La decisione del Parlamento polacco di istituire l’11 luglio come giornata del ricordo dei massacri in Galizia e Volinia ha scatenato la veemente reazione ucraina, che si è affrettata a ribadire che il nemico comune deve essere la Russia e che questa iniziativa rischia di creare tensioni tra Varsavia e Kiev.

Molti di voi si staranno chiedendo il motivo dell’ira ucraina. Pertanto, occorre fare un passo indietro e cominciare dall’inizio, premettendo che i cattivoni russi e tedeschi questa volta non hanno parte in quanto accaduto.

La Galizia fino al 1918 era parte dell’Impero austroungarico, del quale rappresentava anche la regione più arretrata, tanto che a Vienna veniva chiamata “Halbasien”, cioè semi-Asia. Questo sia per la diffusa povertà che per qualche pregiudizio nei confronti del livello di civiltà dei suoi abitanti.

Dal punto di vista demografico era una zona divisa quasi equamente tra polacchi e ruteni (allora gli ucraini erano così definiti), con una rilevante minoranza di ebrei. Anche qui gli austriaci ebbero ben cura di fomentare le rivalità etniche come nei Balcani, nel più classico dei divide et impera.

GALIZIA E VOLINIA, IL PASSATO CHE NON PASSA

Al termine della prima guerra mondiale, il risorto Stato polacco riuscì ad annettere l’intera regione suscitando il malcontento dei nazionalisti ucraini, che avevano sperato di poter creare una loro patria almeno nella parte orientale della Galizia. Ciò portò alla creazione dell’organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) nel 1929, che si proponeva di lottare contro i polacchi. Questi ultimi, va riconosciuto, avevano la mano molto pesante nei confronti delle minoranze interne, tanto da osteggiare persino la chiesa ortodossa nelle aree in Galizia e Volinia.

Fin da subito l’OUN adottò tattiche terroristiche, e le autorità polacche risposero con brutalità: nel decennio 1929-1939 si contarono migliaia di morti, ponendo le basi per ciò che sarebbe avvenuto durante la guerra.

Dopo il crollo della Polonia, Galizia e Volinia vennero occupate dai sovietici, che deportarono in Siberia decine di migliaia di polacchi, favorendo così, di fatto, i nazionalisti ucraini, i quali si trovarono di fronte un avversario decisamente indebolito.

Giungiamo al 22 giugno 1941: l’invasione tedesca venne salutata con entusiasmo dai membri dell’OUN, che parteciparono attivamente ai massacri di ebrei, comunisti e polacchi, sperando di poter creare un proprio Stato col favore dei tedeschi. Questi ultimi, tuttavia, avevano ben altri piani e i nazionalisti non tardarono a rendersene conto. Per questo motivo, nell’ottobre 1942 formarono un proprio apparato militare, l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), che all’inizio del 1943 contava già ventimila uomini.

Il tempismo della costituzione dell’UPA non avrebbe potuto essere migliore: dopo Stalingrado, infatti, la vittoria finale tedesca appariva leggermente meno probabile e prendeva forma la prospettiva di rivedere i soldati con la stella rossa sul berretto, i quali prevedibilmente non sarebbero stati teneri con gli alleati dei nazisti. Se, da un lato, i capi ucraini potevano fare ben poco per influire sulle sorti generali della guerra, dall’altro avrebbero potuto però utilizzare il tempo a disposizione per creare il fatto compiuto, ossia rendere Galizia e Volinia etnicamente ucraine espellendo i polacchi (gli ebrei, come si sa, non c’erano più).

Guerriglieri UPA (regione di Staryi Sambir). Fonte: storiaverita.org

Fu una decisione presa tra forti opposizioni in seno alla stessa OUN. Decisione che, per quanto indiscutibilmente criminale, aveva un suo fondo di razionalità: i tedeschi, era il ragionamento, se ne andranno e torneranno i sovietici, sotto i quali ci toccherà stare per non si sa quanto tempo. Intanto, ci saremo messi per sempre al riparo dalla Polonia. E, quando un domani riusciremo a creare il nostro Stato indipendente, non ci sarà alcun dubbio che Galizia e Volinia saranno ucraine.

