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Edouard Berth: guerra degli Stati o guerra delle classi

di Alain de Benoist - 27/11/2025

Edouard Berth: guerra degli Stati o guerra delle classi

Fonte: GRECE Italia

In occasione della riedizione dell’opera di Edouard Berth, Guerre des États ou guerre des classes (Guerra degli Stati o guerra delle classi), edito da Krisis, abbiamo intervistato Alain de Benoist, autore della prefazione, su questa figura iconoclastica e inclassificabile del «socialismo francese», ancora largamente sconosciuta al grande pubblico nonostante la sua opera fondamentale per comprendere il periodo tra le due guerre.

 ÉLÉMENTS: Nell’ambito delle edizioni Krisis, ma anche sulle pagine della rivista Éléments, avete intrapreso un importante lavoro di riedizione e «riscoperta» della  figura di Edouard Berth e della sua opera. Quali sono le origini e le ragioni del vostro particolare interesse per questo autore?

ALAIN DE BENOIST: Edouard Berth (1875-1939) è generalmente presentato nei manuali di storia delle idee come «il più fedele discepolo di Georges Sorel». Si tratta quindi, fondamentalmente, di un autore che si inserisce nella corrente del sindacalismo rivoluzionario, per il quale ho sempre provato grande simpatia. Ma se mi sono interessato a lui è anche perché la sua evoluzione lo ha portato ad assumere le sue idee in contesti molto diversi, il che lo rende anche un personaggio «trasversale». Mi piacciono i personaggi «trasversali», perché sono personalità polifoniche: l’esatto contrario dei dischi rotti! È anche questo che rende appassionante il suo percorso politico e intellettuale, di cui ho cercato di rendere conto nel libro che gli ho dedicato nel 2013.

Nel 2007 avevo già ripubblicato per Krisis il suo saggio più famoso,  I crimini degli intellettuali, apparso nel 1914. A quell’epoca Berth era molto vicino a Georges Valois, anch’egli passato dall’anarchismo all’Action française. Fu con lui che lanciò il Cercle Proudhon, una struttura effimera diventata «mitica», dove si riunivano sia monarchici che sindacalisti rivoluzionari. Guerra tra stati o guerra di classe fu pubblicato dieci anni dopo, nell’agosto del 1924. Fin dalle prime pagine si nota che il tono è cambiato, così come le idee che vi sono espresse. Il nemico è sempre lo stesso – «le nostre democrazie borghesi che sanno solo oscillare tra un cesarismo onnipotente e un individualismo di pura dissoluzione sociale» – e l’obiettivo è sempre quello di porre fine all’«era plutocratica» per ritrovare gli «stili di vita decenti e modesti» di cui si nutre il «sublime proletario», ma da una prospettiva differente.

ÉLÉMENTS:  In Guerra tra stati o guerra di classe, Edouard Berth interroga i militanti politici dell’epoca sull’alternativa tra «fascismo» e «comunismo», tra Lenin e Mussolini. Si può considerare Berth un teorico di quella famosa «terza via» politica che molti hanno cercato, ma che pochissimi sono riusciti a tracciare realmente?

ALAIN DE BENOIST: No. Edouard Berth ha cercato piuttosto di trovare una «terza via» all’epoca del Cercle Proudhon, quando voleva conciliare lo «spirito apollineo» di Maurras e lo «spirito dionisiaco» di Sorel. Nel 1924, due anni dopo la morte di Sorel, Berth non si aspettava più nulla da una destra che lo aveva deluso troppo. Ai suoi occhi, non era più il momento di sintetizzare le idee di Maurras e Sorel. L’alternativa che dominava l’inizio degli anni ’20 era «Lenin o Mussolini» – o addirittura «Maurras o Lenin »! La rivoluzione russa era passata di lì – e, prima di essa, la Grande Guerra che aveva cambiato tutto. Come Sorel, Berth condannò con forza l’adesione dell’Action française all’«Unione sacra» (Union Sacrée), così come quella della CGT, nella quale aveva riposto tante speranze all’epoca della Carta d’Amiens. Questo appoggio era ai suoi occhi doppiamente inaccettabile: Maurras, che egli definisce «giacobino bianco», ha tradito se stesso «ribattezzando nazionale ciò che è solo borghese», e la classe operaia si è lasciata sedurre dai partiti. «Dall’agosto 1914, scrive Berth, l’A.F. ha cessato moralmente di esistere»! Da qui il titolo del suo libro.

