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Bellaciao washing

di Pino Cabras - 22/03/2022

Bellaciao washing

Fonte: Pino Cabras

Le categorie politiche con cui si guarda all’offensiva mediatica del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelenskyy, sono tutte da aggiornare. Mentre un tempo le campagne di comunicazione erano subordinate strumentalmente alla guerra, oggi ne sono parte integrante. Sebbene le operazioni psicologiche di guerra abbiano contato sempre parecchio, avevano tuttavia un ruolo ancillare rispetto alla parte preponderante e “fisica” dei mezzi di combattimento.
Più che mai, adesso non si fa la guerra solo con carri armati e bombardieri, né soltanto con cyberattacchi e missili.
È ormai integrato nell’hardware bellico anche un uso massiccio, coordinato e multilivello della comunicazione, fino a rendere l’insieme dei media un apparato strategico volto a combattere la “guerra della percezione”. Se vinci la guerra della percezione puoi far sparire dalla cognizione pubblica certe assolute catastrofi che un tempo avrebbero travolto intere classi dirigenti (si pensi alla sconfitta afghana della NATO), o viceversa puoi disegnare scenari vittoriosi che non hanno una realtà sottostante, oppure ancora puoi creare un impronta che si imprime nel cervello delle persone su fatti spaventevoli da attribuire a un nemico votato al male assoluto. Se si osservano le guerre degli ultimi decenni, questo meccanismo è in via di perfezionamento costante.
Cosa accade? La manipolazione assomiglia a quella illustrata nel film “Wag the Dog” (tradotto in Italia con il titolo “Sesso e Potere”, 1997). Ricordate? gli esperti di pubbliche relazioni al servizio del presidente USA, per distogliere l’opinione pubblica da uno scandalo che colpisce l’inquilino della Casa Bianca, inventano (letteralmente: inventano) una guerra a uso dei media, che vengono inondati di dettagli mirati e verosimili sul conflitto, in modo da colpire le emozioni del pubblico. Fra i materiali confezionati, ecco un video in cui una ragazzina si muove spaventata fra le macerie.
Il film mostra dapprima la scena girata in studio su sfondo blu, poi la post-produzione che aggiunge lo sfondo di macerie, e infine – colpo da maestro – l’idea di un soffice gattino bianco tenuto in mano dalla ragazzina, un batuffolo di candida fragilità che trascina l’immedesimazione del telespettatore in contrasto con la cupezza minacciosa della devastazione. I conduttori dei telegiornali rilanceranno le immagini all’infinito, fino al clou della tenerezza felina (https://www.youtube.com/watch?v=gNDmDZi05dY&t=2s).
Emozioni primarie e paura, il tutto dentro un potente contesto narrativo, dove sappiamo che comunque ci sono morti e disastri autentici.
Pochi giorni fa a Mariupol si parlava di mille morti nel bombardamento di un teatro, e in pochi giorni si è scoperto che erano zero, per stare all’oggi.
Veniamo a Zelenskyy. Solo chi non vuol vedere, non si accorge che è sostenuto da un apparato di pubbliche relazioni senza precedenti, non basato solo in Ucraina ma – diciamo – con una cosistenza transatlantica e con un controllo capillare delle reazioni emotive di tutto il mondo occidentale, tarate paese per paese. È una vera industria narrativa dell’eroismo, con una dovizia hollywoodiana di mezzi che introduce continuamente nel circuito audiovisivo una mole soverchiante di notizie manipolate. Al centro della narrazione c’è un meccanismo da “reality show”. Non è nemmeno una novità in politica: Donald Trump, ben prima di riuscire a vincere le elezioni, era stato a lungo una presenza familiare per milioni di cittadini statunitensi attraverso un “reality”.
Con Zelenskyy il meccanismo è stato rifinito fin dalle premesse. Un oligarca multimiliardario che possiede mezza Ucraina, media inclusi, Ihor Kolomoyskyi, finanzia una fiction con protagonista un cittadino comune che diventa presidente. L’attore, come tutti sanno, è Volodymyr Zelenskyy, che nel 2019 trasla il suo patrimonio di popolarità acquisito per via televisiva direttamente nella competizione politica. Il presidente uscente Petro Poroshenko è fiaccato dalla condizione disastrosa in cui versa lo Stato che ha guidato, con uno degli indici di corruzione più alti al mondo, un’economia in gravi difficoltà e una guerra interna nel Donbass che ha stufato tutti. Zelenskyy riesce ad accedere al ballottaggio, dove stancamente partecipa appena il 40 per cento degli elettori, vincendo con un margine del 72 per cento. A finanziarlo è ancora Ihor Kolomoyskyi, che a questo punto è bene conoscere meglio, magari attraverso le parole spese per lui dalla rivista “Forbes”:
