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Europa disarmante

di Gianni Petrosillo - 29/06/2025

Europa disarmante

Fonte: Gianni Petrosillo

Vladimir Zelensky è oggi l’emblema più fedele di quest’Europa, un comico fallito e un criminale che ha consegnato il proprio Paese alla distruzione per inseguire ambizioni storicamente irrealizzabili, peraltro conto terzi. Non sorprende che l’UE abbia sacrificato il proprio futuro e l’ultimo barlume di realismo proprio dietro ad un personaggio simile, macchietta tra le macchiette, con le mani sporche di sangue.
Non stupisce nemmeno che anche il vertice della NATO si collochi sullo stesso piano. Il Segretario generale della NATO, detto anche l'olandese dalla “lingua svolazzante” si è spinto a scrivere:
"Signor Presidente, caro Donald, Congratulazioni e grazie per la sua azione risoluta in Iran; è stata veramente straordinaria, qualcosa che nessun altro ha osato fare. Ci rende tutti più sicuri. Lei sta per arrivare a un altro grande successo questa sera all’Aia. Non è stato facile, ma siamo riusciti a far firmare a tutti il 5 %! Donald, ci ha portato in un momento davvero, davvero importante per l’America, l’Europa e il mondo. Riuscirà a ottenere qualcosa che NESSUN presidente americano in decenni è stato capace di fare. L’Europa pagherà in modo IMPORTANTE, come deve, e sarà la sua vittoria. Buon viaggio e ci vediamo alla cena di Sua Maestà!”
Una simile volgarità servile conferma soltanto che l’Europa, all’interno della NATO, è un’entità geograficamente sottomessa; e sono gli stessi europei a certificare la propria prostrazione al padrone d’oltreoceano. Tutti i cosiddetti leader europei che hanno firmato un accordo del genere non sono che piccoli esecutori, irrilevanti sul piano politico internazionale di fronte agli USA.
Perciò, quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni proclama che l’Italia è finalmente “protagonista” della politica estera, a che cosa si riferisce? A una narrazione falsa che tenta maldestramente di nascondere il servilismo cronico del nostro Paese verso NATO e Stati Uniti. La favola secondo cui questo governo starebbe “cambiando l’Italia” è menzognera, e l’unica attenuante è che l’attuale opposizione, eccezion fatta, forse, per un M5S tutto da verificare, riuscirebbe a fare persino peggio, e senza vergogna.
Passiamo ora al cosiddetto piano di riarmo che l'UE presenta come indispensabile per contrastare la minaccia russa e cinese. Nulla di strano, se non fosse che Russia e Cina rappresentano una minaccia innanzitutto per gli Stati Uniti, non per l’Europa, i cui interessi sarebbero ben altri. Cosa ci hanno mai fatto questi paesi? Nulla di nulla. Dopo quasi ottant’anni, occorrerebbe invece liberarsi proprio dell’ingerenza  statunitense, ingerenza militare, politica, sociale e culturale, che distorce i destini del continente. Volete un nemico reale? Eccolo. Ma lorsignori non lo riconoscono, perché riconoscerlo significherebbe ammettere che la vera politica è un mestiere pericoloso, non adatto a donnine come Ursula von der Leyen, Kaja Kallas, Roberta Metsola, né a omuncoli di Stato ancor peggiori.
Questo piano di riarmo, in realtà, non servirà all’Europa se non a sostenere interessi strategici e priorità che sono americane, non nostre. Del resto, questi traditori delle patrie europee, i quali in un mondo normale non andrebbero oltre una mediocre vita privata, oggi governano Stati, governi e istituzioni inutili.
Peraltro, un grande piano di riarmo potrebbe teoricamente offrire l’occasione di rilanciare l’economia attraverso spesa pubblica in tempo di crisi. Qualcuno ricorderà il cosiddetto keynesismo militare, che sia gli USA sia la Germania nazista sfruttarono per superare crisi economiche profonde. In verità, non furono tanto gli investimenti bellici a far uscire i Paesi dalla depressione, quanto la guerra stessa, che ridefinì l’ordine mondiale instaurando il bipolarismo USA-URSS.
La spesa pubblica in deficit, e quella militare in particolare, può fungere da volano temporaneo di crescita. Le crisi capitalistiche, infatti, derivano soprattutto da carenza di domanda, contrariamente a quelle dei sistemi economici precedenti che erano crisi da penuria. Quando i beni restano invenduti, non serve produrne di più, bensì occorre consentire ai consumatori di svuotare i magazzini, anche ricorrendo a sostegni statali o a maxi-opere che rimettano in moto il sistema.