Già nel marzo 1943 ebbero luogo numerosi massacri in Volinia, dove la presenza polacca era meno numerosa: agli ordini di Dmytro Klyachkivsky, Mykola Lebed e Roman Shukhevych gli uomini dell’UPA uccisero circa settemila persone, per poi intensificare le azioni durante il periodo pasquale.
I polacchi tentarono di organizzarsi e infliggere alcune perdite agli attaccanti, tuttavia la sproporzione di forze e la superiore organizzazione ucraina ebbero la meglio.

L’insuccesso tedesco a Kursk nel luglio 1943 fece rompere gli indugi ai leader dell’UPA, che scatenarono a partire dall’11 luglio una enorme ondata di violenze, culminate nel massacro di Kisielin, dove almeno 90 persone vennero trucidate mentre ascoltavano la messa (per questo la Polonia ha scelto l’11 luglio come giorno del ricordo).

Mykola Lebed. Fonte: Peace History
Roman Šuchevyč. Fonte: Wikipedia

In totale, si stima che in quel solo luglio vi furono circa dodicimila vittime, inclusi molti ucraini che erano contrari alla pulizia etnica e nascosero amici e vicini polacchi. Le modalità delle uccisioni furono spesso particolarmente efferate, arrivando a scioccare gli stessi tedeschi: l’obiettivo era infatti terrorizzare a tal punto i polacchi da spingerli ad andarsene in massa e, con l’occasione, far capire ai tantissimi ucraini in disaccordo con la linea dell’UPA che, se proprio non volevano cambiare idea avrebbero fatto meglio a non opporsi e tenere la bocca chiusa.

Entro la metà del 1944 la presenza polacca era stata praticamente estirpata, anche se qualche massacro si verificò pure nel 1945. Il numero totale delle vittime è sconosciuto.. Le stime più affidabili parlano di centomila morti tra Galizia e Volinia.

Varsavia parla di genocidio, Kiev rigetta tale definizione. Noi eviteremo di entrare nel merito. Forse sarebbe più corretto parlare di pulizia etnica, ricordando che nel 1945 fu una pratica non isolata: Cecoslovacchia, Jugoslavia e la stessa Polonia espulsero con metodi drastici tedeschi e italiani, nella convinzione che avere forti minoranze interne avrebbe potuto portare di nuovo ad aggressioni di paesi confinanti come nel 1938, 1939 e 1941, oltre che per mettere al riparo le frontiere da future rivendicazioni.

Due riflessioni però si impongono: in questa vicenda tragica non abbiamo parlato di russi e tedeschi, e giustamente molti si chiederanno: “Ma come, è avvenuta una simile tragedia in Europa Orientale e non è colpa né dei russi ne dei tedeschi?”.

Già, strano, vero? Il fatto è che, come fa notare bene il professor Francesco Dall’Aglio, le vicende storiche di quelle zone tra le due guerre mondiali vengono raccontate come un fumetto, dove pacifici agricoltori con le bretelle e graziose signore coi vestiti a fiori vedono il loro paradiso rovinato dai cattivoni tedeschi e russi, quando la realtà parla di regimi spesso fascisti e comunque brutali, livelli di violenza più alti che in Europa Occidentale, aggressioni, odio reciproco.

La seconda riflessione riguarda la Polonia, “la iena d’Europa” nella definizione di Winston Churchill. Si può stare certi che Varsavia non abbia dimenticato che Galizia e Volinia un tempo le appartenevano (e questo vale anche per mezza Bielorussia) e come le siano state sottratte. Per il momento, la Polonia non si spinge troppo avanti su questo tema in nome del comune odio verso i russi. Ma le cose potrebbero cambiare in futuro.