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Della tolleranza

di Livio Cadè - 20/09/2020

Della tolleranza

Fonte: Ereticamente

“L’insulto non è tollerato né dall’uomo forte né da quello libero.”
(Publilio Siro)

Anni fa, in Messico, un tale mi raccontava quanto profonda e vasta fosse la corruzione in quel Paese e come le classi meno agiate ne avessero a patir le conseguenze. “E perché la gente non si ribella?” chiesi. “Ah! Los mexicanos aguantan (sopportano) muy bien!” mi rispose con un sorriso ambiguo. Non so se deplorasse l’indolenza dei suoi connazionali o se ne scusasse la rassegnazione impotente. Aguantar muy bien rende bene l’idea di quello stato di molle tolleranza in cui è impossibile insorgere e lottare. Un’inflessibile intolleranza è infatti necessaria ad ogni ribellione. Vi ho ripensato spesso in questi tempi bui. Per esempio, pochi giorni fa.
Camminavo con un amico tra sentieri di campagna quando un tizio ci passa accanto correndo e ansimando, ormai prossimo all’asfissia. Ha il volto coperto, secondo i dettami di quest’assurda sharia sanitaria, che soffoca corpo e mente. Di questo passo, girare a volto nudo diventerà immorale quanto il mostrare le pudenda. “Ecco un altro cretino!” sbotto. Il mio amico mi rimprovera, m’accusa d’essere intollerante. Dovevo dunque giustificarmi e portar ragioni.
È vero, questa follia ha consumato la mia tolleranza. Anzi, non tollero neppure la tolleranza, e son d’accordo con Richard Baxter, quel grande e cocciuto puritano, che la chiamava “assassina delle anime”. Il mio amico ritiene invece che la tolleranza sia garanzia di pace e virtù cristiana. Gli duole non trovarla citata tra la fede, la speranza e la carità, e nemmeno tra le virtù cardinali. Deve appellarsi alle opere di misericordia spirituale, alla voce: sopportare pazientemente le persone moleste. Difatti tollerare significa sopportare un peso, un male di natura fisica o morale.
Evidentemente il mio amico si attiene alla regola generale, che vede nella tolleranza una virtù. Non è precetto cristiano ma si trova in ogni coscienzioso catechismo borghese. La parola stessa trasuda bontà, civiltà, progresso.  Per converso l’intolleranza diviene un grave difetto morale, un sentimento ignobile, simile all’odio, che causa guerre e Inquisizioni. Questo assioma generale può tuttavia esser rovesciato e contemplare situazioni in cui la tolleranza è dannosa e l’esser intolleranti un bene. Ogni buon cittadino dovrà quindi studiarsi i postulati della tolleranza relativa per sapere cosa amare e cosa odiare, secondo i casi specifici.
Fortunatamente, nessuna legge ci obbliga a tollerare il mal di denti. È consentita anche l’intolleranza naturale del nostro corpo a certi cibi o sostanze. Ma è proibita o severamente limitata l’intolleranza dello spirito a certe idee o persone. La pluralità dei gusti e delle opinioni sembra dunque il peso che dobbiamo sopportare. Il pregio della tolleranza starebbe in questo, nel rispetto delle credenze e delle scelte altrui. A me pare tuttavia di notarvi una contraddizione. Infatti tollerare le idee e le abitudini di qualcuno vuol dire giudicarle un male. Questo dovere di sopportazione mi sembra offendere più che rispettare. Ma non voglio cavillare e concedo pure che la tolleranza abbia avuto dei meriti nel prevenire conflitti e violenze. Ma questa era la sua infantile utopia, innocente e graziosa come una bimba che sorride. Oggi la tolleranza è vecchia e laida. Biascica parole di pace con un moralismo dispotico e inacidito. Decide a suo piacere cosa vada amabilmente tollerato o brutalmente represso. A suo arbitrio dà patenti di odio e di bontà, esclude dai benefici del suo amore universale chi abbia opinioni divergenti, e tratta con feroce intolleranza chi osa contraddirla.
