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Ecco perché la Russia non è il nemico dell’Europa

di Fulvio Scaglione - 14/07/2019

Ecco perché la Russia non è il nemico dell’Europa

Fonte: Insideover


Il “caso Savoini-Salvini” solleva commenti di ogni genere, più o meno pertinenti rispetto all’ipotesi che personaggi collegati alla Lega Nord abbiano tramato per ricevere fondi illeciti e compromettenti dalla Russia. Una delle opinioni che più spesso risuona è: la Russia e gli Usa, ovvero Vladimir Putin e Donald Trump, tramano per distruggere l’Unione Europea. Da qui il sostegno di entrambi i Paesi ed entrambi i leader a personaggi come Salvini.

Per non parlare di coloro che hanno una visione ancor più radicale e considerano la Russia e solo la Russia il vero pericolo. Valga per tutti il caso di Nicola Zingaretti, segretario del Pd, pronto a sostenere che la Nato e gli Usa “incarnano il tessuto del multilateralismo internazionale”. Con l’impressione che inevitabilmente fa veder esaltare Nato e Usa da un ex dirigente della Federazione giovanile comunista ed ex vice-segretario dell’Internazionale Socialista.


Ma davvero la Russia, questa Russia, è un nemico giurato dell’Europa e ha come obiettivo strategico quello di disgregarla? Il punto vero è questo, perché da tale assunto deriva poi gran parte dell’imperante russofobia, quella che vede hacker russi ovunque e la mano del Cremlino in qualunque evento arrivi a turbare il “normale” corso delle cose, dalla Brexit alle convulsioni della Catalogna, dall’elezione di Trump alla rincorsa dei partiti sovranisti.

In realtà, non si vede quale convenienza potrebbe trovare la Russia in un’implosione della struttura comunitaria europea. Pare in realtà piuttosto vero il contrario. E per capirlo basta osservare quanto sta succedendo nel Regno Unito. Piaccia o non piaccia agli inglesi, con la Brexit il loro Paese si avvia a diventare uno Stato vassallo degli Usa. La May non piaceva a Trump, che chiedeva un’uscita dura e pura del Regno dalla Ue, e abbiamo visto che fine ha fatto. Boris Johnson, sponsor del no deal (cioè dell’uscita dura e pura, appunto) e per questo stimato da Trump, si avvia a diventare il nuovo primo ministro inglese. L’ambasciatore inglese che criticava Trump è stato messo alla porta.

Ancora più significativo, in proposito, è l’andamento dei colloqui tra Usa e Regno Unito per un accordo commerciale globale che, nelle intenzioni degli inglesi, dovrebbe fare da paracadute all’uscita dall’Unione Europea. Basta seguire le rivelazioni del Telegraph per capire che gli americani giocano come il gatto con il topo, lesinando le concessioni e alzando di continuo l’asticella delle pretese, soprattutto in difesa dei giganti americani del web e delle tecnologie che Londra vorrebbe invece tassare. La cacciata con ignominia di Kim Darroch, l’ambasciatore che rappresentava il Regno Unito negli Usa dal 2016 e che ha dovuto lasciare non solo l’incarico ma anche la carriera diplomatica per aver definito un “inetto” il presidente Usa, non è stata solo un capriccio di Trump ma un modo molto esplicito di far capire agli inglesi, e non solo a loro, chi davvero comanda.

Questa lunga premessa era necessaria per arrivare al dunque. Se l’Unione Europea fosse colta da una Brexit collettiva e andasse in pezzi, quanti esempi simili a quello del Regno Unito avremmo? Detto in altri termini: quanti Stati vassalli degli Usa ci ritroveremmo sul Continente? Proviamo a fare una lista. Del Regno Unito abbiamo appena detto. Poi i tre Baltici. La Polonia, che si è detta disposta a pagare pur di avere una base americana sul proprio territorio. La Romania, che già ospita il sistema missilistico anti-russo voluto da Barack Obama nel 2008. La Repubblica ceca. La Finlandia, da sempre diffidente verso l’Orso russo che si ritrova ai confini. L’Olanda. La Danimarca. L’Irlanda, per ragioni culturali e anche economiche (è tuttora un paradiso fiscale per i giganti del Web). L’Italia, dove già operano forze importanti (per prima la Lega Nord di Salvini) che fanno dell’allineamento senza se e senza ma agli Usa un caposaldo della propria politica. Forse anche Ungheria e Svezia e i Paesi dell’ex Jugoslavia, e magari la Grecia del dopo-Tsipras targato Nuova Democrazia.

Tutto questo potrebbe avere ripercussioni pesantissime per la Russia. Dal punto di vista economico, in primo luogo. Per fare un solo esempio: questi Paesi, confrontati uno per uno alla potenza di Washington, potrebbero essere convinti a ridimensionare o annullare le forniture russe di gas e petrolio per rivolgersi, invece, a quelle degli Usa che, con le tecniche di estrazione dalle rocce e dalle sabbie, sono diventati la maggiore potenza energetica del mondo. Oppure essere convinti, sempre dagli Usa, a rivolgersi a produttori amici di Washington e alternativi rispetto alla Russia, come già avviene con il Tap (Trans Adriatic Pipeline) rifornito dall’Azerbaigian e di cui lo stesso Salvini ha più volte raccomandato il completamento.

Per non parlare dell’aspetto strategico e militare. La pressione di Trump affinché i Paesi dell’Unione Europea versino più quattrini nelle casse della Nato e rinuncino a ogni ipotesi di esercito europeo è già forte oggi. Pensiamo che cosa sarebbe domani, quando il presidente Usa dovesse rivolgersi non più alla Ue ma, per dire, al governo della Grecia o a quello della Finlandia. È facile immaginare che la Russia sarebbe chiamata a rispondere a una sfida molto più impegnativa di quella attuale, già notevole. Oggi la Nato trova un minimo di freno nella Ue, domani avrebbe libertà totale di azione in Europa.

Siamo ancora convinti che sia negli interessi della Russia disgregare l’Unione Europea? Se non bastassero gli esempi precedenti, che sono solo due tra i molti possibili, proviamo con una piccola controprova. Quali sono i Paesi europei più fedeli ai temi e alle pratiche dell’atlantismo? Quelli a guida sovranista, a cominciare da Polonia e Ungheria, e in generale quelli entrati nella Ue con l’allargamento del 2004, caldissimamente sponsorizzato proprio dagli Usa. E quali sono, invece, i Paesi che oggi hanno rapporti più tesi con gli Usa e con la Nato? Guarda caso i più “europeisti”, vale a dire Germania e Francia.

La Russia, al contrario di quanto si dice, ha bisogno che la Ue resti compatta. E il fatto che auspichi (o lavori per) un rafforzamento dei partiti che, nei diversi Paesi Ue, propongono una distensione nei rapporti tra Bruxelles e Mosca, in nessun modo equivale a desiderare la sparizione della Ue. Bisognerebbe piuttosto chiedersi se altrettanto valga per gli Usa di “America first!”, delle sanzioni contro le esportazioni europee, del subbuglio ucraino nel cuore dell’Europa, dei diktat pro-Nato, dell’appoggio alla Brexit. Ma questo è un altro discorso.