I russi sono entrati a Pokrovsk
di Fulvio Scaglione - 21/10/2025
Fonte: Insideover
"Disastro russo a Pokrovsk". Ventiquattro, quarantotto ore fa i titoli dei giornali italiani era questi. Nelle scorse ore, invece, è arrivata la notizia: le truppe russe sono arrivate al centro della città e controllano anche la stazione ferroviaria da cui, solo qualche settimana fa, ancora partivano i convogli. Che la stampa italiana ci prenda di rado e, per di più, porti anche sfortuna agli ucraini è fatto acclarato da tempo. Peccato, perché un altro ambiente informativo avrebbe permesso di capire perché, mentre gli aiuti militari globali all’Ucraina nella seconda metà del 2025 sono calati del 57% e quelli europei del 40% rispetto alla prima metà dell’anno, il presidente Zelensky chiedeva con tanta insistenza a Donald Trump i missili Tomahawk, e anche perché, non avendoli ottenuti, si è subito detto disponibile al negoziato e persino a un summit trilaterale a Budapest con Trump e Vladimir Putin.
Pokrovsk resiste agli assalti dei russi da più di un anno. E non è detto che i difensori ucraini abbiano intenzione di ritirarsi domani dalle residue parte della città che ancora controllano. Di certo, l’ultimo vero bastione ucraino che si frappone tra l’esercito russo e la conquista dell’intera regione di Donetsk (quella di Luhansk è già al 100% sotto il controllo russo) sta andando in pezzi. E da lì a Kramatorsk, l’altra grande città ancora in mani ucraine della regione, ma non munita come Pokrovsk, ci sono solo 80 chilometri.
Quando parliamo di “bastione” non intendiamo tanto la singola città ma piuttosto quella che l’americano Institute for the Study of War definisce “fortress belt”, ovvero la direttrice lunga una cinquantina di chilometri che va da Kramatorsk a Slovyansk a Kostyantynivka a Pokrovsk. Si veda la cartina sotto.
Gli ucraini hanno cominciato a fortificare la zona già nel 2014, ai tempi del presidente Petro Poroshenko, investendo per anni grandi risorse e usando Pokrovsk e Kostyantynivka come avamposti più strettamente militari e riservando a Slovyansk e Kramatorsk maggiori funzioni di retrovia e centri di rifornimento. Il fatto che prima le milizie filo-russe del Donbass e poi l’esercito di Mosca nel 2022 non siano riusciti a prendere le città dimostra che l’opera di difesa è stata piuttosto efficace. La “fortress belt”, a sua volta, aveva come avamposti una serie di centri più o meno grandi che hanno molto rallentato, con la loro resistenza, l’avanzata russa. Si tratta di Myrnograd, Siversk, Kupyansk, Lyman, Volchansk, Dobropillja, Torezk e altri ancora. I russi hanno dovuto avvicinarli uno ad uno e combattere duramente per interrompere le strade di collegamento e rifornimento, poi bombardare a tappeto per fiaccare le guarnigioni e insediarsi almeno in parte del tessuto urbano per impedire loro di contrattaccare. Un lavoro faticoso, che ha comportato molte perdite solo in parte limitate dalla furia e dalla precisione dei bombardamenti.
La svolta strategica è avvenuta nel 2023. Ci è già capitato di scrivere proprio in queste pagine che la “sconfitta” dell’Ucraina è stata di non riuscire a impedire che la guerra di movimento si trasformasse in una guerra di logoramento che ovviamente, col tempo (e si ricordino anche le difficoltà nell’aiuto militare internazionale citate sopra), ha girato le cose a favore della Russia. Nello specifico delle recenti operazioni, un capitolo importante per i russi è stata la conquista di Chasiv Yar, nel luglio scorso, un punto sopraelevato (l’unico dell’area) da cui hanno potuto coordinare meglio il fuoco delle artiglierie e le incursioni dell’aviazione. Si veda la cartina sotto.
Il lungo sforzo russo, però, alla fine ha pagato. Come il Cremlino aveva previsto, con il tempo sono emersi tutti i limiti della mobilitazione ucraina, che magari non scarseggia in armi e denaro ma in uomini sì, ancor più dopo i colpi subiti con la salita invasione della regione russa di Kursk. Tanto che per consolidare il Donbass, il comandante in capo Oleksandr Syrsky ha dovuto spostare truppe d’élite (per esempio il famoso Battaglione Azov) dal fronte Sud a quello Nord, con il risultato che i russi hanno cominciato ad attaccare anche a Sud, nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhya, per mettere l’esercito ucraino di fronte a un’alternativa drammatica. Si veda la cartina sotto.
A fermare l’avanzata di Mosca non sono bastati i bombardamenti sulle raffinerie russe, a conferma di quanto a suo tempo sostenuto dal generale Mark Milley, comandante degli stati maggiori riuniti Usa durante la prima parte del conflitto, e ribadito da Trump più di recente: una guerra che si combatte per il territorio va vinta sul territorio. E dunque per l’Ucraina, che non riesce a recuperare territorio e, anzi, pian piano ne perde altro, non è possibile vincere la guerra.
Se Pokrovsk dovesse cadere (e ora pare soprattutto questione non di “se” ma di “quando”) Putin sarebbe a un passo dalla conquista del Donbass, l’enorme bacino minerario e industriale che ha sempre dichiarato, anche durante gli incontri con Trump, essere il suo primo obiettivo territoriale. Da Pokrovsk al punto più lontano verso Ovest del confine amministrativo della regione di Doonetsk corrono solo 65 chilometri. Da lì, naturalmente, potrebbe anche tentare di spingersi oltre: da Pokrovsk a Dnipro, la quarta città dell’Ucraina, bastano due ore e mezza di automobile. Vorrebbe farlo? E soprattutto: potrebbe farlo?