Gaza, l’occasione postmarxista e la ottusità della destra
di Roberto Pecchioli - 19/10/2025
Fonte: EreticaMente
Chi scrive ha un profilo singolare, fuori dagli schemi, libero, perciò assai spiacente a ogni schieramento stabilito. Fuori dal gregge, anzi dalle varie greggi in cui è divisa la ex società spappolata immersa nei pregiudizi del presente. La terribile vicenda di Gaza – tutt’altro che finita con la fragile pace di Trump – è il paradigma, la cartina al tornasole della necessità di oltrepassare gli schemi, uscire dagli automatismi mentali che imprigionano. Non importa stabilire se il dramma della città palestinese sia un genocidio o un massacro. Giochi di parole in una tragedia immane. Ancor meno serve brandire come clave opposte versioni. Di qua orrore per l’azione israeliana, spropositata, immensa, messianica nella visione di un certo giudaismo, volta ad annientare la legittima aspirazione di libertà dei palestinesi. Di là si risponde che Hamas – fazione egemone nella Striscia – è una banda di terroristi autrice di una strage deliberata di civili, e che quindi la risposta israeliana è stata inevitabile, giusta.
Davvero difficile apprezzare l'azione di Hamas, tuttavia è ingenuo credere che Israele nulla sapesse dell’attacco del 7 ottobre 2023. Quella violenza vendicativa è il frutto velenoso di ottant’anni di soprusi, del furto del territorio, della cacciata di un popolo dalla sua terra per consegnarla a un altro, le cui origini ancestrali– Roma distrusse il tempio di Gerusalemme nel 70 d.C.! – e i cui miti fondanti stanno nel medesimo fazzoletto di terra. Ammetto di non avere un temperamento mite, ma che farei, che cosa penserei se mi avessero allontanato dalla mia terra con la violenza e vivessi in una gabbia senza prospettive e risorse? Non sarei, come dire, almeno un po’ seccato? Non odierei quei vicini arroganti che dettano legge armati sino ai denti, sostenuti dalle potenze occidentali?
Questo nel merito di una vicenda che continuerà la sua scia di sangue, odio e violenza, innescata dal governo inglese quando promise ai capi dell’ebraismo sionista –la dinastia finanziaria Rothschild – “un focolare” in Medio Oriente per il popolo ebraico disperso. Era il 1917, la guerra incombeva, il denaro dei Rothschild faceva comodo all’Inghilterra la cui prassi coloniale era divide et impera. Israele nacque poi nel 1948 al rombo dei cannoni e all’ombra delle potenze occidentali vincitrici della Seconda guerra mondiale. Storia, cornice e radice di un problema insolubile, ma ci preme riflettere su come Gaza ha diviso e infiammato il nostro angolo di mondo.
La netta maggioranza dell’opinione pubblica europea è dalla parte palestinese. Ovvio, non si resta insensibili a sofferenze che attraversano le generazioni di un popolo senza Stato e senza terra. Le oligarchie, al contrario, sono schierate nei fatti, al di là delle dichiarazioni di facciata, con Israele, in nome del canone occidentale e di altro, meno confessabile. Uguale è la scelta dei governi europei, di centrodestra e di centrosinistra, con rare eccezioni. Il Partito Unico di Sistema (Pus…) si compatta nei momenti decisivi. Ancora una volta popoli ed élite, alto e basso, la pensano diversamente. Lo choc di Gaza è stato devastante, ha scavato nelle coscienze e ha creato un sentire comune che si è manifestato nelle piazze.
Poiché la crisi medio orientale è lontana da qualsiasi soluzione, è ragionevole immaginare che l’onda trasversale pro-Pal durerà. E diventi, da fiammata emotiva, un vero movimento sociale con effetti ancora da valutare. La sinistra ha colto al volo l’occasione – facile, perché l’oppresso e l’oppressore sono chiari – mentre la destra ha dimostrato la sua conclamata, ricorrente stupidità. Come ha suggerito Aleksandr Dugin, la divisione è in quattro parti: a sinistra la schiacciante maggioranza è pro-Pal, ma i capi politici e i terminali mediatici si barcamenano tra gli interessi di cui sono fedeli esecutori – sull’asse finanza, economia globalista, Usa, Nato, Gran Bretagna, Israele – e i sentimenti della base. A destra le forze politiche di sistema al completo e parte dei loro tifosi sono filoisraeliani con i consueti argomenti, che sarebbero ridicoli se non si trattasse di una tragedia. Lo Stato ebraico è la sentinella dell’Occidente, è l’unica democrazia dell’area, i palestinesi sono tagliagole islamici, sino all’argomento definitivo dei finissimi intelletti destro terminali: sono comunisti.
