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Il fonte est della Nato

di Lucio Caracciolo - 14/09/2025

Il fonte est della Nato

Fonte: La Repubblica

Oggi l’Italia ha perso la pace senza aver combattuto la guerra. Ottant’anni fa vinse la pace perché aveva perso la guerra. Volendo perderla perché il suo padrone dell’epoca, Germania, l’avrebbe ridotta a triste colonia, mentre il nemico e futuro gestore, America, le offriva benessere e sicurezza. Per tre generazioni abbiamo goduto della pace firmata Zio Sam. Prima l’invasione russa dell’Ucraina poi il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e le dispute fra europei tanto impotenti quanto petulanti ci hanno tolto ogni certezza. Tutto è possibile. Dalla pace sporca alla guerra senza limiti. Molto di questo tutto dipende dalla narrazione, ricalco dall’inglese narrative. Nome corrente della cara vecchia propaganda. D’obbligo in tempo di guerra per ingannare il nemico. Almeno finché non inganni te stesso, credendoci. A forza di mentire per il bene della patria il boomerang ti piomba addosso. Non distingui più realtà e narrazione. Se provi a tenerle d’occhio insieme finisci strabico. Perdi il controllo della propaganda. Quando ti accorgi che è lei a controllare te può essere tardi.
Scopriamo questo corto circuito nel bellicismo dei volenterosi anglo-europei di fronte alla tragedia ucraina. Mentre gli Stati Uniti tentano goffamente di sedarla illudendosi di guadagnare Putin al contenimento della Cina, tedeschi e francesi raggiungono inglesi, scandinavi, polacchi e baltici nella crociata antirussa. Armata non si sa bene come. Gli stessi che avevano snobbato Biden quando avvertiva che i moscoviti stavano per aggredire l’Ucraina oggi fissano la data dell’attacco russo all’Europa – anno di disgrazia 2029. I volenterosi discettano di contingenti da schierare nell’Ucraina sull’orlo del collasso – anatema per il Cremlino – sapendo che senza gli americani sarebbero comodi bersagli per i russi, pronti a ricorrere all’atomica. O forse non lo sanno più perché il boomerang narrativo gli è già rimbalzato addosso? Quanto a noi, fedeli all’istinto atavico, restiamo fra due sedie, sperando che gli americani ci salvino ancora una volta dalle esuberanze di altri europei.
Ricostruire un ordine di pace paragonabile a quello vigente fra 1945 e 2022 significa partire dal principio che nessuno è sicuro finché non lo sono tutti. Regola della guerra fredda che ha reso possibile il miracolo della lunga pace europea. Sancita dal relativo equilibrio della potenza santificato nel 1975 a Helsinki dagli Stati di entrambi i blocchi. Concerto irripetibile nel breve periodo, da surrogare sedando intanto il fronte ucraino via sghembo compromesso Mosca-Washington-Kiev. Necessario per salvare quanto resta della nazione ucraina, con la quale noi occidentali abbiamo contratto un debito morale sacrificandola in una guerra per procura che doveva dissanguare la Russia mentre ha distrutto coloro cui avevamo promesso la pace della vittoria. Gli storici stabiliranno come dividere le responsabilità fra gli occidentali che hanno convinto Zelens’kyj di poter battere la Russia e lui che ci ha creduto – o ha dovuto crederci.
Gli ucraini lottano per sopravvivere, noi no. Il diritto all’esistenza non è una strategia. I russi vogliono vincere, ovvero annettersi quanti più territori possibile e neutralizzarne il resto. La mappa dell’Ucraina spartita fra Mosca e Kiev che il capo di Stato maggiore russo Valerij Gerasimov ha lasciato filtrare il 30 agosto è assai simile a quella della Nuova Russia vagheggiata da Putin in memoria della grande Caterina. Annettendo anche le regioni di Odessa e Mykolaïv chiude l’Ucraina al mare. Messaggio a Zelens’kyj: se non cedi alle mie condizioni sei finito con tutto il tuo paese. Quanto ad americani – tendenzialmente ignari di dove si trovi l’Ucraina – ed europei non vogliono perdere la faccia, ammesso non l’abbiano già persa. Certo non morire per Kiev.
L’Ucraina si è affidata a sponsor indisponibili a far guerra alla Russia ma più che disposti ad armarli per fiaccare l’Orso. E’ quindi scaduta da repubblica indipendente a dipendente, in ridotto formato territoriale e con metà degli abitanti d’anteguerra. Stato fallito. Mentre i russi dovranno spiegare a sé stessi se Donbas e dintorni valessero centinaia di migliaia di morti e subordinazione al finto amico cinese, dagli apparati riconosciuto nemico strategico. Vero vincitore della partita, per ora. Quanto a noi italiani e altri europei, probabilmente attingeremo alla retorica per mascherare le nostre corresponsabilità e passare all’ordine del giorno.
Perché questo disastro?
La risposta soffia, ancora una volta, nel vento ingannevole delle narrazioni. Nell’incompetenza di intelligence che hanno fallito le previsioni e ingannato i decisori politici, cui hanno servito il piatto che immaginavano volessero assaggiare. Senza considerare che ottant’anni di pacificata distorsione delle papille gustative impediscono ai leader europei di percepire il sapore di quanto inghiottiscono. Spaesati, oscillano fra rimozione del pericolo e accessi di militarismo primario per cui la guerra è tecnica separata dalla politica. Controsenso. Talvolta sono i generali a doverglielo ricordare. E che dire della scelta trumpiana di spedire un maturo immobiliarista newyorkese al Cremlino per trattare la spartizione dell’Ucraina, salvo meravigliarsi che Putin se lo sia mangiato a colazione? Da Kissinger a Witkoff: titolo consigliato per una prossima serie sul tramonto americano.