I droni e la grancassa
di Pino Cabras - 12/09/2025
Fonte: Pino Cabras
Siamo di fronte all’ennesimo episodio gonfiato per alimentare l’allarme: 19 droni entrati nello spazio aereo polacco, alcuni abbattuti, altri caduti al suolo. Subito i megafoni NATO hanno gridato alla “provocazione russa”, evocando lo spettro di un conflitto diretto. Loro che forniscono armi per colpire in profondità il territorio russo. Ma basta guardare meglio per accorgersi che le cose non tornano.
Primo: diverse foto mostrate dai media polacchi sono state smentite dagli stessi abitanti locali, che hanno chiarito come i danni attribuiti ai droni fossero in realtà causati da una tempesta due mesi fa. Altro che “nuovi attacchi”.
Secondo: altri scatti rivelano droni con la carenatura legata da nastro adesivo. Eppure i modelli russi di fabbrica non si presentano così: sono standardizzati, lisci, non “rattoppati”. Le storie sui chip da lavatrice rubati e ricuciti alla Frankenstein erano bugie di Guerrafonderleyen. La realtà è fatta di mezzi nuovi che finiscono la loro corsa in Ucraina. Ipotesi plausibile? Droni già abbattuti, riassemblati maldestramente e rilanciati per creare una messinscena su cui attivare ovunque le sirene dell’allerta.
Terzo: l’esperto americano Stephen Bryen (già consulente numero uno alla Commissione Esteri del Senato USA ed ex alto funzionario del Segretariato della Difesa) su InsideOver ha ipotizzato che siano stati gli stessi ucraini a prendere il controllo di alcuni droni e spedirli in Polonia, al solo scopo di montare un caso, spingere la NATO a reagire e strappare nuovi aiuti militari.
Quello di Bryen è uno scetticismo che in Polonia fa il paio con la prudenza dei toni del presidente della repubblica Nawrocki, che si guarda bene dall’usare gli accenti bellicosi del premier Tusk. Tanto è vero che Nawrocki ha annunciato che presiederà o parteciperà a briefing del BBN (Bureau della Sicurezza Nazionale) per valutare la situazione e garantire che la risposta sia «proporzionata».
In ogni caso, non parliamo di un attacco tale da giustificare misure da escalation. Lo ricorda anche Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa: durante una guerra di questo tipo non si contano gli episodi di missili o droni finiti fuori rotta nei Paesi confinanti, spesso senza conseguenze. Leggerli come un’aggressione deliberata è forzare la realtà: sono incidenti che vanno inseriti nel contesto bellico, non usati come pretesto per evocare la Terza guerra mondiale. Lo stesso Gaiani, una volta elencate altre ipotesi, non esclude che l’incidente dei droni possa configurarsi come un’operazione di “false flag” concertata da Kiev e Varsavia, per alzare la tensione con Mosca. L’obiettivo: spingere la NATO a mobilitarsi direttamente contro la Russia, arrivare alla presenza di truppe NATO in Ucraina.
Siamo già caduti in trappola troppe volte. Gli stessi apparati che oggi gridano all’aggressione russa sono quelli che nel 2022 accusarono il Cremlino di aver sabotato il NordStream. Poi, quando sono emerse prove del coinvolgimento ucraino, silenzio e spallucce, altro che articolo 4 della NATO. Le stesse spallucce che vediamo di fronte alle quotidiane aggressioni con megabombe (altro che droni-esca a salve) del Sionismo Reale nei confronti di ben 7 paesi. Le stesse spallucce di fronte ai massacri della Striscia, al ritmo di una strage di Bologna al giorno. D’altronde il cancelliere Merz loda Bibi il Genocida perché «sta facendo il lavoro sporco per noi».
Il copione si ripete: creare panico, accusare Mosca senza prove, trascinare l’Europa sempre più dentro un conflitto che non è il nostro. È tempo di imparare a diffidare della grancassa NATO e dei suoi portavoce: la verità, ancora una volta, è ben lontana dalla loro propaganda.