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Afghanistan. Le verità che nessuno osa dire

di Massimo Fini - 22/08/2021

Afghanistan. Le verità che nessuno osa dire

Fonte: Massimo Fini


Negli “ultimi giorni di Saigon” in salsa afghana ci sono dei risvolti grotteschi. In un discorso alla Nazione Joe Biden ha accusato i soldati dell’esercito governativo di non essere stati capaci di difendersi. Ma come, non  sono stati proprio gli americani, insieme ad alcuni dei loro alleati, fra cui l’Italia, ad essersi assunti il compito di “addestrare “ l’esercito lealista? Forse l’Italia non è stata di grande aiuto visto che uno dei nostri soldati mentre cercava di spiegare agli afghani come si usano le armi si è sparato addosso. Forse prima che gli fosse assegnata la funzione di “addestratore” doveva essere addestrato lui. La vicenda ricorda quella del giocatore portoghese Figo chiamato a insegnare in una scuola calcio. Per far vedere come si tira un rigore invece che il pallone colpì il terreno fratturandosi la caviglia.

Non gli passa per la mente a Biden, e a tutti i suoi reggicoda occidentali, che i soldati governativi non hanno opposto nessuna resistenza forse perché la maggioranza della popolazione afghana preferisce essere governata dai Talebani, che sono pur sempre degli afghani, piuttosto che da degli stranieri o da dei loro reggicoda?

Nella confusione generale bisogna tornare, per l’ennesima volta, a mettere dei punti fermi.

L’aggressione occidentale del 2001 all’Afghanistan, che ebbe la copertura dell’ONU, fu motivata con la tragedia delle Torri Gemelle di cui i Talebani sarebbero stati complici. Il New York Times e il Washington Post, giornali in questo caso al di sopra di ogni sospetto, hanno documentato che l’attacco all’Afghanistan era stato programmato sei mesi prima dell’11 settembre. Parimenti, sia pur qualche anno dopo, è stato accertato che la dirigenza talebana dell’epoca era completamente all’oscuro dell’attacco alle Torri Gemelle. In ogni caso, come ha ricordato Travaglio e come noi abbiamo scritto almeno un centinaio di volte, in quei commandos c’erano sauditi, tunisini, egiziani, yemeniti e arabi di ogni sorta, c’erano tutti tranne che degli afghani, tantomeno talebani. E nessun afghano, tantomeno talebano, c’era nelle cellule, vere o presunte, di Al Qaeda scoperte in seguito. Di più: quando, nell’inverno del 1998, dopo gli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam, Bill Clinton propose al Mullah Omar di far fuori Bin Laden che era ritenuto l’ispiratore di quegli attentati, Omar si disse disponibile purché gli americani cessassero di bombardare a tappeto le alture di Khost, dove ritenevano si fosse nascosto il Califfo saudita, facendo centinaia di vittime civili. Ma all’ultimo momento Clinton si tirò indietro. E questi sono documenti del Dipartimento di Stato del 2005. Inoltre i Talebani Bin Laden se lo erano trovato in casa. Ce lo aveva portato dal Sudan Massud perché lo aiutasse a combattere un altro “signore della guerra”, suo storico avversario, Heckmatyar. Benché gli afghani che non sono arabi li detestino Bin Laden in Afghanistan godeva di una certa popolarità perché con le sue risorse personali aveva costruito ospedali, strade, infrastrutture, cioè quello che avremmo dovuto fare noi e che in vent’anni di occupazione non abbiamo fatto se non in misura ridicola.
Un’altra sesquipedale balla, che continua a circolare, è che i Talebani siano stati sostenuti dai servizi segreti pakistani. Se così fosse avrebbero avuto almeno dei missili terra-aria Stinger. Furono proprio gli Stinger, forniti dagli americani ai sin troppo celebrati “signori della guerra”, a convincere i sovietici ad abbandonare il campo (contro gli occupanti occidentali i talebani non avevano né aviazione né contraerea). E una delle più devastanti offensive contro i Talebani fu lanciata proprio dall’esercito pakistano, sotto la regia del generale americano David Petreus, nella valle di Swat: “Dopo la prima settimana di bombardamenti i morti non si contano. Si possono invece contare i profughi. Sono almeno un milione.” (Il Mullah Omar, p. 159). Il Corriere della Sera titolerà: “Un milione in fuga dai talebani”, invece fuggivano dai bombardamenti dell’esercito pakistano.
Chi ha da temere oggi in Afghanistan non sono i civili, a parte i principali “collaborazionisti” che potrebbero essere legittimamente passati per le armi come si è sempre fatto da che mondo è mondo, ma proprio l’Isis . E’ da quando, nel 2015, Isis ha cominciato a penetrare in Afghanistan che i Talebani lo combattono. E’ del 16 giugno 2015 una lettera aperta del Mullah Omar ad Al Baghdadi in cui intima al Califfo di non cercare di penetrare in Afghanistan “perché noi stiamo combattendo una guerra d’indipendenza che non ha nulla a che vedere coi tuoi deliri geopolitici”. E aggiunge “tu stai dividendo pericolosamente il mondo islamico”. La lettera non è firmata direttamente da Omar ma dal suo numero due Mansour. Forse perché Omar era morente o forse come accreditano le versioni occidentali perché era già morto nel 2013 (anche se a me sembra molto improbabile poter nascondere per due anni agli afghani la morte di un leader così prestigioso). In ogni caso la lettera esprime il pensiero del Mullah Omar.
Ora che i Talebani non devono più combattere contemporaneamente gli occupanti occidentali e l’Isis lo spazzeranno via dal Paese. Non sarà facile perché anche gli Isis sono dei formidabili guerrieri, e a loro di morire non importa nulla, mentre i Talebani non hanno questa vocazione al martirio. Però hanno una conoscenza del terreno molto superiore che è uno dei fattori che han permesso loro di sconfiggere le ben più potenti armate occidentali.

Poco tranquilli possono stare i giornalisti di Tolo TV che è stata la tv di Stato durante tutta l’occupazione occidentale. Poco tranquille possono stare alcune Ong, a meno che non si chiamino Emergency o strutture altrettanto consolidate. Molte di queste Ong, almeno all’inizio, erano piene di ragazze che sono andate in Afghanistan per sperimentare una sorta di “turismo estremo”. Sculavano in shorts offendendo la sensibilità afghana. Del resto nemmeno da noi una donna potrebbe andare a seno nudo in Piazza Duomo, mentre nell’Africa Nera questo è abituale. Si tratta di sensibilità diverse che andavano rispettate. A queste ragazze, se ancora sono da quelle parti, non verrà fatto nulla, verranno solo rispedite indietro a calci nel culo. Come meritano.
Questa invece è una domanda che pongo al nostro ministro della Difesa e a quello degli Esteri, Di Maio. Che cosa abbiamo fatto noi italiani in Afghanistan oltre ad “addestrare”, si fa per dire, militarmente gli afghani? Cosa già risibile in sé perché se i nostri bambini nascono col ciuccio in bocca i loro nascono con il kalashnikov in mano, cioè sanno usare le armi fin da piccoli. Appena arrivati là come prima cosa abbiamo costruito una chiesa che non era esattamente un’esigenza primaria da quelle parti. Certamente dopo avremo fatto anche dell’altro però vorremmo che i ministri in questione e il Governo riferissero in modo dettagliato in Parlamento su quale sia stato effettivamente, in vent’anni, il nostro contributo civile in Afghanistan.