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Fuori l'UE dalla NATO

di Bruno Bosi - 28/02/2024

Fuori l'UE dalla NATO

Fonte: Franco Cardini

Tra qualche mese ci saranno le elezioni per il parlamento europeo. Nella situazione attuale, a dire il vero, non si capisce a cosa serve, se non a negare la possibilità di un’alternativa: politicanti dominati dai vertici atlantisti che si assumono il compito di trasferirne il dominio sui cittadini dell’UE. Per ridare al parlamento la sua naturale funzione di espressione dell’aspirazione dei suoi popoli ad un futuro migliore deve esserci un’alternativa che dimostri quanto sia falsa l’unanimità, offerta in omaggio, dai nostri delegati infeudati ai dominatori atlantisti. È lecito supporre che questa sia la volontà di quella maggioranza che non va più a votare.
A questa si aggiunge un buon 50% dei votanti, che, per senso civico, si recano alle urne ma solo per mancanza di un’alternativa devono confermare gli attuali dirigenti. La volontà popolare viene ignorata perché i politici europei sono espressione degli stessi partiti che esprimono i politici nazionali e questo produce un corto circuito permanente. A lungo termine i politici nazionali devono perdere potere fino a scomparire per lasciare spazio alle istituzioni europee, sottinteso nel massimo rispetto delle diversità locali. Questo non è accettato dai politici nazionali organizzati in partiti che si contrappongono ferocemente su tutto, tranne che sulla necessità di difendere i loro poteri e privilegi. Il cambiamento più evidente che si nota tra l’ultimo dopoguerra e la situazione attuale è dato da relazioni che, a livello economico e culturale, sono passate da una dimensione statale a una globale. Solo la politica non si rassegna a questo mutamento. In questo modo è tagliata fuori dalla funzione di strutturazione della globalizzazione inarrestabile. Siamo passati da politici statali che, dando voce alle aspirazioni dei cittadini ad un futuro migliore, erano arrivati alla DUDU (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) come tentativo di stabilire relazioni pacifiche a livello globale, a una situazione dove i politici statali sono l’ostacolo principale per una qualche forma di gestione della globalizzazione. I politici statali sono infastiditi da ogni tentativo di istituzionalizzazione della globalizzazione perché comporterebbe una limitazione dei loro poteri. Le elezioni europee devono diventare espressione di movimenti transnazionali su questioni di primaria importanza che ridiano potere decisionale ai cittadini.
Il parlamento eletto sarà determinante nella scelta della commissione, l’organo esecutivo delegato a implementare le politiche dell’UE. Una volta installata, la commissione ha dei poteri, nel bene e nel male, che vanno oltre la delega del parlamento. La commissione attuale ci ha catapultati, per quel poco che si può dedurre dal diritto internazionale, in uno stato di guerra con la Russia. Se per ora non ci sono risposte alla nostra aggressione è solo per la prudenza dell’avversario dovuta alla sua consapevolezza dell’inferiorità di mezzi in una guerra convenzionale. L’avversario ha sempre fatto notare che, piuttosto che soccombere in una dissanguante guerra convenzionale, farebbe uso delle armi nucleari dove si presume che vi siano solo dei vinti. Pertanto, sembra ragionevole cercare una soluzione diplomatica, e non una vittoria sul campo come persegue la presidente della commissione europea, con uno zelo eccessivo dettato da motivazioni personali, di carriera. I mezzi d’informazione hanno servilmente divulgato la versione dell’aggredito e dell’aggressore, un autocrate intenzionato a sottomettere l’Europa intera, per spazzare via la democrazia. Sappiamo che non è così. È una guerra per procura, di chi aspira a dominare la società globale da un unico vertice politico economico finanziario e militare, contro chi vuole una gestione multipolare della globalizzazione: i BRICS. Per la manovalanza si è ingaggiato uno stato fallito, dove una ristretta cerchia di oligarchi e politici corrotti costringono i giovani a combattere per la missione