Dalla arcaica sacralità delle mura difensive al mito di Gog e Magog
di Francesco Petrone - 10/09/2025
Fonte: Francesco Petrone
Terminus era il nome di una divinità Romana. Agli albori era solo una
funzione dello stesso Giove, il quale era, tra l’altro, il protettore degli
impegni presi e del diritto e vigilava su ogni confine delle coltivazioni.
Solo in seguito, questa funzione di Giove, divenne una divinità
autonoma. Il dio del termine vegliava su dispute a quei tempi vitali, come
i confini dei campi. Forse è per questo che, per la legge romana, Remo
venne ucciso, dal fratello stesso o dal capo della guardia, Celere, come
riporta un’altra versione dello stesso mito. Remo, con atto di sfida, aveva
violato un solco di confine, protetto dal dio ed, al contempo, anche le
future mura della città consacrate dal rito di fondazione di antica
tradizione etrusca. Giove era, insieme a Minerva, il protettore della città
di Roma. La personificazione dello Stato romano invece divenne in
seguito la dea Roma, un aspetto della stessa Minerva. Dalla seconda
guerra punica, a Roma comparve una nuova e al contempo antica
divinità recuperata nella lontana Asia Minore. Rappresentava
l’antichissimo culto di Magna Mater identificata come Cibele, la madre di
tutto e protettrice delle mura stesse. Fu un atto di memoria ancestrale
sentendosi i Romani legittimi eredi dei troiani. Questo per illustrare
quanto siano state ritenute importanti le mura per Roma e per ogni altra
civiltà.
Ancora oggi, Roma è circondata dalle mura aureliane, cinta muraria
costruita nel 370 d. C. e ancora integra. Sono bastioni che hanno difeso
o hanno cercato di difende la città per molti secoli. In uno di questi
assedi, quello che passò alla storia come il sacco di Roma, sappiamo
che era accorso sugli spalti a battersi anche l’orafo e scultore fiorentino
Benvenuto Cellini. Era il 1527 e su quelle mura, perirono quasi tutti i figli
dell’aristocrazia romana, facendo rivivere la fermezza dei combattenti di
Roma antica. Sappiamo che molti popolani, presi da panico di fronte alla
furia del Lanzichenecchi al servizio degli imperiali, scapparono nelle
proprie abitazioni per essere poi trucidati insieme alle famiglie nelle loro
case. L’ultima occasione in cui le mura Aureliane furono utilizzate fu
quando entrarono i bersaglieri attraverso la breccia praticata a Porta Pia,
grazie alla quale Roma divenne capitale del Regno. Precedentemente
c’era stata la strenua difesa della Repubblica Romana ispirata da
Giuseppe Mazzini, dove perse la Vita Goffredo Mameli. Con ciò si
comprende la ragione per cui gli antichi avessero addirittura un nume
tutelare a protezione dei bastioni. Una delle prime città con cinta muraria
che la storia ricordi fu Uruk la possente mitica città fortificata del re
Gilgamesh. Già da quel poema abbiamo la netta descrizione della
differenza fra le mura della città, che contengono uno spazio razionale e
ben definito, rappresentante la civiltà contrapposta al caos, alla selva
ancora vergine e ambiente di Enkidu, un uomo che compare
nell’epopea, un primitivo amico delle fiere, da cui probabilmente, lo
scrittore Edgar Rice Burroughs di ispirò per il suo ciclo di Tarzan. La città
del poema, somiglia ad uno spazio psicologico. Inoltre il campo coltivato,
rappresenterebbe un’area razionalizzata che altro non sarebbe che
l’estensione mentale della città coi suoi confini geometrici, sotto il
dominio della legge e del diritto. La cinta muraria corrisponderebbe alla
mente razionale che racchiude il reticolato geometrico delle vie urbane
tracciate con un senso logico. Le mura separano il sé razionale dal caos
primigenio, l’ombra che l’ego cosciente non riconosce in sé. Il dominio
della dea Minerva da quello del dio Pan. Indubbiamente le mura più
famose sono quelle descritte dal poema di Omero, sono quelle di Troia
con le mitiche porte Scee. Erano mura rimaste inviolate e penetrate
unicamente con l’inganno, sotto i cui bastioni, come è stato cantato,
perirono Ettore, Achille, Pentesilea, Polissena, Aiace, Patroclo, in una
guerra che vide il tramonto dell’età degli eroi. Ogni tipo di mura ha
protetto la civiltà dalla barbarie, lo ha fatto col Limes Romano ed il Vallo
Adriano. Pensiamo alla gigantesca muraglia cinese che fu edificata per
proteggere la civiltà cinese dalle incursioni dei nomadi mongoli. Ci sono
state mura che hanno difeso la fede, non alludiamo solo, le mura
Leonine, che corrono intorno al Vaticano coi loro bastioni, ma quelle dei
monasteri sparsi in ogni angolo d’Europa e costruiti come fortezze o
anche quelle delle innumerevoli missioni sparse nel mondo. I muri
