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Dentro l’io abita il noi

di Marcello Veneziani - 25/10/2020

Dentro l’io abita il noi

Fonte: Marcello Veneziani

Giovanni Gentile è il filosofo della comunità, il più radicale, il più conseguente pensatore comunitario; perché la sua fondazione non è solo sociale ma investe la condizione umana integrale e fonda un orizzonte comune trascendente.

La comunità è dentro di noi, innata, abita in interiore homine, diremmo con linguaggio agostiniano. “La comunità è presente come legge interna all’individuo” e anche la gloria personale non è che il compimento, anzi “l’adempimento”, dell’universale che è in noi. Nella gloria ciò che è soggettivo si fa universale. Organicismo comunitario.

Non è un Noi già compiuto e preesistente né la comunità è un dato naturale che l’individuo eredita dal passato. Ma è un atto, un processo, una volontà in cui ciò che è originario si realizza, diviene e sorge quella che possiamo definire la filosofia dell’identità (…). L’individuo è massima particolarità in quanto è massima universalità, più è lui più è tutti; anzi l’individuo contiene in sé la comunità. Ma anche il volere del singolo si realizza solo nel volere universale dello Stato, la libertà coincide con l’autorità, l’Io con lo Stato, la società trascendentale è l’Io trascendentale.

Basta talvolta uno sguardo e il prossimo si fa tutt’uno con noi, nota Gentile in un passaggio pervaso di romanticismo, “gli occhi sono così eloquenti testimoni del cuore che un lampo solo di essi basta per accendere l’amore inteso come la più perfetta società tra due individui”. In senso più ampio, l’amore è per Gentile “perfezione della conoscenza”; ama le cose chi le studia (non dimentichiamo che studium vuol dire amore). Conoscere è amare, e viceversa. Gentile nota che l’uomo vive d’amore, è l’amore che lo porta a uscire fuori da sé, a condurlo alla trascendenza, superando se stesso.

Per essere individuo non basta nascere, dice Gentile, ma la sua umanità si rivela “nella previsione del futuro”; lo diceva già Kant parlando de “l’attesa ponderata dell’avvenire”. L’uomo è colui che progetta, l’umanità è tensione e proiezione nel futuro e ogni proiezione indica responsabilità del proprio agire, assunzione dei frutti della propria azione. Torna l’identificazione tra libertà e dovere.

Nelle pagine seguenti di Genesi e struttura della società risuona la sacrosanta correlazione tra diritti e doveri, la loro reciprocità necessaria quanto ideale. Riemerge il mazzinianesimo di Gentile ma anche l’incolmabile lontananza dalla nostra età dei diritti che hanno perso ogni relazione coi doveri e si legano piuttosto ai desideri.

Pagine di monumentale fierezza sono dedicate all’elogio della costanza e della coerenza; anche perché dietro quelle parole vedi la vita e la morte di Gentile. È il capitolo dedicato al carattere, che è “la costanza del volere”, in cui la volontà si distingue dalla velleità – che è una volontà fallita, o abortita, che comincia e non finisce ed è dunque inconcludente. È la coerenza che non cambia col mutare delle circostanze, nota Gentile; è l’unità di una vita, il volere di tutta una vita, che non si ferma solo al presente e alle circostanze contingenti. Il carattere non è nel tempo, semmai tempra il proprio tempo, lo curva e lo trascende. Ancor più esplicito e calzante, anche rispetto ai tempi in cui scrive, è il paragrafo dedicato al “coraggio civile” che è la “ferma fedeltà alla propria coscienza, nel parlare ed agire secondo i suoi dettami, assumendone di fronte agli altri tutta la responsabilità”. Non puoi non vedere in questa affermazione il destino a cui va incontro Gentile. Pagine toccanti.