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Ho ucciso Enrico Mattei

di Federico Mosso - 16/02/2021

Ho ucciso Enrico Mattei

Fonte: L'intellettuale dissidente

Quanto più grande è il delitto, tanto più ovvio è il movente, scriveva Sir Arthur Conan Doyle.
Dunque, alla domanda: Perché è stato ucciso Enrico Mattei?
Si risponde: Enrico Mattei è stato ucciso per impedire all’Italia di diventare una potenza internazionale.
Ecco, tutto in una frase.
Verità storica: Enrico Mattei è stato ammazzato. I dubbi se si fosse trattato di un incidente o attentato sono stati fugati dall’inchiesta condotta dal magistrato Vincenzo Calia dal 1994 al 2003, che ha dimostrato che l’aereo di Enrico Mattei è stato sabotato. Grazie al lavoro di Calia, il sospetto è divenuto verità. Non più ipotesi, immaginazione complottista, gusto per l’intrigo, ma fatto storico oggettivo. Se prima della conclusione dell’inchiesta si poteva ancora dibattere se fosse stato piazzato un ordigno o meno, e se il Morane-Saulnier MS-760 Paris I-SNAP fosse precipitato per un’avaria o per un errore del pilota, ora non si può più. Chi ancora scrive o parla di “tragica fatalità” o di “misterioso incidente” lo fa per ignoranza o malafede. L’instancabile e metodico lavoro di depistaggio e occultamento prove successivo a Bascapè, dà ancora i suoi frutti cattivi a distanza di sessant’anni.
Ipotesi: se sappiamo con certezza che Enrico Mattei è stato vittima di un delitto premeditato, d’altro canto non abbiamo le prove schiaccianti per indicare i colpevoli del complotto. Le indagini e i testi sull’argomento suggeriscono vari nomi, di cui alcuni ritornano in quasi tutte le fonti. Personalmente, in questa mia ricostruzione ibrida tra Storia e narrativa, ne ho individuati alcuni, americani e italiani. La mafia agì solo sullo sfondo, a supporto logistico, perché l’operazione si realizzò in Sicilia, loro dominio. Per certe cose si doveva chiedere il permesso. Non si ha la certezza di questi ed altri nomi, sono solo sospetti, ipotesi di colpevolezza.
Idea di fantasia: qua entra in gioco il romanzo. Se sappiamo per certo che Mattei è stato assassinato e possiamo suppore le identità dei mandanti, non abbiamo la più pallida idea di chi sia stato l’esecutore del piano, colui che con professionalità e abilità ha piazzato l’ordigno di esplosivo al plastico tra i componenti del bireattore presidenziale. Ci sono alcune fonti che parlano di tre uomini senza nome, di cui uno in divisa da carabiniere, che si aggiravano nell’hangar dell’aeroporto di Fontanarossa dove era costudito il jet Morane-Saulnier dell’ENI. Si dice anche della presenza a Catania quel 27 ottobre del boss della mafia italoamericana Carlos Marcello. O anche di un sicario della mala francese assoldato per l’occasione. Ma sono solo voci che non si possono verificare e allora mi sono immaginato il misterioso Joe, killer italiano ex-spia infedele del regime fascista passato dalla parte degli americani per convenienza. Joe, l’assassino materiale del delitto Mattei, alias Oreste Lucciani, alias Umberto Malinberi, è pura invenzione in uno sfondo di ipotesi e verità storiche.
A Londra e Washington si discuteva molto del troppo ambizioso Mattei, del suo progetto visto come un ostacolo allo strapotere delle grandi compagnie petrolifere, le cosiddette Sette Sorelle i cui interessi esteri spesso convergevano con quegli degli Stati Uniti e di Gran Bretagna. Convergenza ovvia, visto che si parla di petrolio, il bene energetico, strategico e vitale, alla base della geopolitica mondiale dalla seconda guerra mondiale in poi. In rete si trova un’eloquente raccolta di documenti del Foreign Office. Sono dispacci britannici riguardanti Enrico Mattei dal 1957 al 1961, raccolti e tradotti dal saggista e esperto di archivi anglosassoni Mario José Cereghino. Quando L’ENI si affacciò all’estero con la sua politica aggressiva che minò il tradizionale e “sacro” principio del fifty-fifty tra paesi possessori di giacimenti petroliferi e le grandi compagnie anglo-americane, gli inglesi ne furono naturalmente irritati. Tra le tante indiscrezioni nei messaggi tra l’ambasciata britannica a Roma e i funzionari d’alto grado del Foreign Office di Londra, riporto a titolo d’esempio: «Mattei punta in alto. A nostro parere, è un manager tosto e un uomo potente nonché pericoloso».