Come ricorda La Grassa: "Se vi è relativa debolezza della domanda privata (di beni di consumo e di investimento), è necessario che lo Stato effettui una sua spesa (pubblica) che vada a sommarsi a quella dei singoli cittadini, una spesa che quindi supplisca alla deficienza di quella dei privati. Ecco la ragione dell’intervento statale in economia… Lo Stato spende, cioè effettua domanda apprestando le opere infrastrutturali già considerate. Il problema che si pone è però: di che tipo di spesa deve trattarsi? Secondo i principi tradizionali (oggi ripresi con vigore) del mantenimento di un pareggio del bilancio statale (o almeno di un deficit da contenersi il più possibile), lo Stato, se vuol spendere di più, deve dotarsi dei mezzi a ciò necessari tramite un accrescimento dell’imposizione fiscale. Così agendo, però, si provoca la diminuzione del reddito dei cittadini, e dunque della loro domanda, al fine di accrescere la domanda pubblica. I conti non tornano. Si dà con una mano e si toglie con l’altra. La domanda (spesa) statale deve essere in deficit di bilancio. E nemmeno è possibile che lo Stato, per poter spendere, accresca il suo debito con l’emissione di titoli (i bot ad es.) perché, ancora una volta, si sottrarrebbe reddito ai privati, indebolendo così la loro domanda per rafforzare quella pubblica. Puramente e semplicemente, si stampa moneta e la si mette in circolazione comprando i fattori produttivi che servono per compiere le varie opere pubbliche. Secondo la tradizionale teoria quantitativa della moneta, quando lo Stato mette in circolazione una massa di moneta superiore, i prezzi delle merci salgono (inflazione). Secondo la teoria keynesiana ciò è vero solo nel caso che i fattori produttivi (lavoro e capitale) siano pienamente occupati e non si possa perciò accrescere, almeno nel breve periodo (in mancanza di aumento delle potenzialità produttive dovuto ad investimenti e nuove tecnologie), la quantità prodotta e offerta. Quando invece c’è la crisi, i fattori sono disoccupati; ma, come sopra considerato, è essenziale che lo sia il lavoro così come il capitale (mezzi di produzione); debbono esserci milioni di lavoratori a spasso e migliaia di imprese chiuse, ma potenzialmente in grado di riaprire i battenti, con macchinari che hanno solo bisogno di essere lubrificati e rimessi in movimento. L’importante è solo che riparta la domanda dei beni, perché allora le imprese riprendono a produrre, riassumendo forza lavoro. La spesa pubblica per infrastrutture, insomma, dà impulso all’attività di una serie di imprese che debbono – tanto per fare un esempio – fornire cemento, acciaio, vetri, infissi, mobilio, ecc. per costruzioni edili. E queste imprese debbono assumere lavoro (dirigente come esecutivo) per produrre; così facendo, distribuiscono salari a lavoratori prima disoccupati, che cominceranno a domandare beni prodotti, a loro volta, da altre imprese. Anche queste allora si riattivano, acquistando beni di produzione e pagando salari ad altri lavoratori prima disoccupati che, con il salario percepito, domandano altri beni di consumo e …..via di questo passo, in un circolo ora virtuoso di ripresa economica.”
Eppure, nessuno oggi sostiene che il piano di riarmo sarà una manna dal cielo capace di cancellare la disoccupazione europea. Al contrario, ci prospettano tagli e minore sicurezza sociale "in nome della libertà" e della difesa di altri valori astratti attaccati da Mosca. Ci vogliono fregare su tutti i fronti, qualcuno incasserà i vantaggi del riarmo e a noi resteranno solo i danni.
Nel frattempo, in un talk-show russo ho sentito con le mie orecchie: "Se è vero che l’Europa si riarmerà contro di noi, abbiamo il diritto di un attacco preventivo, esattamente come loro hanno fatto con l’Iran". Come si può ben capire il pericolo per l'Europa sono i suoi stessi governanti e non i russi che stiamo costringendo a tirare le conseguenze dei nostri pessimi sragionamenti.