Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / A chi e a cosa serve l’astensione? (Riflessioni politicamente scorrette)

A chi e a cosa serve l’astensione? (Riflessioni politicamente scorrette)

di Eugenio Orso - 27/01/2018

A chi e a cosa serve l’astensione? (Riflessioni politicamente scorrette)

Fonte: Come Don Chisciotte

Si fanno tante polemiche sull’astensione, in prossimità del voto politico del 4 di marzo. Se osi sbeffeggiare chi corre alle urne come un pollo, speranzoso di “cambiare le cose” restandosene dentro la trappola del sistema, ci sono quelli che ti crocefiggono, con annesse palate di merda. Se, al contrario, in un impeto di follia, chiami al voto democratico e alla “partecipazione” la massa informe, ti prendono per scemo, lobotomizzato, coglione di ultima che le beve tutte (non a torto, in tale caso). Quel che conta è la grande confusione che regna nella testolina della gente, che non sa più che pesci pigliare …

I pinocchi sub-politici che promettono tutto e il contrario di tutto, negli spot mirati al target in campagna elettorale, non sembrano così caldi in proposito, al pari di molti dei loro compari furbastri che ancora chiamiamo giornalisti. Solo la mummia coperta di cerone Silvio Berlusconi, uscita dal sarcofago dell’incandidabilità in cui lo aveva costretto l’élite dominante per punirlo, sbraita chiamando alle urne contro il (del tutto ipotetico) pericolo settario cinque stalle, pauperista e giustizialista sempre (s)connesso.

Non andare a votare questa volta, per Silvio in televisione, sarebbe un vero e proprio suicidio, incombendo la ”mannaia” grullina sul paese. Ma andiamo! (a cagare, sottinteso) … Mentre chiama alle urne, come alle armi, i suoi elettori-pollastri, il suddetto propone l’iniquità fiscale della flat tax (Milton Friedman ultraliberista) e un piano di privatizzazioni castranti. Il confronto fra il Cav di lungo corso e i bambocci grulli di Grillo si può leggere soltanto così: un noto imbroglione e piazzista resuscitato, in “servizio” dal 1994, chiama al voto contro imbroglioni nuovi di pacca sempre on-line! O sarà lui, a imbrogliarvi di nuovo in un onusto déjà-vu, o loro, a coglionarvi per la prima volta con esiti imprevedibili.

In generale, però, a parte qualche rituale sermone sul voto democratico che è diritto e dovere, non mi sembra di scorgere una particolare ansia nell’apparato sub-politico e in quello mediatico italiano per una possibile crescita dell’astensione, sempre più di massa. Del resto, questa è la democrazia della sola e della cantonata e così è se vi pare, ma anche se non vi pare!

A Renzi l’astensione di massa gli fa un baffo! Leopolde, slide e cene da mille euro sono più importanti. Non si è preoccupato quando è iniziata la bagarre mediatica sul calo del tesseramento del piddì, da lui segretamente voluto e auspicato per sbatter fuori la plebaglia, i più “sinistri”, quelli che “con l’articolo 18 passa tutto, anche la disoccupazione!” Meglio se votano in pochi, in questo giro di Valzer ai seggi, così il treccartaro fiorentino potrà spedire alle urne la piccola orda di fedelissimi, clientes e millenials (leggi giovinastri figli di papà con la testa di cazzo), sperando di limitare le perdite.

Le cinque stalle piene di escrementi, pronte a governare il paese (per conto troika, pentagono e deep state Usa), non svolgono più la loro primeva funzione di attirare babbei alle urne, onde limitare l’astensione e legittimare il sistema democratico. Se non andranno al governo, in solitaria, si fregeranno del titolo di “primo partito”, con dovizia di seggi e Restitution Day delle diarie, e se lo faranno bastare (Beppe Grullo e formaggio Erede Casaleggio soddisfatti).

Non so cosa pensino della “piaga” dell’astensione elettorale Salvini e Meloni, ma poco m’importa, perché so che sono fottuti in anticipo e il governo lo vedranno col cannocchiale. Forca Italia e Berlusconi, il fantasma politico di Milano 1 (2,3, etc.), gli tireranno il pacco al momento giusto, rompendo l’alleanza elettorale di comodo e andandosene col piddì. Per non dispiacere all’euroburocrate Serge Moscovici, che sorveglia l’Italia come una preda, ed evitare lo Spread a mille paventato dagli avvoltoi di Ficht Ratings. Vatti a fidare degli affiliati al partito popolare europoide! (fotocopia dei socialisti & democratici nel parlamento europide)

Cosa ne pensi a riguardo l’importante e impirlante “partito di repubblica” non lo so proprio, perché la carta igienica, io, la uso per pulirmi il culo …

 **********

Tornando alla massa che fa le bizze e vota sempre meno, razionalizzando un po’ il discorso con meno espressioni colorite, provo a fissare alcuni punti fermi sugli effetti dell’astensione di massa dal voto democratico, nelle democrazie elitiste occidentali ma, in modo particolare, nel nostro malconcio paese:

