La sostituzione etnica, spiegata in modo semplice e personale
di Paolo Becchi - 10/11/2025

Fonte: Paolo Becchi
La mia vita era l’università: i colleghi, gli studenti, il personale amministrativo. Qualche studente straniero o nato qui ma da genitori non italiani. Ho però sempre avuto la sensazione di vivere tra italiani, anche se alcuni erano albanesi o ecuadoriani, perché tutti quelli che ho incontrato rispettavano i nostri costumi e parlavano la nostra lingua. Era un orizzonte confortevole ma limitato.
Oggi sono non solo pensionato ma vivo da pochi mesi nel centro storico di Genova. Ci sono vicoli dove giovani di tutti i colori non si bucano più ma consumano nuove droghe. E spiace dirlo sembrano zombie. Strade dove vedi solo neri che parlano sempre ad alta voce una lingua che non comprendo, se non ogni tanto un po’ di francese, e che non capisco bene cosa facciano tutto il giorno. Di notte gli episodi di violenza sono frequenti. Ma no, non farò un discorso “fascio” di sicurezza. Al diritto alla sicurezza ho sempre preferito la sicurezza dei diritti.
Ho preso il bus e vi assicuro non ci sono gli over settanta con il biglietto per pochi giorni ancora gratis a Genova, ma arabi, musulmani, africani famiglie intere con tre figli e carrozzine. A parte l’autista non so quanti italiani fossero in quel bus. E forse ero l’unico genovese.
La domanda che io mio pongo è: ma io cosa ho in comune con questa gente se non l’appartenenza alla stessa specie? Non è poco, ma basta questo legame a creare il senso di una comunità?

