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Comunismo nero

di Marcello Veneziani - 17/09/2018

Comunismo nero

Fonte: Marcello Veneziani

Indovinate che tema aveva il libro che ha vinto l’altra sera il Campiello. Ma il nazismo, perbacco. È così fu al premio Strega con la saga antifascista. E così altrove, a cinema o a teatro. E in politica ci ripetono ogni giorno che sta tornando Hitler o Mussolini. Allora mettiamola così. Se è vero che sta tornando il fascismo nelle vesti del sovranismo, allora è vero che sta tornando il comunismo nelle vesti del migrantismo. Se Salvini & C sono i piccoli Mussolini di oggi, allora pullulano a sinistra tanti piccoli Lenin che vedono nei migranti il nuovo proletariato da riscattare e che a sua volta sovvertirà le nostre società, i loro fondamenti e sfonderà i loro confini. E fornirà alle sinistre carne da macello da sfruttare politicamente. Semplificazione brutale ma rigorosa. E bipartisan. Anzi, la sequenza è esattamente rovesciata: la minaccia di un nuovo comunismo attraverso l’ingresso indiscriminato di proletariato africano, islamico, extracomunitario, genera la minaccia di un nuovo fascismo per fermare l’invasione e la decadenza sfascista della nostra società. Senza comunismo non c’è fascismo, insegna la storia. Un testo del 1922 che ebbe fortuna nel comunismo nostrano, scritto dall’anarco-comunista Luigi Fabbri, definiva il fascismo “una controrivoluzione preventiva”: dunque, il fascismo non nasceva dal nulla ma sorgeva proprio per contrastare e prevenire la rivoluzione comunista.

Mutatis mutandis dovremmo dire la stessa cosa oggi: il sovranismo è una controrivoluzione preventiva rispetto a chi vorrebbe passare dalla società aperta al globalitarismo, cioè a un regime fondato sulla distruzione delle società nazionali e degli stati sovrani. Se sta nascendo un nuovo fascismo è perché sta sorgendo un nuovo comunismo attraverso l’onda migratoria. Non solo perché i migranti sono il nuovo proletariato e la società senza frontiere è la realizzazione dell’Internazionale; ma il comunismo è nella pretesa di mettere in comune con loro il nostro mondo, le nostre città, i nostri beni e i nostri servizi. Cioè il nostro habitat che non concorsero a costruire ma che possono concorrere a sfasciare. Dico concorrere perché a sfasciarlo ci pensiamo già da noi stessi. Basta questo per chiamarlo comunismo? Non lo so, ma per molto meno si evoca il fascismo. Se esiste l’Ur-fascismo, cioè un fascismo eterno, esiste l’Ur-comunismo cioè un comunismo eterno. Mutano le forme, i contesti, perfino i colori, perché il rosso si fa nero e il nero si fa verde; ma si rigenerano i fratelli coltelli del Novecento. Se credete ai fantasmi, allora ci sono pure a casa vostra. Fin qui la provocazione che restituisce la leggenda ai mittenti e pareggia i conti.

Se passiamo sul piano storico, allora dobbiamo far notare che il fascismo non sorge da sé, spontaneo ed autonomo, per la malvagia volontà dei suoi fondatori o come un’entità malefica inflitta da chissà quale demonio. Ma il fascismo sorge in risposta, o come voi stessi dite, in reazione a ciò che lo precede. Ovvero, il fallimento di una classe dominante col suo sistema di potere da una parte e dall’altra la minaccia di una rivoluzione bolscevica che vuol sovvertire e distruggere una società, il suo ordine, i suoi legami, le sue tradizioni. Peraltro la controrivoluzione fascista non fu una restaurazione, un ritorno indietro o un tentativo di fermare la storia a uno stadio; piuttosto fu il tentativo di fondare una nuova modernità e di sposare l’ordine nuovo, la rivoluzione e la modernizzazione, con la tradizione, collegandosi all’Italia del Risorgimento fino alla Romanità. Dunque una rivoluzione conservatrice; non solo rivoluzione, cioè slancio verso l’avvenire, né solo conservazione, cioè difesa degli assetti preesistenti, ma ambedue le cose, insieme. Da qui la sua irriducibilità a destra o a sinistra.

Il fascismo sorge da tre fattori storici combinati: il fallimento di una classe dominante, del suo sistema di potere, di valori e di rappresentanza politica, nell’era delle masse; la caduta di un ordine europeo e degli imperi centrali, attraverso la catastrofe di una guerra mondiale che coinvolge per la prima volta i popoli tramite la leva obbligatoria; e l’avvento del comunismo che nel ’17 conquista il potere in Russia e minaccia di trionfare anche nell’Italia smarrita, dissanguata e lacerata del dopoguerra. Non si potrebbe capire il fascismo senza la guerra, senza la disfatta della classe liberale e senza il biennio rosso, tra violenze, odio contro i borghesi e i reduci di guerra.

Non so se l’attuale crisi dell’Europa, la crisi vistosa dell’establishment vigente e la minaccia di aprire, come a Troia, le Porte Scee per far entrare i migranti, ripetano le condizioni per la nascita di un nuovo fascismo. Ma se così fosse, dovremmo prima domandarci sulle sue cause e dare risposte adeguate a quella situazione che lo precede. Solo ammettendo tutto questo sarà lecito e ragionevole fare paragoni col passato. Ma bilaterali, non a senso unico.

Se invece sorteggiate dal cilindro un piccolo Hitler e un piccolo Mussolini e pretendete di infilzare il pupazzo coi vostri spilli come si fa nelle fatture, allora state compiendo un atto di magia nera, tra la superstizione, la cialtroneria e il risveglio dei demoni. Intanto se continuate a dire che sta tornando sotto altre vesti il fascismo sarà appropriato rispondervi che sta tornando sotto altre vesti il comunismo. Dopo cent’anni siamo tornati a quel punto. Cantiamo con Achille Togliani l’antico refrain: Nel 1919 vestita di voile e di chiffon…