di salvare la democrazia. Un progetto insostenibile che sta miseramente fallendo e lascia spazio a uno scenario dagli esiti imprevedibili. Questi giovani, i superstiti, che, tornando a casa, si rendono conto di essere più poveri di quando sono partiti, che il compenso pagato per il loro sacrificio se lo sono intascato i soliti potenti e lo hanno messo al sicuro, non si sa dove potrebbero ribellarsi. Possiamo sperare che riescano a smascherare l’inganno del quale sono stati vittime, con una denuncia che evidenzi chi sono gli aggressori e quali i fini realmente perseguiti. Il vero pericolo per la pace nel mondo è l’aggressività dell’Occidente, che persegue l’unipolarismo globale dove un unico vertice finanziario vuole dominare l’umanità. La politica di potenza, la volontà di egemonia, il ruolo di gendarme del mondo è diventata apparentemente la ragione di esistere degli USA. Questa postura, più che dalla volontà del popolo americano, deriva dall’indebitamento abnorme che fa degli USA un paese tecnicamente fallito, con una spesa in armamenti pari a quella del resto del mondo, insostenibile senza il contributo dei loro alleati, in realtà dominati. Pur non essendo in grado di condurre a buon fine una guerra coi piedi per terra, tengono il mondo sotto la minaccia delle loro armi di distruzione di massa e i nostri politici invertebrati li seguono in tutte le loro assurde avventure. Il popolo americano è la prima vittima di questo regime, vive in una società che detiene tutti i record negativi di inciviltà ma è spinto da una propaganda pervasiva a sentirsi in dovere di imporre suo loro modello di società a tutta l’umanità. La potenza egemone lo è solo dal punto di vista militare. Per questo deve inventarsi continuamente occasioni di guerra. Può offrire solo guerra e debiti per conservare l’egemonia distribuendo privilegi per i politici senza onore dei paesi vassalli, che in cambio tradiscono i loro elettori. Questo significa oggi l’appartenenza occidentale. Ma è un progetto assurdo, quindi perdente se viene messo alla prova. La guerra è il proseguimento della politica con altri mezzi: se è una politica perdente, anche la guerra lo sarà. Spetta a noi cittadini occidentali imporre una svolta prima di arrivare al disastro, come già vissuto dall’Europa nel 1945. Dobbiamo aiutare gli USA, ma a riposizionarsi alla pari delle altre realtà emergenti, senza passare per la guerra, quello che da trenta anni viene indicato come atterraggio morbido per l’unica superpotenza rimasta.
Oggi quel che resta dell’egemonia occidentale è all’origine del contrasto tra la pretesa di imporre l’unipolarismo come sistema di governo della globalizzazione e la novità di paesi per la maggior parte ex colonizzati che rivendicano una gestione multipolare. Il mondo multipolare è il superamento del sistema basato sulla sovranità degli stati nazionali esistenti, dichiarata solo formalmente, ma che non rispecchia più la realtà attuale nelle relazioni internazionali. Questa sovranità formale non è più sufficiente per consentire a uno Stato nazionale di affermarsi come entità autenticamente sovrana nei confronti sia degli stati più potenti, sia dei privati più ricchi, delle multinazionali. La sovranità, nella dimensione globale, richiede una dimensione che consenta di confrontarsi coi più forti, e può essere raggiunta con una coalizione alla quale deve pervenire progressivamente la sovranità che apparteneva ai singoli stati. In questo senso l’UE, fino alla fine del secolo scorso, era il più avanzato laboratorio sperimentale per la gestione di un mondo che tende a relazioni globali. Il superamento del bipolarismo non può diventare l’egemonia di un polo su tutti gli altri, ma la ripresa di un percorso iniziato alla fine della seconda guerra, mondiale o globale, che aveva evidenziato la necessità di una gestione multipolare delle relazioni internazionali fino ad allora basate teoricamente sulla sovranità di tutti gli stati esistenti, ma in realtà degli stati più potenti. Il mondo multipolare non prevede un ritorno al sistema bipolare, che già sappiamo produrre un antagonismo esasperato, anche