Ciò che a Israele è permesso a nessun altro al mondo sarebbe concesso
di Fabrizio Fratus - 30/06/2025
Fonte: Il Talebano
C’è una domanda che inizia a farsi strada nei pensieri di milioni di persone nel mondo, mentre le bombe continuano a cadere sulla Striscia di Gaza e le immagini di bambini feriti, famiglie sepolte sotto le macerie, ospedali distrutti ci raggiungono giorno dopo giorno.
A quale altro Stato al mondo sarebbe consentito fare ciò che sta facendo Israele a Gaza? Dopo il tragico attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas la reazione di Tel Aviv è stata brutale, sistematica, e col tempo sempre più insensibile al grido della popolazione civile. Ma la rappresaglia è ancora risposta quando colpisce indiscriminatamente?
Quando uccide decine di migliaia di persone, la maggior parte delle quali non ha mai imbracciato un’arma? Di fronte ai numeri drammatici di questa guerra, la coscienza umana si trova a porsi un dilemma atroce:
quanti morti palestinesi “valgono” mille israeliani uccisi?
Questa domanda, per quanto cinica possa sembrare, è quella su cui si regge oggi il silenzio assordante di gran parte della diplomazia internazionale. Un silenzio che fa pensare che, forse, la vita palestinese conti meno. Che la punizione collettiva — vietata dalle convenzioni di Ginevra — sia oggi tacitamente tollerata, se a compierla è Israele. Eppure non si tratta di una risposta militare, ma della sistematica demolizione di un territorio, di un popolo, di ogni speranza di sopravvivenza dignitosa. Le parole “guerra” e “difesa” diventano maschere quando la popolazione è costretta alla fame, alla sete, alla fuga forzata. Tutto questo sa di qualcosa di più profondo, e più spaventoso: un’espulsione programmata. Pulizia etnica sotto gli occhi del mondo? Giorno dopo giorno, i palestinesi vengono spinti verso sud, fuori dalla propria terra. In nome della sicurezza, si cancella una comunità. Si giustifica tutto, perfino la distruzione di scuole, chiese, ospedali. Il risultato? Una crisi umanitaria devastante, un trauma collettivo che attraverserà generazioni, e la sensazione crescente che questa guerra non sia solo contro Hamas, ma contro un popolo intero. Intanto, anche in Libano, anche in Siria, vengono colpiti luoghi abitati da civili, anche cristiani. Come se ormai non ci fosse più alcuna linea morale a distinguere il lecito dall’illecito, il bersaglio militare dalla punizione indiscriminata. E allora viene da chiedersi: è questo il comportamento di un popolo che si definisce “popolo di Dio”? O piuttosto di uno Stato che ha smarrito ogni bussola etica? Distinguiamo: popolo, governo, crimini
Va detto con chiarezza: non è giusto demonizzare l’intero popolo di Israele. Non tutti gli israeliani sostengono la linea del proprio governo. Ci sono voci critiche, ci sono ebrei che si oppongono apertamente a questa distruzione. Ma ciò che lo Stato di Israele — in questo momento storico, con questo governo — sta facendo a Gaza non può più essere giustificato. Non nel nome della difesa. Non nel nome della religione. Non nel nome della democrazia.
Chi semina odio, chi colpisce i più deboli, chi usa la guerra per espellere o annientare, non ha il diritto di parlare in nome di Dio, né di essere difeso in nome della democrazia.
Oggi più che mai dobbiamo pretendere che la comunità internazionale si svegli. Che si alzi una voce forte, netta, che dica: no alla punizione collettiva, no alla guerra che non distingue, no alla disumanizzazione di un intero popolo. Perché la vera civiltà non si misura nella vendetta, ma nella capacità di fermare la violenza indiscriminata — anche quando è comoda, anche quando è popolare, anche quando conviene tacerla.