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Crisi americana, nulla è più come prima

di Lucio Caracciolo - 10/11/2025

Crisi americana, nulla è più come prima

Fonte: La Repubblica

Meteorologia insegna che l’occhio del ciclone è un’area di calma al centro della tempesta che le infuria attorno. Applicata alla geopolitica, la metafora si adatta a descrivere la condizione dell’Italia. La rivoluzione mondiale scatenata dalla crisi americana, che priva il mondo del suo perno ordinatore, sta destabilizzando il nostro intorno. A est, la guerra di Ucraina sembra fuori controllo. A sud, le guerre di Israele e la proliferazione di conflitti fra milizie e/o pseudo-Stati africani e mediorientali alzano onde migratorie e minacce non solo terroristiche a ridosso delle nostre coste. A ovest, l’impero americano in dismissione illanguidisce il senso della Nato, cui da quasi ottant’anni abbiamo affidato la nostra sicurezza. A nord, oltre la barriera alpina, i paesi dell’Europa settentrionale, specie scandinavi, baltici e polacchi, vivono la somma di queste crisi come anteprima della grande guerra contro la Russia, questione di vita o di morte. Tutto questo non sembra scuotere la nostra fiducia nello Stellone. Come se un benevolo magnetismo ci risparmiasse dall’adattarci al cambio di stagione, ai sacrifici e alla solidarietà cui ci chiama. Crediamo di poter continuare a essere quel che siamo stati mentre tutto intorno a noi non è più come prima. Recitiamo le nostre professioni di fede nella protezione atlantica, nella coesione europea, nella vocazione alla pace dell’umanità civile e nel primato del diritto internazionale, quasi fossero canoni eterni e non contingenze storiche scadute, in via di scadenza o solo immaginarie. Sicché quando si dibatte sul riarmare, invece di entrare nel merito delle scelte da fare o non fare ci si riprotegge dietro sterili polemiche ideologiche fra presunti pacifisti o bellicisti. Tutto diventa questione morale, di principio. Cioè sterile moralismo. Con esiti pratici nulli. Ergo, mentre tutti parlano e trattano con tutti, noi, in buona compagnia europea, non parliamo nemmeno con noi stessi. Abbandonarsi alla corrente non è mai consigliabile, ma è certamente suicida quando ci si avvicina alle rapide. In questa passività si riflettono alcune costanti. Su tutte, l’abitudine alla pace e alla sicurezza incardinata da tre generazioni nella psiche degli italiani. Ma anche novità di qualche momento. In particolare, la crisi della coesione sociale da cui dipende, in ultima istanza, la capacità di una nazione di agire. Per ordinarsi e per partecipare all’ordine del mondo. Malgrado gli stereotipi correnti, siamo un popolo più omogeneo e coeso rispetto a molti vicini europei e occidentali. La crisi identitaria che scuote la grande nazione francese e accentua le divisioni nelle tribù tedesche teoricamente unificate nel 1990, per tacere delle faglie che scuotono l’America, sono solo tre esempi della tensione antisociale che infragilisce l’Occidente. Robert Guest traccia sull’Economist un ritratto di questa “grande recessione relazionale”, ovvero “ascesa del singolarismo”, trovandovi persino aspetti positivi. Ma il trionfo della “Generation Single” è per noi italiani campanello di allarme. Se un terzo circa — in crescita — delle famiglie italiane sono “unipersonali”, cioè formate da un singolo (in che senso il singolo sia famiglia andrebbe argomentato al di là dei tic statistici) e se nelle grandi città le persone sole ( e anziane) sono spesso maggioranza, converrebbe domandarsi come la transizione dal familismo amorale all’individualismo asociale incida sulla coesione degli italiani, quindi sulla capacità dell’Italia di contare nel mondo. Nelle crisi, soprattutto se accompagnate da guerre e conflitti di ogni genere, la recessione relazionale indebolisce le legature sociali, dunque la solidarietà nazionale. Specie dove il senso dello Stato non è la cifra della nazione. La famiglia non può sostituire lo Stato, ma l’individualismo nega insieme società e Stato. Tutto questo si riflette sul sistema politico e sul peso dell’Italia sulla scena internazionale. Sul fronte esterno, la differenza capitale fra questa Repubblica e quella dei partiti consiste nella negazione del riflesso unitario che un tempo spingeva maggioranza e minoranza a non dividersi sulle questioni strategiche essenziali. Oggi la spaccatura verticale, eccitata dal radicalismo non solo verbale della civiltà dei social, è norma di fronte a qualsiasi crisi, dalle migrazioni alle guerre. Riflettere su come arginare l’ascesa del singolarismo per ricucire le ferite che minano la fibra della patria potrebbe contribuire non solo alla convivenza tra italiani ma anche all’iniziativa dell’Italia nel mondo delle potenze revisioniste. Per non esserne revisionati.