perché oggi non c’è una dimensione statale che da sola possa resistere all’egemonia dell’Occidente. Ci devono essere più di due poli in un mondo multipolare per avere relazioni improntate alla moderazione derivante da più punti di vista. Il mondo multipolare presuppone la presenza di più poli indipendenti ed effettivamente sovrani, in grado di resistere all’egemonia finanziaria e strategico-militare degli USA e dei paesi della NATO, così come non dovrebbe esserci un’egemonia culturale dell’Occidente. La biodiversità è un valore da proteggere per tutte le specie viventi e lo è anche per gli esseri umani. I diversi poli che andranno a costituire la globalizzazione multipolare non devono essere obbligati ad accettare l’universalismo di norme, valori e standard occidentali come la democrazia, il liberalismo, il libero mercato, il parlamentarismo, l’individualismo ecc. L’ostacolo più difficile da superare per procedere in questa direzione è l’Atlantismo, una relazione di vassallaggio dell’UE nei confronti della potenza egemone, che a sua volta è un semplice strumento dei dominatori per avere una dimensione che consenta ancora l’illusione di poter dominare il resto del mondo.
L’UE non nasce con l’intenzione di essere una superpotenza militare: se i nostri politici, per assecondare gli americani, vogliono andare in questa direzione, devono chiederlo al popolo. Se la scelta tra guerra e pace fosse giustamente lasciata al popolo, la guerra non sarebbe un’opzione. Grazie alla crescita culturale, non esiste più una giustificazione per andare a morire in guerra. In realtà il popolo rischia di essere trascinato alla guerra come avveniva nel medioevo, per le bramosie di potere dei dominatori. Quasi tutti i conflitti sparsi per il mondo hanno origine dalla politica coloniale europea, che ha portato a cristallizzare confini che non hanno niente di irreversibile. Pur rimanendo il diritto all’autodeterminazione dei popoli il principio fondamentale per una coesistenza pacifica, questo si realizza in base a mutevoli rapporti di forza: è stato così anche per la Francia, la Germania, l’Italia ecc. Se ad un certo punto l’Occidente o la Nato si dichiarano pronti a sostenere le pretese di un piccolo paese nei confronti di uno molto più potente, questo può avere l’illusione di poter strappare condizioni che, senza questo appoggio, sarebbero irrealistiche e lo spingerebbero ad un compromesso. Noi cittadini europei non possiamo né vogliamo ricoprire il ruolo di giudici ed arbitri di tutte le controversie del pianeta. I paesi dell’UE devono uscire dalla NATO e non farsi coinvolgere in conflitti che non li riguardano, come le relazioni tra Russia e Ucraina o tra Cina e Taiwan. L’UE ha ancora la statura e lo spessore per promuovere un’iniziativa di disarmo globale, iniziando con un divieto assoluto di fornire armi a paesi in guerra. Una presa di posizione in questo senso costituirebbe un contributo alla pace ed una soluzione vantaggiosa per tutti, altrimenti dovremo aspettare che prima o poi la NATO ci porti a distruggerci in qualche avventura militare.
Dopo le ultime vicissitudini potrebbe essere rimessa in discussione l’UE a 27. La decisione di far entrare i paesi dell’Europa dell’est era dettata da ragioni di geopolitica nella situazione di emergenza dovuta alla dissoluzione dell’URSS. Credo che sia stata comunque positiva per tutti. Se i paesi Baltici, la Polonia e i paesi confinanti con la Russia vogliono, assieme agli USA, mantenere un apparato militare per contrastare un’ipotetica invasione russa, sono liberi di farlo, hanno avuto relazioni diverse rispetto alle nostre con l’URSS. Se poi questi paesi nutrono dei sentimenti di rivalsa nei confronti della Russia, non siamo tenuti a seguirli. Possono avere le loro ragioni dovute a 40 anni di dura sottomissione, ma non devono pretendere che i paesi dell’Europa occidentale li seguano. La NATO era nata in funzione della contrapposizione all’URSS: questa è scomparsa, di conseguenza anche la NATO non ha più ragione di esistere. Se poi dall’UE dovessero generarsi due distinte realtà, orientale e occidentale, ce ne faremo una ragione.