·        Nel breve periodo, gli effetti politici concreti dell’astensione, in assenza di quorum per la validità del rito elettorale, sono praticamente nulli. Si può vincere in Italia, con questa legge elettorale, anche con il 40% del 10% di votanti a fronte del 90% di astenuti. Come sempre, in culo al popolino! (un’espressione colorita a questo punto ci vuole) Il 90% di astenuti sarebbe soltanto un insieme magmatico e fantasmatico, in assenza di un’opposizione organizzata extra-parlamentare. Con un’astensione dilagante, come ipotizzato, si manifesterebbe un problemino dal punto di vista della legittimazione del sistema – se deve darla almeno formalmente il voto popolare, anche contro i suoi interessi – e ciò significa, se non altro, che (1) le false opposizioni con il sedere sulle sedie del parlamento (come il cinque stalle) non funzionano più tanto bene, (2) le promesse elettorali dei collaborazionisti dell’élite globale non smuovono più le masse ingannandole e (3) si devono inventare giustificazioni (fuorvianti) al fenomeno di non-partecipazione massiva, diverse dal brutto tempo nei giorni/nel giorno del voto.

·        In un periodo di tempo medio/lungo, l’astensione di massa dal rito di voto che connota la democrazia elitista, potrebbe rappresentare una minaccia reale al sistema di potere neocapitalista che si serve della democrazia, sul piano politico, per imporre il dominio assolutista del libero mercato globale. Infatti, nell’ipotesi di prima – 9 su 10 astenuti – diventerà più facile smascherare le false opposizioni, prodotte dal sistema, vanificando gli sforzi per evitare disordini sociali e politici, per attrarre consensi, cioè voti, a beneficio del sistema e per mantenere la “pax sociale” mentre si massacra con le controriforme la popolazione. In tempi più lunghi di anno o due, l’astensione alle stelle potrà manifestare tutta la sua pericolosità, come spiegato nel punto successivo.

·        Sempre nel medio/lungo, quel 90% di diserzione dalle urne ipotizzato – potrebbe bastare, più realisticamente, una percentuale superiore al 50/60% – costituirebbe l’humus per una vera opposizione onde ottenere consenso popolare e, sia pur informalmente, una legittimazione forte che altrimenti non avrebbe. Non è per niente sicuro che ciò accada, essendo l’area dell’astensione variegata, anche dal punto di vista dell’appartenenza sociale e (almeno) parzialmente non cosciente sul piano politico. Sarà compito della nuova opposizione al sistema conquistare il consenso di popolo nell’area dell’astensionismo, che abbiamo supposto sconfinata.

·        Per i singoli, non partecipare alla kermesse elettorale può significare un’affermazione di dignità e di autonomia di pensiero, ma ciò non vale per tutti gli astenuti, naturalmente, per varie ragioni. C’è chi genericamente afferma che lui non fa politica e la politica non gli interessa, mostrando di non aver capito nulla (perché tutto è decisione politica che influisce sulla sua esistenza, anche il mercato e l’economia), o chi ritiene che è inutile il segno sulla scheda elettorale perché, genericamente, “sono tutti ladri”, “tanto non cambia nulla”, e via elencando. Molti, però, hanno compreso, seppur superficialmente, che nessuno rappresenta i loro interessi all’interno del sistema, distaccandosene in attesa di poter farli valere, magari per altre vie.

 **********

Alla luce delle predette considerazioni, si comprende che l’astensione dal voto democratico, elitista e liberale, può non essere un’arma spuntata, priva in ogni circostanza di effetti concreti. Men che meno sancisce il divorzio definitivo fra le masse e la politica, perché data la natura umana, l’uomo non può vivere senza politica e senza far politica, se è vero ciò che affermavano i grandi filosofi, da Aristotele a Costanzo Preve (zόon politikόn, zόon lόgon échon, educazione comunitaria dell’essere sociale, etc.).

Una forte astensione, anche se inferiore a quel 90% ipotizzato (quasi) per assurdo, se non può sancire il divorzio definitivo delle masse dalla politica, sottolinea, nella nostra dimensione storica il distacco delle masse dalla democrazia in mani elitiste e, di conseguenza, dal suo padrino sullo sfondo, il libero mercato della finanza globale.

Il difficile compito futuro di una vera opposizione al sistema, se e quando si presenterà sulla scienza della storia, sarà quello di “meritarsi” il consenso della massa di astenuti, per evitare che questa sia comunque preda dei giochi sistemici, per neutralizzarla/silenziarla definitivamente, o che ceda a mere pulsioni insurrezionali, forse destabilizzanti (lato positivo), ma senza alcun costrutto politico (lato negativo).

L’utilità o l’inutilità dell’astensione di massa dal voto, in sintesi, non è un “a priori”, ma dovrà essere valutata nel medio/lungo periodo sulla base dei cambiamenti sociali e politici che si produrranno, o non si produrranno, determinati anche dall’astensione.

 **********

Infine, preciso che nel primo “step” di questo articoletto, il linguaggio particolarmente greve, turpiloquente, infarcito di espressioni colorite e addirittura insultanti, non ha banalmente lo scopo di far sensazione per aumentare le (eventuali) letture, ma risponde a una precisa necessità. La necessità di contrastare il “politicamente corretto” diffuso dal sistema con ogni mezzo, anzitutto con il linguaggio, per cercare di superare quei tabù che influiscono sul pensiero limitandone l’autonomia e inibendo la facoltà di critica. Si tratta di cominciare a chiamare le cose con il loro nome, per squarciare il velo di interdetti e menzogne che separa i molti dal mondo reale, dalla vera sostanza della politica e della socialità.