Imitazione grottesca dell’antifascismo magico di segno opposto con ripetizione automatica dello schema destro perdente, incapacitante: occidente, liberismo, fastidio per ogni movimento di opinione pubblica che non rispetta il loro meccano mentale. Non funziona del tutto: sono molti coloro che non ci cascano più, che hanno abbandonato forze politiche, culturali, editoriali servili e cortigiane. Sul punto tocca dare ragione persino a Landini. Non si può stare sulla stessa barca di Netanyahu, di soggetti come il ministro Smotrich che definisce Gaza un affarone economico dopo aver cacciato milioni di persone, o Ben Gvir, altro ministro per il quale Israele non è vincolata dal diritto internazionale e può fare ciò che vuole. Le leggi sono per i goym, i non ebrei. Non la pensano così una parte dei suoi connazionali e moltissimi israeliti nel mondo, ma le parole – dopo i fatti! – sono pietre.
E un abisso morale divide da Mario Sechi, il giornalista già capo Ufficio Stampa del governo Meloni, che ha dichiarato di non avere visto – al calduccio, non sul posto – visi smunti o affamati tra gli abitanti di Gaza. Che cosa può unire a siffatti personaggi? Una volta di più la maschera della destra “perbene” è caduta rivelando un volto impresentabile. Peggio per noi che non riusciamo a creare un’alternativa a costoro e siamo orfani politici, nonostante un gigantesco retroterra di idee e la sterile egemonia culturale sull’area, non difficile in un recinto di non pensanti i cui beniamini mediatici sono gazzettieri provenienti da sinistra, abili comunicatori come Tommaso Cerno, ex deputato PD, e Daniele Capezzone, già radicale pannelliano di ferro, emarginando le intelligenze poco fedeli alla linea. Amerikana, occidentale, sionista, iperliberista. Alla faccia delle proclamazioni populiste, sovraniste, “sociali”.
Un errore antico pagato a caro prezzo, che minaccia di aggravarsi perché la questione di Gaza ha compattato l’altro fronte. Si fa concreta la possibilità di un blocco sociale formato dal progressismo politico forte nelle istituzioni, egemone nei sindacati, integrato dal radicalismo postmarxista, dal magma incandescente degli immigrati di ascendenza araba, oltreché da tanti giovani che hanno accolto con entusiasmo e buona fede l’appello per la Palestina. Può essere l’occasione che aspettavano da oltre trent’anni. Conviene alla destra di sistema essersi schierata a favore del settore più bieco del blocco occidentale? Certamente no in termini strategici ed elettorali. Al di là del tornaconto politico – unica bussola dei mestieranti che raccolgono famelici le briciole del potere lasciate da chi comanda davvero – stare dalla parte di Israele, della cricca guerrafondaia neocons americana e dell’oligarchia non elettiva di Bruxelles – altrettanto bellicista e nemica dello Stato sociale – è sbagliato e innanzitutto ingiusto. Moralmente e culturalmente. In questa fase, i destrini italiani sono accolti nei salotti buoni, ma verranno messi alla porta appena i loro servigi – bassi e spesso incauti – non verranno più ritenuti utili. Intanto, rischiano di fornire argomenti forti a un’opposizione interna asfittica che non esita a imbarcare ambienti il cui unico programma è la confusione di piazza.
La politica estera, disse qualcuno, è la politica tout court. Siamo nelle mani di servi che hanno rinunciato per intero al loro programma originario. Liberali, liberisti, camerieri della finanza, adoratori del Mercato. Come i loro (apparenti) avversari, che però sono ben più accorti e godono di coperture e agganci infinitamente superiori. La destra di sistema ha accettato di essere figlia di un dio minore, con qualche momento di effimera gloria. Buon pro le faccia. Indossi la bandiera a stelle e strisce e quella israeliana sopra la grisaglia europoide. Pagherà il conto. Ma non va molto meglio al campo progressista. Ha mostrato i muscoli in piazza, ha scioperato per Gaza – atto irrilevante nella pratica – dopo aver ingoiato per decenni ogni genere di sconfitta per lavoratori, pensionati e ceti popolari, mostrando una sorprendente capacità di mobilitazione.
Alla resa dei conti, tuttavia, se tornasse al governo farebbe ciò che ha fatto per trent’anni, la stampella sinistra del sistema liberale liberista. Vincerà le battaglie peggiori, quelle libertarie e libertine sui falsi diritti individuali, perderà senza combattere la guerra che più conta, quella per cambiare il sistema di dominio delle oligarchie private: fintech, fondi, multinazionali. Le piazze per Gaza non hanno un progetto di cambiamento. Urlano e si indignano perché la causa del momento è giusta, ma non scalfiscono il muro del capitalismo globalista, vincitore della lotta di classe. Nonostante Netanyahu, Smotrich, Ben Gvir, neocons, servitori e cortigiani, nonostante qualche scossone di piazze affollate ma senza un obiettivo, vince ancora il sistema che un amico ha definito orgiastico – mercantile. Diritti e dipendenze nella sfera pulsionale per individui senz’anima, affari e profitti per l’oligarchia. Come trasformare Gaza in resort turistico e contemporaneamente sfruttare i giacimenti sottomarini di gas nel Mediterraneo sudorientale. Business is business, gli affari sono affari.