Global city
di Antonio Catalano - 19/07/2025
Fonte: Antonio Catalano
Penso che dica bene l’architetto Maurizio Lai quando sostiene che l’urbanizzazione intensiva di Milano è stata più che un’operazione utile ai cittadini una grande manovra speculativa tesa a portare la città a un totale svuotamento. Una citta, secondo l’architetto, diventata una fabbrica espansa a livello urbano, che funziona dal lunedì al venerdì.
Una città sicuramente interessante per aziende, operatori, interessi di persone che arrivano da ogni parte del mondo e tutti gli ammiratori della “global city”, ma sicuramente ostica, forse meglio dire meglio ostile, alla comune popolazione, che non a caso è andata via (espulsa).
Al di là degli esiti di questa inchiesta, che va avanti da oltre un anno, al di là quindi del suo svolgimento giudiziario, questa vicenda è interessante perché mette in evidenza una modalità di crescita concepita all’interno della visione globalista, di cui il giusto rappresentante è il sindaco Beppe Sala, il quale non a caso ha sempre molto curato l’immagine di sé come espressione a tutto tondo della società “aperta”, stile villaggio globale.
I suoi calzini arcobaleno, il suo manifestarsi a favore del wokismo più spinto, il suo essere espressione algoritmica della transizione green sono parte integrante di questa visione globalista che ha portato Milano ad essere la capitale italiana del liberismo libertario in salsa agenda 2030, la migliore espressione dell’Europa della von der Leyen e, naturalmente, del sostegno incondizionato al vessillo della democrazia in salsa Ue dell’Ucraina di Zelensky.
La Milano di Sala è diventata la città europea per antonomasia, la città della pista ciclabile, del monopattino, del fumo vietato ovunque, del più spinto pensiero woke, del bosco verticale… all’ombra del quale è cresciuta quella sinistra fucsia, o meglio al caviale, che ha intorbidato le acque del dibattito politico. Non a caso Milano è la roccaforte di quella formazione politica che meglio di tutte sintetizza la spinta profetica del wokismo. Mi riferisco ad Avs, che a Milano ha raggiunto il massimo dei consensi con quasi l’11% raccolto l’anno scorso.
Sociologicamente parlando, Avs è la cartina di tornasole del globalismo e del suo stile di vita. Non a caso è tra le più votate dai giovani che del globalismo, in tutte le sue accezioni, hanno fatto bandiera. Quei giovani, tanto per capirci, cresciuti all’ombra del totem della libertà a prescindere, dei viaggi Erasmus, della libera circolazione, del melting pot (crogiolo), dell’ideologia migrantista, del mito dell’Olanda paese senza divieti, del superamento dei “vecchi” stereotipi di genere, della sperimentazione linguistica a favore delle tecniche gender, dell’ambientalismo ideologico con tanto di mistica della produzione non fossile dell’energia. Tra questi, molti studenti universitari, spesso fuori sede e meridionali.
Una Milano che ha espunto dal suo tessuto sociale le classi popolari, per le quali vivere in questa città è letteralmente impossibile, che ha tradito la sua storia operaia per diventare culla della peggiore espressione del parassitismo anti produttivo figlio legittimo del capitalismo finanziario. Una città che ha perso la sua anima. Una città diventata a misura di ricchi. Una città che ha il record europeo per gli arrivi di miliardari (2.200 nel 2024), nella quale per vivere bisogna spendere 3.600 euro al mese, escluso l’affitto, che negli ultimi anni è cresciuto del 43%, mentre i prezzi delle case del 40%, ma con potere d’acquisto salito solo del 5%. Una città dove le case popolari sono diventati grattacieli per ricchi.