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Chi ha cacciato la storia dalle aule?

di Marcello Veneziani - 05/05/2019

Chi ha cacciato la storia dalle aule?

Fonte: Marcello Veneziani

Se non rifiutassi di firmare manifesti, aderirei convinto al testo in difesa dello studio della storia, sottoscritto da una sfilza di storici e simpatizzanti, capeggiato da Liliana Segre, che ha assunto il ruolo di Madonna Istituzionale (peraltro non è una storica, non è nemmeno laureata, se non honoris causa, in giurisprudenza e in pedagogia); Andrea Camilleri, di professione vate e giallista televisivo e finalmente da uno storico, Andrea Giardina. Dietro di loro campeggia una casa editrice storica, con cui pubblicai diversi libri, Laterza, con le firme di Giuseppe e Alessandro.

So che non sarei gradito ai nove decimi dei firmatari e forse più, ma aderisco lo stesso in spirito e sostanza, seppure non nella forma, alla perorazione. E mi allargherei a sottoscrivere, anche qui non in spirito ma non nella forma, il parallelo manifesto in difesa dello studio della filosofia, e non solo per ragioni corporative, da studioso e laureato in filosofia. Perché la filosofia è necessaria e non si può ridurre a briciole di humanities, ai margini delle scienze, come è oggi. Leggo sconcertato il biglietto da visita di un docente di filosofia di un italianissimo ateneo: Department of humanities, Professor for Aestethetics, Visual Semiotics, Epistemologies and Etichs, Design resaearch lib. Lui non ha colpa ma alla sua facoltà vorrei ricordare che la filosofia non nasce e neanche cresce negli Usa; è europea, greco-latina, antica e umanista. Capisco le scienze, la tecnica e le relazioni commerciali in globish, ma qui parliamo di filosofia.

Agli storici, agli editori, ai personaggi pubblici che hanno firmato, a la Repubblica che è il principale veicolo, vorrei dire qualcosa in proposito. Se la storia se la passa male, se è scivolata nelle file marginali del sapere, se è scansata dai ragazzi e disertata dalla gente, le “colpe” non sono solo dell’Ignoranza Militante oggi al potere o imperversante su internet; semmai dal dominio del presente, dei consumi e della tv. La parabola politica che molti di voi suggeriscono, seppur in modo allusivo, è la seguente: ieri il berlusconismo, oggi il grillo-leghismo, corsi accelerati di analfabetizzazione di massa con relativa destoricizzazione.

Non nego affatto che per metà abbiate ragione, ma ho due grandi obiezioni da fare. La prima è che questa perdita della storia non è un fatto solo italiano ma occidentale, e non è un fatto solo recente ma corrisponde all’americanizzazione del mondo e al dominio economico-tecnologico. Una Superpotenza moralista e pragmatista cancella la storia di cui è priva. È un processo grande, largo e lungo, in cui si inserisce il piccolo oblio italiano. Che è un oblio trasversale: la destra e la sinistra avevano mille difetti ma non erano refrattarie alla storia. Lo sono diventate dopo l’egemonia berlusconiana col suo immaginario televisivo e dopo l’egemonia sessantottina e infine renziana con la sua rottamazione generale.

Ma c’è un secondo fattore che tira in ballo molti di voi storici, molti personaggi pubblici, tanti mass media con voi sintonizzati. La storia è stata mortificata dall’ideologia, dalla precettistica dell’historically correct, dall’uso partigiano e demonizzatore, dalla manichea eternizzazione di alcuni fenomeni storici (il fascismo, il razzismo) e dalla riduzione forzata del passato ai canoni del presente. Il primo passo fu il ridimensionamento della storia antica e medievale a vantaggio dell’età contemporanea. Già al tempo di Luigi Berlinguer ministro della pubblica istruzione, il Novecento si stava mangiando il resto dei secoli. E allora quanto hanno pesato questa distorsione ideologica e questo riduzionismo storico nella caduta della storia? Se poi la Memoria indica solo un Evento e designa solo un Orrore, ha senso coltivare la storicità poliedrica della memoria?

Se la storia non va ripensata e rivista ma va confermata nei rigidi pregiudizi moralistici tra il bene e il male, ha senso studiare la storia? Se la storia è sottoposta a un tribunale perenne, che considera perfino reato alcune ricerche storiche, alcuni giudizi e alcune revisioni, ha senso studiarla o basta leggere le sentenze e applicarne i dispostitivi? Non è meglio a quel punto andare al catechismo, accettare la somministrazione controllata di metadone storico da parte di militanti e funzionari travestiti da storici? E quanto ha pesato nella perdita della storia l’infatuazione sessantottina per il presente-futuro che poi la rivendicazione di superiorità assoluta dell’Oggi su ogni Ieri? Si può amare la storia e detestare la tradizione, ritenere un’infamia conservare, giudicare tutto ciò che non è conforme al metro piccino dell’oggi, come oscurantismo?

Potrei continuare a lungo, ma vorrei sottolineare solo una cosa, che poi dovrebbe essere la Regola Regina di ogni storico e di ogni storiografia: non ridurre tutto a una causa, e soprattutto a un Nemico dell’Umanità; capire che gli eventi, come le cause e le responsabilità, s’intrecciano, i fattori si combinano, la storia non ha capri espiatori e bad company su cui riversare le malefatte del mondo. E non vuole omertà e omissioni. C’è un solo modo di vedere bene le cose, diceva John Ruskin, è vederle per intero; non a pezzi, per partito preso o con spirito partigiano. Così restituiamo la storia alla scuola, all’università, alla società ma attraverso la varietà delle fonti e delle voci, il confronto delle ricerche e la divergenza delle interpretazioni. E con una premessa che è agli antipodi dello spirito radical-progressista aleggiante nei vostri manifesti: l’amore per la storia implica l’amore per il passato, il rispetto per epoche remote dalla nostra, umiltà di approccio e non boria e senso di superiorità rispetto alle epoche andate. Così la storia sale in cattedra, si fa maestra di vita e accende la passione di sapere.