difendevano ogni villa Romana rustica, ogni fattoria dei Sassoni, ogni
masseria, ogni città, borgo, castello isolato o torre di avvistamento. In
Russia ogni città aveva il suo Cremlino, famose le mura di quello
moscovita le cui torri furono progettate da un architetto italiano, Pietro
Solari. L'architetto, infatti, intervallò l’opera con eleganti torri di
fortificazione. Le mura e le città nascono con l’agricoltura e col confine
dei campi e la sedentarizzazione della società. Le città nascono intorno
al palazzo. Infatti la città, secondo la Bibbia, fu fondata proprio da Caino
unicamente perché era un agricoltore. Il pastore nomade Abele non
avrebbe mai potuto fondare un agglomerato urbano. Lo osserviamo
nelle Americhe con la differenza di residenze dei nativi del nordamerica
e le città degli Aztechi, dato che in quella civiltà praticavano l’agricoltura
da millenni. L’Antico Testamento ci dice, tra le righe, che solo dalla
società sedentaria può nascere la civiltà. Infatti è la discendenza
dell’agricoltore Caino, al riparo delle mura della città che dà inizio al
progresso con l’invenzione della metallurgia, per poi vedere l’apparizione
della musica, e della danza danza, come del canto, ed anche tutto ciò
che rappresenta da sempre la civiltà. I muri, oggi tanto deprecati, in
modo retorico, hanno sempre difeso i beni e le persone dai predoni ed
hanno permesso lo sviluppo di comunità organizzate. Ogni castello, con
le sue mura, era il sicuro rifugio del contado in caso di incursioni. È stato
ipotizzato da storici che gli Unni avessero abbandonato l’Europa perché
a differenza dell’Asia, povera di grandi estensioni e praterie, nutrimento
per i loro grandi branchi di cavalli, ma anche per le frequenti
fortificazioni, cinte murarie che costellavano il continente. Il simbolo del
muro non separa unicamente spazi ma anche dimensioni esistenziali, ha
rappresentato da sempre un al di qua in relazione ad un aldilà. È un
limite che ha rappresentato la separazione tra la comunità organica, i
rapporti umani codificati dalle leggi e ciò che non aveva alcun ordine.
L’archetipo di tutti i muri nasce con l’idea di protezione quasi materna del
nucleo più antico che è quello familiare. Ecco perché era la Grande
Madre la protettrice delle mura, la dea incoronata da una cinta muraria.
La dimora ideale descritta da Omero, è quella di Ulisse, edificata intorno
alla camera nuziale e questa stanza edificata intorno al talamo che era
stato ricavato da un albero che ancora affondava le radici in profondità. I
muri, in questo caso, sembrano proteggere il Genius familiare, mentre il
focolare lo rappresenta visivamente. Per gli antichi le mura, o che
fossero del borgo, o della città rappresentavano l’estensione di quelle
della domus. Nella società moderna i confini nazionali sostituendo le
mura urbane e le hanno rese inutili. Attentare a questi e a quelle
nasconde unicamente la fredda volontà di distruggere ogni comunità e
cultura identitaria ed ogni ideale o campanile il quale rappresenta l’asse
verticale, la centralità della fede comunitaria. Il campanile rappresenta
una comunità di persone aggregate da una comunanza di sentimenti ed
è il simbolo visivo di appartenenza che con la sua voce autorevole che
chiama a raccolta. Ogni volontà disgregante sarebbe una volontà
divisoria. Tanto è compenetrato, l’inconscio di tutti i popoli, del senso
protettivo, quasi divino, delle mura, che esiste una storia che affonda le
lontane origini nella Bibbia, nei Vangeli, fino al Corano. Narra, una
tradizione islamica, che Alessandro Magno, mitico eroe fondatore, aveva
sbarrato la strada ad un pericoloso quanto numeroso popolo barbarico di
natura demoniaca, le inquietanti genti di Gog e Magog. Alessandro
Magno avrebbe edificato una potente barriera, consistente in una
poderosa muraglia di rame all’altezza delle grandi catene montuose che
ci separano dall'Asia. Si narra che alla fine dei tempi, questi muri di
solido metallo, eretti dal macedone crolleranno e le masse degli agenti
del caos, irrompendo invaderanno la terra. La leggenda ci fa
comprendere che, da sempre, il crollo di muri e barriere protettive,
corrisponde ad un evento funesto per ogni popolo e in ogni tempo. In
ogni civiltà o religione il muro protettivo ha sempre rappresentato l’ordine
divino a difesa dal caos di natura diabolica del divisore. Nell’inconscio
collettivo il simbolo del muro è sempre stato assimilato alla funzione di
una diga. Ogni solidarismo comunitario prevede un noi distinto dagli altri.
Non è un caso se a protezione delle mura di Roma troviamo Cibele,
Magna Mater, una protezione materna della città, comunità che
affratella.