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Dalla geopolitica alla geopandemia: le nuove dimensioni del potere globale

di Roberto Bonuglia - 31/12/2020

Dalla geopolitica alla geopandemia: le nuove dimensioni del potere globale

Fonte: Accademia nuova Italia

La mondializzazione attuata sotto l’egida regia delle élite economiche dalla caduta del muro di Berlino al diffondersi ‒ globalmente e simultaneamente ‒ del Covid-19 ha, tra le altre cose, contribuito al sorgere di una serie di neologismi.

Uno di questi è, senza dubbio, quello di ‘geopandemia’ che riassume l’insieme di dinamiche narrative, biocratiche, biopolitiche e ‒ non da ultimo in ordine di importanza ‒, geopolitiche, che il mondo post pandemico sta imponendo, ormai da mesi, a miliardi di persone.

A ben guardare, gli effetti delle rigorose strette imposte ‘per arginare il contagio’ traggono linfa vitale da modelli di gestione comunitaria che mirano ‒ almeno ufficialmente ‒ alla salvaguardia della salute. In che, in linea di massima, dovrebbe rappresentare un fatto positivo.

Peccato, però, che «la relazione tra amministrazione parcellizzata dei corpi e gestione globale della vita» abbia consentito la formazione «di quella complessa rete di saperi che ha generato la nuova forma di assoggettamento dei corpi e la nuova forma di controllo della vita delle popolazioni» (V. Marchetti, Biopolitica e biostoria, in «Contemporanea», a. XVII, n. 2, 2014, pp. 317-318).

Nel mondo forzatamente globalizzato le nuove dimensioni del potere fanno leva su ‘saperi’ che le élite di cui sopra ‒ schermate dall’univoca verità della vulgata sanitaria dalla quale è impossibile dissentire ‒ non propongono, ma impongono.

Le decisioni prese a livello globale ‒ dal lockdown alle vaccinazioni di massa ‒ sono infatti tutte motivate da considerazioni prese ‘a monte’ e dalle quali è sempre più complicato (sia negli assunti sia nelle conseguenze) misurarsi in modo simmetrico.

La ‘volontà di sapere’ ‒ per dirla con Michel Foucault ‒ se ciò miri realmente al bene o meno delle popolazioni, non può essere esercitata. Si rimane col dubbio che l’esercito di virologi e specialisti del Covid-19, continuando ad asserire tutto e il contrario di tutto, lo faccia sapendo perfettamente che ciò che essi dicono spesso risulti un ‘non-senso’ per la maggioranza delle persone.

Il che attualizza le riflessioni di Eric Voegelin quando, in una conferenza tenuta a Milano il 18 maggio 1967 polemizzando con Jean-Paul Charles Aymard Sartre, sostenne: «la gente che vive in malafede sa di vivere in malafede e ha coscienza di tutti i problemi che tuttavia vuol ignorare e di cui non vuole ammettere l’esistenza» (E. Voegelin, Apocalisse e rivoluzione).

La quasi totalità delle loro esternazioni, infatti, si poggiano su nozioni mediche e biologiche che la gente a cui sono dirette non ha gli strumenti per decriptare. E ciò non è mai un bene perché «se tutto si riduce alle pratiche ‘magiche’ per l’avvento del mondo nuovo, il problema metafisico esistenziale della verità-in-sé e del bene-in-sé viene eluso» (F. Gianfranceschi, Il sistema delle menzogne, Milano, Rusconi, 1977).

È quel che accade quando un regime a base ideologica ‒ oggi sanitaria ‒ sviluppa speciali tecniche ‒ lo scientismo ‒ per non far conoscere i fatti della storia provando a distruggere la memoria dei popoli mediante la falsificazione delle fonti e dei documenti che permettono agli uomini di ricostruire la loro vera identità e scoprire, quindi, la loro reale missione.

Ciò si verifica quando, come di questi tempi, vige il divieto di far domande: sull’altare del distanziamento sociale il settarismo medico-sanitario ha sostituito quello gnostico eliminando anche le occasioni concrete possibili ‒ convegni, conferenze, dibattiti, semplici cene di Natale ‒ che potrebbero spingere l’uomo a porre domande ‘imbarazzanti’ sulla verità o sulla falsità impedendo, così, lo sviluppo della coscienza critica e incoraggiandone l’alienazione.

Una di queste domande è se la realtà fattuale imposta in questi mesi di geopandemia sia mossa dalla buona o dalla cattiva fede: questione esiziale poiché, nel secondo caso, potrebbe anche succedere che le verità supposte celino invece «menzogne rivelate come tali solo quando l’iniziato sarà disposto psicologicamente e moralmente ad accertarle» (L. De Poncins, Christianisme et Franc-Maçonnerie, Versailles, L’Ordre Français, 1969).

Non sorprende, dunque, che la sfida geopandemica farà sì che nell’era della post-globalizzazione «la conflittualità non si manifesterà solo nella vecchia dimensione spaziale/istituzionale, ma anche attraverso una verticalizzazione delle contrapposizioni all’interno di ogni singola realtà statuale» (S. Santangelo, Geopandemia, Roma, Castelvecchi, 2020).

E, soprattutto, che tal contrapposizione trascenda gli stessi confini statuali in considerazione del fatto che lo Stato ‒ quello tradizionalmente inteso sacrificato sull’altare delle organizzazioni internazionali ‒ pare ormai già da tempo superato dallo stesso mondialismo e dal connesso neoliberismo.