La tolleranza è diventata una decrepita scettica che cerca solo di trar profitto dalle circostanze. Nata per rispettare le varie fedi, è oggi arrivata al punto di negare che esista una verità. In questo non fa che applicar la coerenza, perché se una credenza vale un’altra e tutte dicono cose diverse, nessuna di loro può esser vera. Vale quindi la regola che “ogni opinione merita rispetto”, anche quando ci sembra un’asinata madornale. Ma per lo stesso motivo, se cioè fosse vero che non esiste verità, potremmo optare per la regola contraria, ossia che “nessuna opinione merita rispetto”. Dovremo comunque, per esser tolleranti, prender come verità assoluta il fatto che non esiste verità assoluta.
Così, la tolleranza porta al nichilismo. Ma l’uomo rifiuta per istinto d’esser nichilista e sente la prepotente necessità di essere intollerante a qualcosa. Il legnoso galateo intellettuale, la fredda equidistanza dalle opinioni o l’indifferenza ai valori, frustrano la sua natura passionale. Perciò, per poter esprimere le proprie avversioni con la coscienza tranquilla – “questa invenzione del demonio” – deve dar loro forza di legge. Il potere ha creato così una burocrazia dell’odio, dove distingue l’odio buono (il suo) da quello cattivo. E poichè alla tolleranza manca un criterio di verità, questa nomenclatura dei valori umani è affidata agli strumenti della propaganda.
Amico mio, se dobbiamo parlare di ciò che è intollerabile al mondo, discutiamo dell’orrida, grigia burocrazia che esce dai bureaux e invade le strade e i cuori della gente. Questo tentativo di arginare la disperazione nichilista nascondendo la mancanza di senso con regole sempre più minuziose e confuse, aggrappandosi a norme campate in aria perché le manca un reale fondamento. In fondo questo è logico, perché se non c’è verità tutto è insensato. Compito della mente burocratica è allora render tollerabile l’assurdo. Il nostro pensiero deve ragionare a commi e clausole, mediante la compilazione di moduli e di questionari a risposte fisse. Non importa che la risposta sia vera, basta sia corretta. La politica, la società, la scuola, sono intrappolate come mosche nella ragnatela di questa coscienza burocratica, nei suoi sottili e robustissimi fili.
D’altro canto, bisogna ammetterlo, è difficile oggi non esser burocrati, ovvero stupidi, qualunque sia il campo in cui ci si muove. L’uomo burocratico non è necessariamente ottuso per nascita. Lo diventa per necessità, a causa di un conflitto tra l’intelligenza e la società in cui vive. Per questo, per un meccanismo di adattamento naturale, è costretto a elaborare prassi e linguaggi incomprensibili, a tormentare l’anima col suo mandarinismo mentale. Come si impara a nuotare per non annegare, l’uomo gettato nella palude della società moderna deve perdere la sua intelligenza naturale. Solo così può tollerare l’assurdo di una vita senza verità.
Quel podista mascherato ce lo dimostra, col suo ligio conformarsi alla burocrazia della paura. Ovviamente la paura appartiene agli istinti naturali. Ma è la burocrazia che oggi la istruisce su cosa è giusto temere. L’angoscia della malattia, della vecchiaia e della morte è antica quanto l’uomo. Ma i nostri avi sapevano rassegnarsi a tali inevitabili mali e li accettavano. Questo implicava una certa facoltà spirituale, dignitosa e libera, che la nuova tirannide non può tollerare. Occorreva creare una più sorda e intollerabile inquietudine. Perciò si è insinuata nel cervello della gente l’idea di un’esistenza meramente biologica. Secondo il dogma materialistico e scientifico, la sanità fisica è il bene supremo e la morte coincide col nostro annientamento definitivo e totale. Quale altro destino può attendere una massa di particelle casualmente unite che disunendosi tornano al caos? Così è bastato inventarsi un’apocalissi sanitaria per precipitare intere popolazioni nel panico e nell’isteria. È stato sufficiente darne la colpa a un essere invisibile perché tutti scaricassero su questo fantomatico nemico le più profonde angosce.