Fino a quando l’UE ha portato avanti la linea prevista dai trattati, è stata un successo. Poi ha prevalso la paura per un crollo della finanza e ci siamo allineati all’atlantismo. Così è iniziato il declino. Nonostante la campagna di disinformazione senza precedenti, comincia a trapelare che la maggioranza delle società europee è contraria a una guerra con la Russia, ma i nostri democratici rappresentanti non ne tengono conto. Se uno solo dei paesi aderente alla NATO avesse avuto il coraggio di esprimersi contro questa falsa unanimità, primo requisito di ogni regime dittatoriale, la guerra non sarebbe nemmeno iniziata.
Il progetto UE era un progetto meraviglioso, nato dalla consapevolezza che, andando verso un mondo globale multipolare, la dimensione statale non era più adeguata. Era la consapevolezza della superiorità della pace sulla guerra, la consapevolezza di dover riconoscere anche agli altri i diritti che pretendiamo per noi. Poi i nostri politici ci hanno trascinati alla sudditanza nei confronti della potenza egemone in cambio di una parvenza formale di condivisione dell’egemonia, riservata solo alle alte cariche istituzionali. Per i cittadini, l’accollo dei debiti. Così non va, non è sostenibile. La ragione principale dell’esistenza dell’UE consiste nell’acquisire la capacità di scrollarsi di dosso la pesante tutela della potenza egemone. Senza tornare per questo a una politica di potenza. La nostra appartenenza, come UE, all’Occidente inteso come forma di governo unipolare globale, l’atlantismo, non ha ragione di esistere, è contro i principi dei trattati di adesione. Ancor di meno, ne ha la partecipazione al braccio armato, allo strumento militare del potere politico economico occidentale, alla NATO. Il rischio di implosione dell’attuale sistema c’è, lo hanno giudicato inevitabile anche i capi di Stato occidentali, quando ci siamo trovati a un passo dal crollo del castello di carta della finanza nel 2007. Anziché pensare ad alcuni correttivi si è ulteriormente estremizzato col ricorso a continue emergenze: il terrorismo, la crisi finanziaria, la pandemia ed ora la guerra con la Russia. Tutte queste emergenze sono state gestite con esiti fallimentari, ma non poteva essere altrimenti, in quanto alla base si pone una visione politica assurda. Gli antagonisti dell’Occidente atlantista hanno avuto modo di percepire l’inconsistenza delle velleità di dominio di un progetto in piena decadenza e non hanno più paura. In questo modo, si vanno a restringere le possibilità di espansione del dominio occidentale sull’esterno: per continuare ad esistere, il vertice occidentale deve inasprire le condizioni riservate ai cittadini occidentali. Ci hanno trascinati in una situazione di emergenza per intimorirci e indurci alla rassegnazione al declino. Dovremmo invece trasformare l’emergenza in un momento di coesione per affrontare e rifiutare l’opzione guerra, soluzione condivisa da una schiacciante maggioranza. Dobbiamo individuare dei leader che puntino ad unire la pubblica opinione per confluire in un blocco coeso nel parlamento europeo in grado di determinare le scelte dell’UE. Ci sono tutte le motivazioni politiche, economiche, sociali e culturali che spingono in questa direzione, mentre le attuali istituzioni fanno scelte contrarie ai nostri interessi e a quelli dell’umanità. Il sistema attuale si basa sull’ignoranza, sull’azzeramento dello spirito critico, sulla manipolazione dell’informazione, sulla rassegnazione al declino imposta dal pensiero unico. Coesi, potremmo rimettere la macchina sui binari giusti, per poi ricominciare a contrapporci sulle più svariate interpretazioni utopistiche o ideologiche.