Demonizzare l’Iran serve a fomentare una guerra
di Elena Basile - 24/09/2025
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Consiglio a tutti di leggere l’intervista di Emmanuel Todd, rilasciata in Giappone e pubblicata da Krisis. L’antropologo afferma che la possibilità di pubblicare in Giappone lo ha salvato dalla censura perpetrata in patria. Considera le maggiori emittenti statali come France Inter, France Culture, France 2, France 3, La5, France Info agenti attivi e incompetenti del controllo dell’opinione pubblica. Sebbene la corruzione del sistema mediatico sia ai più nota, la denuncia dell’intellettuale francese è di grande interesse in quanto da essa si deduce come la situazione della stampa e dei media più popolari in Europa, non potendo essere il caso francese una anomalia, sia degenerata. In Italia gli opinion maker più ascoltati, purtroppo a volte anche i conduttori di programmi non così in voga, si rifiutano di ammettere che esista la censura e che, senza paragoni col passato, grazie a incentivi finanziari e ricatti delle lobby, lo spazio mediatico è particolarmente conformista e devoto al potere. Esistono eccezioni, tra le quali menzionerei naturalmente la testata sulla quale scrivo. Ho ascoltato Paolo Mieli e un suo interlocutore di Radio Radicale affermare che quando sentono parlare di mainstream, avrebbero voglia come Goebbels di mettere mano alla pistola. Una battuta poco fortunata con la quale intendevano negare l’oggettività delle critiche all’autoritarismo delle cosiddette democrazie e mettere nell’angolo i “complottisti” che si permettono giudizi sull’esistenza o meno in Europa della libertà di stampa e di espressione. Una buona sintesi credo sia che, essendo fortunatamente il potere occidentale forte e ben radicato, esso non ha bisogno di utilizzare la forza contro il dissenso, avendo armi sottili per escludere dai circuiti che contano una narrativa ostile a quella della classe dominante. Come molti affermano: abbiamo il diritto di parlare, ma non di essere ascoltati. La parte più interessante dell’intervista di Todd è dedicata all’Iran, all’islam sciita che in Occidente è l’uomo nero fabbricato dai media in alternanza con la Russia. Non sono un’esperta del Paese, ma mi è sempre apparso chiaro che l’erede dell’impero persiano presentasse una complessità politico-sociale e culturale tale da non poter essere ridotto alla lettura in bianco e nero dei nostri media. Il cinema iraniano è una testimonianza di una società composita e dinamica demonizzata dall’Occidente per questioni geopolitiche.
Nel capolavoro del regista Asghar Farhadi, Una separazione, il rapporto tra uomo e donna viene esaminato con profondità e sottigliezza psicologica, rara a Hollywood. Il film è stato girato e acclamato in Iran come all’estero. Non si nega che vi siano aspetti repressivi nel regime degli Ayatollah, a cominciare dal numero delle condanne a morte e dal controllo dei costumi che devono essere consoni alla legge di una Repubblica teocratica. Si afferma con Todd che il Paese è una struttura complessa, con proprie procedure democratiche, con una cultura e istruzione eccezionali, con una maggioranza di donne istruite e all’università, con un numero di ingegneri superiore a quello occidentale. Il tasso di natalità si è gradualmente abbassato a partire dal 1985, in parallelo con il tasso di istruzione femminile. Oggi è simile a quello francese. Todd, analizzando la struttura familiare, afferma che gli Stati sunniti sono governati da clan familiari. Ucciso il despota, Saddam o Gheddafi, lo Stato crolla. In Iran i regime change programmati dall’Occidente sono invece destinati a fallire. Gli illegali e terroristici attacchi israeliani del 13 giugno contro scienziati e politici iraniani seguiti da quelli statunitensi del 21 dello stesso mese contro i siti nucleari hanno avuto l’effetto opposto alla destabilizzazione desiderata dalle pacifiche democrazie: la società civile, anche il dissenso si è compattato intorno al governo. Il disprezzo occidentale per le culture e le forme di governance diverse dalla nostra induce a sbagli cruciali. La sottovalutazione della forza russa ha portato l’Europa nel pantano ucraino. E Bruxelles persiste nei suoi errori. Con l’Iran, come sottolineava l’ambasciatore iraniano in Italia, i rapporti e gli interessi dei principali Paesi europei come il nostro erano solidi. Eravamo, un tempo non troppo lontano, inclini alla diplomazia che portava notevoli benefici reciproci. Il dialogo oggi diminuisce. L’Europa nel suo insieme è allineata alla politica guerrafondaia di Israele e di Trump. Mentre i false flag attack si ripetono freneticamente riuscendo a rendere il conflitto diretto Nato-Russia sempre più verosimile, la subdola campagna anti-iraniana continua, strumentalizzando il movimento femminista e dei diritti umani al fine di preparare le mai sopite guerre neoconservatrici statunitensi.