Ho visto così persone un tempo illuministe accettare ogni oscura superstizione; pronte a bere il sangue di giovani vergini, pur di salvarsi. Scossa dall’imago mortis, la cieca fede nel progresso ha vacillato, disorientata dall’irruzione di forze infere e misteriose, che minacciano di infettare e distruggere l’ordine biochimico dell’esistenza. Tutti cercano qualcosa che li difenda dall’assoluto conturbante che incombe sulla loro vita – la fine, la perdita di ogni illusione. E la scienza, questa divinità di cui non vedono i limiti e le contraddizioni, diviene per loro l’unico rifugio. Così, dopo averla burocraticamente spaventata, è bastato fornire alla gente burocratiche rassicurazioni, offrirle i miracolosi sacramenti necessari alla salvezza, per ottenerne la più remissiva ubbidienza.
Anime forti, temprate da antiche virtù, ne avrebbero riso. Ma anche coloro che si dicono cristiani sono oggi ossessionati dalle cure del corpo e dimenticano quelle dell’anima. Credono che la scienza li possa salvare molto prima e molto meglio di Dio. Non essendoci verità assolute non può infatti esistere il sacro, che incarna l’Assoluto. Del resto, se la Chiesa fosse ancora testimone di verità, vedremmo il Papa levarsi contro i tiranni che ci opprimono, scomunicarli e condannarli alla dannazione eterna. Lo ascolteremmo predicare l’intolleranza e non ammannirci puerili predicozzi. Ma anche le gerarchie ecclesiastiche preferiscono trattare il Diavolo con tolleranza e modernistico rispetto.
Così, mentre nella nostra ingenua tolleranza abbattiamo muri e gettiamo ponti, il Male penetra nel mondo e fa scempio delle anime, delle religioni, delle famiglie e della natura. Giorno dopo giorno dobbiamo tollerare il progressivo sfacelo delle nostre tradizioni, la sterilità della nostra cultura. L’uomo moderno,  aperto a tutto, è purtroppo chiuso ad ogni trascendenza. Non sa trarre ispirazione né dalla tradizione né dalla natura né dalle proprie scaturigini interiori. Perciò non crea più nulla che valga.  Si è abituato a tollerare ogni sorta di sconcezza e di falsità. La bellezza e la verità sono sicuramente sepolte da qualche parte, sotto uno spesso strato di tolleranza. Possiamo ritrovarle solo nella nostra memoria, recandoci in devoti pellegrinaggi al tempo passato. Fuggendo dal popoloso deserto che avanza, vedremo dapprima emergere qualche rara oasi e infine valli fiorite, foreste e fiumi maestosi. Ma tornando al presente, ahimè, ritroveremo l’aridità e l’arsura.
Dovrei dunque tollerare i pensieri dell’uomo medio, le sue paure? Anche se volessi mi sarebbe impossibile, dato che l’uomo medio non pensa, preferisce non avere idee e opinioni personali. Anche le sue emozioni non sono più sue. Lascia che siano giornali e TV a pensare per lui. Nell’amministrazione della sua coscienza preferisce affidarsi alle autorità, a un sensorio esterno che media tra lui e il mondo. È raro trovare nell’uomo moderno spazi interiori ancora non colonizzati dai media. La società lo burocratizza, la scienza lo automatizza. I suoi atti divengono perfettamente prevedibili, risponde agli stimoli come un cane di Pavlov. In futuro si pretenderà da lui quel che si chiede a una macchina. Dovrà reagire ai comandi esterni con immutabili riflessi nervosi. E se avrà difetti di funzionamento verrà aggiustato o demolito. La sua stessa libertà di immaginare, di elaborare gli archetipi dell’anima, verrà annullata e sostituita dagli stereotipi del sistema. Godrà di una libertà svuotata di senso, “addomesticata e ridotta a puro concetto”, che si identificherà con quello per cui è stato programmato. Gli verranno offerte comodità, utilità, benessere, che dovrà pagare con i residui spiccioli di libertà.
Perché dunque dovrei tollerare un cretino che corre in maschera, respirando i suoi gas di scarico? Mi verrebbe più naturale rispettare un criminale intelligente. Amico mio, lasciami esser intollerante, anche se non serve a nulla. Lascia che io trovi intollerabile la follia del mondo. Non nutro alcuna razionale speranza. Ho solo un’intuizione della verità. Questo mi aiuta a resistere, anche contro il pessimismo della ragione. So che solo un miracolo ci può salvare. Ma se un miracolo è assolutamente necessario è anche ineluttabile.