Gaza, lo ammette pure l’Idf: “Morti e feriti sono 200 mila”
di Giampiero Calapà - 14/09/2025
Fonte: Il Fatto Quotidiano
“Ci siamo tolti i guanti a Gaza, e abbiamo sbagliato a non farlo prima. Tra morti e feriti nella Striscia sono da contare almeno duecentomila persone”. Herzi Halevi, ex comandante dell’Idf, pezzo grosso dell’esercito israeliano, non esattamente un passante, ammette che i numeri del ministero della Sanità ancora controllato da Hamas (65 mila morti e 164 mila feriti) corrispondono alla realtà e non sono “propaganda dell’organizzazione terroristica palestinese”, come spesso vengono bollati da Israele, ma già ritenuti credibili da tutte le agenzie internazionali indipendenti. Anzi, il timore è che le macerie nascondano ancora molti cadaveri.
Le sue parole rimbalzano sui media israeliani. Halevi si è dimesso dall’incarico di capo di stato maggiore a marzo, dopo aver guidato le Forze di difesa israeliane per i primi 17 mesi della guerra, che ora si avvicina al suo secondo anniversario.
L’ex comandante arringa in una assemblea con i residenti del moshav (cooperativa agricola) di Ein HaBesor registrata da Ynet: “Oltre il 10% dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza è stato ucciso o ferito, più di duecentomila persone”, ha specificato Halevi, suggerendo che Israele avrebbe dovuto adottare una linea più dura nella Striscia di Gaza prima dell’attacco del 7 ottobre. E i gazawi continuano a morire. Almeno 40 persone sono state uccise venerdì negli attacchi israeliani, principalmente intorno a Gaza City. Le statistiche del ministero di Gaza non fanno distinzione tra civili e combattenti, ma i dati trapelati dall’intelligence militare israeliana sulle vittime fino a maggio di quest’anno suggerivano che oltre l’80% dei morti erano civili.
La morte e la distruzione non hanno fine. Israele continua la nuova offensiva a Gaza City, spingendo decine di migliaia di abitanti al giorno a fuggire dalla principale città della Striscia verso sud: secondo le stime della stessa Idf, sarebbero già 280 mila quelli evacuati finora. Il premier Benjamin Netanyahu, al termine dello shabbat, ieri ha scritto un post su X in inglese lasciando intendere che il raid di martedì a Doha per eliminare la leadership di Hamas non è andato come sperava: “I capi terroristi di Hamas che vivono in Qatar non si preoccupano del popolo di Gaza. Hanno ostacolato tutti i tentativi di cessate il fuoco per trascinare la guerra all’infinito. Sbarazzarsi di loro eliminerebbe il principale ostacolo al rilascio di tutti gli ostaggi e alla fine della guerra”, ha scritto, usando il condizionale.
Il segretario di Stato Marco Rubio è atteso in Israele nelle prossime ore dove è già prevista una visita al Muro del Pianto insieme con Netanyahu. La visita, sottolineano da giorni i commentatori, viene intesa come un forte sostegno da parte dell’alleato americano in vista della dichiarazione di uno Stato di Palestina all’Onu. Rubio, prima di imbarcarsi per Tel Aviv, ha ribadito che gli Stati Uniti “non sono contenti degli attacchi aerei israeliani contro i leader di Hamas in Qatar, ma che questo non cambierà lo status di alleanza di Washington con Israele”. Fonti molto vicine a Hamas hanno fatto sapere che il capo negoziatore dell’organizzazione e più alto in grado nella leadership, Khalil al-Hayya, principale obiettivo del raid, è rimasto “ferito nell’attacco israeliano”. Non morto, quindi.
L’ultimo “grattacielo del terrore” è stato abbattuto con due missili di precisione: la torre Burj al Nur vicino alle tende degli sfollati di Gaza City è venuta giù. Infine, mentre la nazionale di calcio di Israele può giocare tranquillamente le qualificazioni ai prossimi mondiali Fifa, la Palestine football association rende nota la morte, in un raid israeliano, del giovane Mohammed Ramez Al-Sultan, giocatore dell’Al-Hilal, ucciso insieme con 14 familiari.