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Bologna: la città laboratorio dell'asservimento sovranazionale

di Riccardo Paccosi - 17/01/2024

Bologna: la città laboratorio dell'asservimento sovranazionale

Fonte: Riccardo Paccosi

Due temi hanno segnato, di recente, il dibattito politico locale nella città in cui ancora risiedo: l'imposizione del limite di velocità a 30 all'ora e la censura della proiezione d'un film russo in un centro sociale di quartiere.
I due argomenti potrebbero essere giudicati eterogenei e distanti, se non avessero però un punto in comune strategico e cruciale: entrambe le vicende rappresentano l'ingresso dell'agenda politica sovranazionale nella vita quotidiana delle amministrazioni locali.
Come già accaduto negli ultimi due decenni a livello di governi nazionali tanto di centrosinistra quanto di centrodestra, cioè, adesso anche le amministrazioni cittadine si trasformano in pedissequi esecutori di ordini provenienti da istituzioni e organizzazioni sovranazionali e non elette da nessuno.
Nel caso della "città 30", si tratta dell'attuazione di indicazioni espresse pubblicamente e per iscritto dal World Economic Forum negli ultimi cinque anni: utilizzare la tematica ambientale per limitare dapprima l'uso di automobili e poi, più in prospettiva, diminuirne drasticamente il possesso privato. In termini di visione generale, si tratta di riplasmare il ceto medio riducendone l'autonomia sul piano economico e degli spostamenti, per creare una rete di consumo e noleggi gestita dalle grandi corporation Big Tech che sono altresì gli "stakeholder" del World Economic Forum.
Nel caso della censura al film russo "Il Testimone", più banalmente assistiamo alla prosecuzione di quanto già visto negli ultimi due anni su scala nazionale: ovvero un asservimento alla NATO in termini di completa rinuncia dell'Italia ad avere una politica estera autonoma. Suddetta prosecuzione, però, con questa declinazione bolognese racchiude anche due novità:
a) viene stabilito il precedente per cui, in ambito politico e culturale, le autorità possono vietare sia di esprimere un punto di vista difforme da quello del governo sulla politica estera, sia di informare tramite punti di vista sul conflitto che afferiscano a paesi con cui per alleanza militare l'Italia si trova in contrasto; parliamo dunque di diritti e di prassi che, per settant'anni, non erano mai stati messi in discussione;
b) una rete di cittadini immigrati ucraini - in non pochi casi esprimente afflati ideologici di nostalgia verso il nazismo - viene legittimata dalle istituzioni nell'organizzarsi squadristicamente ovvero nell'esercitare pressioni e minacce per impedire che cittadini italiani possano esercitare quello che, sulla carta, sarebbe un loro diritto costituzionale di libertà d'opinione ed espressione.
Io faccio parte di quell'area di organizzazioni e movimenti che, a livello locale, esprime l'intenzione di opporsi a tutto questo. Pertanto, mi riservo di attendere ancora alcuni giorni prima di esprimere un giudizio definitivo sui risultati ottenuti negli ultimi tempi da suddetta area.
Ma sento la necessità di affermare che, almeno per ora, la capacità di risposta e reazione alla servitù sovranazionale - nonché decisamente anti-costituzionale - dell'amministrazione locale, risulta inesistente a livello di effetti concreti.
Pur consapevole che Bologna funge ancora una volta da città-laboratorio per dinamiche che stavolta non sono solo nazionali ma finanche globali, mi viene ugualmente da sottolineare come la città nella quale sono immigrato trent'anni fa stia diventando, almeno per me, sempre meno agibile, sempre meno vivibile.