«Kolomoyskyi ha usato delle forze “quasi-militari” della banca Privat per far valere l’acquisizione ostile di aziende, arruolando un gruppo di “teppisti, armati di mazze da baseball, spranghe di ferro, gas e pistole con proiettili di gomma e motoseghe” per prendersi con la forza un impianto siderurgico a Kremenchuk nel 2006 e ha usato “un mix di ordini del tribunale fasulli (spesso per mano di giudici e/o cancellieri corrotti) e di maniere forti” per sostituire amministratori nei consigli di amministrazione delle società delle quali acquistava le partecipazioni».
Sono parole che di solito leggeremmo tipicamente in qualche giornale antimafia. Descrivono un pezzo di realtà che nei nostri organi di informazione non è praticamente mai arrivato.
Il testimone della carriera attoriale di Zelenskyy è stato raccolto da un apparato ancora più organizzato rispetto a quello del suo mentore ucraino. Il sistema è integrato con il sistema dei media dei paesi NATO, in stretta relazione anche con le classi politiche occidentali.
Si tratta di un sistema occhiuto e punitivo. Zelenskyy risponde a una gaffe di Draghi che lo riguardava, e lo fa praticamente pochi minuti dopo, a tamburo battente. Quell’incapace di Matteo Salvini va in Polonia per accreditarsi come difensore dell’Ucraina, e un oscuro sindaco gli esibisce miracolosamente una copia della stessa identica felpa con la faccia di Putin che un tempo Salvini aveva utilizzato, regalandogli una peraltro meritata figuraccia epica.
In Italia i corifei di Zelenskyy, che potrebbero trovarsi in grave imbarazzo rispetto ai tanti nazisti inquadrati negli apparati repressivi e militari ucraini, spostano l’asse simbolico apparentando la resistenza ucraina a quella italiana contro il nazifascismo. Così come certe imprese inquinanti si sono inventate il “greenwashing”, ossia una strategia di comunicazione finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo stesso modo l’industria dell’eroismo sta adottando il “Bellaciao washing”. Sarà agevole così distrarsi da un problema, e pensare che le armi che adesso l’Italia farà pervenire in Ucraina finiranno nelle mani di partigiani, e non nella disponibilità del lugubre battaglione Azov o dei tanti estremisti che useranno la pianura sarmatica come palestra delle prossime violenze in Europa.
Abbiamo spiegato le ragioni che ci spingono come Alternativa a non fare da arredamento del teatro allestito intorno all’eroe (https://www.facebook.com/PinoCabrasAlternativa/posts/399132948688640).
L’ambasciatore ucraino in Italia Yaroslav Melnyk ha commentato così: «Gli ex 5 Stelle non saranno domani in Parlamento ad ascoltare Zelensky? Dimostrano che sono per la guerra, per continuare a bombardare le città e i civili e a violare tutti i valori fondamentali del mondo occidentale.»
Curiosa ingerenza, quella di questo signore, rappresentante di un paese che chiede l’immediata adesione a uno dei baluardi del “mondo occidentale”, l’Unione Europea, ma lo fa negli stessi giorni in cui mette al bando tutti i partiti di opposizione, ogni formazione politica che non sia ipernazionalista. Devono essere i nuovi “valori fondamentali” che vorrebbe riservarci in base alla sua nuova dottrina.
Stia tranquillo, ambasciatore. Noi non siamo per la guerra. Siamo contro le violazioni del diritto internazionale da qualunque parte provengano, Russia inclusa. Lo siamo stati pure in questi anni in cui l’incendio veniva appiccato anche dai protettori e dagli spin doctor del suo presidente.
Noi vogliamo la pace, perciò non legga il trito copione che le passano i suoi comunicatori reazionari. Legga quello che abbiamo proposto per davvero, solennemente, in Parlamento (dove si parla, non si fa la claque):
«Abbiamo bisogno di una nuova politica di distensione per l’Europa. Questa ci può essere solo sulla base di un’eguale sicurezza per tutti e fra partner con eguali diritti e rispetto reciproco.
La soluzione politica è a portata di mano.
Non comporta rese o cedimenti di principio. Comporta una generosa negoziazione di un nuovo equilibrio europeo in cui la sicurezza dell’Europa non sia a scapito della Russia, e la sicurezza della Federazione Russa non sia a scapito dell’Europa. Un trattato che regoli le questioni irrisolte del pluridecennale sommovimento post-sovietico con garanzie reciproche, territori neutrali tra cui l’Ucraina, reciproci controlli e visite “in situ”, un processo di denuclearizzazione che ha illustri e pratici precedenti.
Occorrerà trasformare la nostra percezione del mondo e ricostruire la trama diplomatica che ha ancora molte soluzioni disponibili.
Occorrerà trasformare l’Ucraina nel laboratorio dell’interdipendenza, garantendo che sia un paese neutrale, federale, con pieno e garantito multilinguismo, e una partnership di sicurezza collettiva fra Russia e Europa. Il resto è guerra, penuria, insicurezza.»
Mi pare sia un programma di lavoro da adottare senza perdere tempo in salamelecchi.