Georges Sorel accolse inizialmente la rivoluzione del 1917 come una divina sorpresa. «Bisogna essere ciechi per non vedere che la rivoluzione russa è l’alba di una nuova era», scriverà nella prefazione a Materiali per una teoria del proletariato. Nell’ottobre 1918 pubblicò addirittura un’«Apologia di Lenin», testo ben noto a tutti i soreliani che sarebbe stato inserito nella quarta edizione di Riflessioni sulla violenza. Edouard Berth, per alcuni anni, avrebbe mantenuto la stessa posizione. A differenza di Georges Valois, con cui ha (provvisoriamente) rotto, non prova la minima simpatia per il fascismo. A partire dal 1922, collabora alla rivista comunista Clarté, fondata l’anno precedente da Henri Barbusse, facendo di Lenin una sorta di santo soreliano, «che visse letteralmente solo per la Rivoluzione, corpo e anima, con la dedizione assoluta e totale di un gesuita al suo ordine, di un soldato al suo Imperatore o di un Machiavelli al suo Principe»! Ma il suo entusiasmo si affievolì rapidamente e, a differenza di molti altri, riconobbe molto presto il suo errore. Già nel 1925 smette di scrivere su Clarté e fa autocritica. Lungi dal ridare vita agli ideali di Sorel e Proudhon, la rivoluzione russa non ha fatto altro che instaurare una nuova dittatura di Stato, un «comunismo di termiti».

ÉLÉMENTS: L’opera di Berth ha ormai solo un interesse puramente “storico” nel campo delle idee politiche o è ancora possibile trovare oggi eco alle riflessioni e alle domande che essa contiene?

ALAIN DE BENOIST: «La storia per la storia» è un po’ come «l’arte per l’arte»: una formula che non significa granché. La storia è sempre ricca di esempi, controesempi e lezioni. Diviso tra destra e sinistra, Sorel e Marx, Lenin e Maurras, Edouard Berth è sempre rimasto fedele alle sue convinzioni, a cominciare dall’idea che «tutti gli eroismi sono fratelli, quello militare come quello religioso e quello rivoluzionario». L’obiettivo principale del sindacalismo rivoluzionario era la lotta contro la democrazia liberale e il sistema monetario. Berth, che si considerava un «servitore disinteressato del proletariato», ha sempre anteposto le sue idee a tutto il resto (e prima di tutto a se stesso). Il suo deciso schieramento a favore del popolo – e dei popoli –, la sua convinzione che la società debba essere organizzata dal basso e non in modo autoritario dall’alto, la sua teoria degli antagonismi, la sua lotta a favore della pluralità, il suo gusto per l’autonomia e la libertà, la sua ossessione per la decadenza, la sua denuncia dei valori mercantili e borghesi, il suo gusto per il «sublime», la sua volontà incessantemente riaffermata di associare ideali opposti, che lo ha spesso portato a combattere contemporaneamente su due fronti, l’originalità stessa del suo percorso personale, rendono il suo pensiero più attuale che mai.

Lascio al lettore il piacere di scoprire il suo libro. Da parte mia, mi limiterò a estrapolare questa semplice osservazione che né Jean-Claude Michéa né Christophe Guilluy disapproverebbero nell’epoca della «Francia periferica» e dell’ascesa dei populismi: «In ogni paese, è il popolo, molto più legato al territorio, alla lingua e a tutto ciò che costituisce una patria rispetto alle classi abbienti, la cui vita è più cosmopolita (la ricchezza è un fattore di rapida denazionalizzazione), che rappresenta ciò che c’è di più indigeno in ogni paese». Indigeni di tutti i paesi, unitevi!

Intervista realizzata da Xavier Eman.

 

Traduzione a cura di Piero della Roccella Sorelli.

Trois questions à Alain de Benoist à propos d’Edouard Berth, Èlèments, 15 aprile 2025.