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Il “maledetto” Massimo Fini: «se rinasco, faccio il monaco»

di Alessio Mannino - 24/06/2018

Il “maledetto” Massimo Fini: «se rinasco, faccio il monaco»

Fonte: vvox

«In fondo lo sappiamo benissimo, lo sappiamo tutti, che nulla ha senso, che la vita è un gioco. Ma per tollerarla abbiamo bisogno di riempirla. Di azioni, di pensieri, di miti, di speranze, di passioni, di credenze, di illusioni, di Sogni». E’ un passo tratto da “Ragazzo. Storia di una vecchiaia”, uno dei tre libri autobiografici (con “Dizionario erotico” e “Una vita”) raccolti nel recente “Confesso che ho vissuto. Esistenza inquieta di un perdente di successo” (Marsilio), che in gergo musicale sarebbe la compilation che Massimo Fini ha fatto uscire quest’anno, dopo la summa delle opere filosofiche (“La modernità di un antimoderno. Tutto il pensiero di un ribelle”, 2016). Oggi firma del Fatto Quotidiano dopo esserlo stato in una lunga sfilza di giornali e riviste, arrivato alla sua ventesima pubblicazione da scrittore, Fini è, per universale riconoscimento, un cavaliere solitario del giornalismo, avendo per questo pagato un prezzo salato in termini di carriera e fortuna ma in compenso, se si può chiamarlo compenso, restando sempre fedele a sè stesso.Una rarità antropologica al giorno d’oggi, in tempi in cui il giornalista medio somiglia più a un telegrafista da social network, impiegatizio e computerizzato, che a un osservatore interventista sul campo. È interessante rovistare nell’armadio biografico di un soggetto che ha scritto molto perchè ha vissuto molto, con una predilezione un po’ maudit per «i mondi borderline, anarchici, ubriaconi, giocatori d’azzardo, le bische, la “mala” milanese, gli omosessuali prima che fossero sdoganati», che non fa mistero delle proprie vulnerabilità, che ha instancabilmente duellato e combattuto rimettendoci più che guadagnandoci. E che, mite e timido di suo, ha fatto della penna un surrogato della spada.

Nella tua vita adulta, che è quella dell’Italia degli ultimi cinquant’anni, scrivi che è cambiato tutto, ma non è successo niente. Cosa intendi dire?
Quando compii 45 anni feci il confronto con la vita che aveva vissuto mio padre (Benso, giornalista anche lui, ndr) alla stessa età. Lui aveva attraversato la Prima Guerra Mondiale, il fascismo, l’esilio in quanto antifascista, la Seconda Guerra Mondiale, l’avvento della Repubblica. I valori di fondo, però, erano rimasti gli stessi, e sono quei valori, come li chiamo io, pre-ideologici, pre-politici, pre-religiosi, come il senso di dignità, la lealtà, il rispetto della parola data. Nel dopoguerra, invece, c’è stato un vertiginoso cambiamento nella way of life, ma come fatti fondamentali, non è più successo nulla.

Ti fermo: c’era già allora chi li violava abbondantemente, com’è ovvio.
Certo, ma c’era una sanzione sociale molto forte. Oggi non più. Prendi uno come Luigi Bisignani: in origine giornalista, condannato per reati contro la pubblica amministrazione, è stato consigliere di Necci alle ferrovie, di Scaroni all’Eni nei rapporti con la Libia, oggi lo ritroviamo anche negli ultimi scandali dello stadio a Roma. Chi coltiva ancora quei valori, avendoli introiettati in gioventù, è uno sfigato.

“Perdente di successo”, ti ha definito Giovanni Minoli.
E l’ho messo nel sottotitolo del libro. Ma è una vita molto più dura, perchè per arrivare ad avere 1 devi fare 10, mentre gli altri ottengono 10 facendo 1. Ti faccio un altro esempio: Carlo Rossella, dopo aver comprato i diari di Hitler nel 1988, quando tutti sapevano che erano in vendita fin dal 1945, e aver speso 10 miliardi di lire, avrebbe dovuto nascondersi sotto una pecora merinos per il resto della sua vita. Invece ha fatto una carriera sesquipedale.

Ma restare attaccati ai valori sempre e comunque, non è da “poeta”, come una volta ti definì Giorgio Bocca?
Lo diceva con ironia: “tu sei un poeta, qui c’è da competere col Giappone”, perchè ai tempi c’era la concorrenza coi giapponesi. Guarda, mi sono venuti molti dubbi, e un esempio è la lettera aperta che scrissi a mio figlio Matteo, che per la verità si trova in un altro libro, “Il Conformista”. Mi chiedevo se dovevo insegnargli quei valori che ti portano ad essere un handicappato sociale, oppure il cinismo. Io non ce la faccio.

Quindi, almeno per te, è valso lo scomodo adagio di seguire la propria natura.
Sì, ho seguito il mio istinto e la natura. Come quando lasciai L’Europeo che era finito alla banda di Tassan Din, senza avere un altro posto, e me ne vado a spasso, per poi fondare il mensile Pagina ed essere recuperato da Magnaschi al Giorno. Allora c’era una società molto più aperta dal punto di vista delle opportunità professionali. E anche molto più libera. Più libera di quella di oggi, che si crede tanto libera e invece è fintamente libera. Prendi la libertà sessuale.

Oggi ce n’è parecchia, direi.
Parliamo dei rapporti fra sessi (mi rifiuto di chiamarli “generi”). Io sono un libertario: ognuno ha il diritto di agire la propria sessualità come meglio crede, con un unico limite, i figli. Un bimbo ha il diritto di avere un padre e una madre.

Ma il problema è che figli non se fanno quasi più.
Posto che in generale non ho una percezione cattiva dei ragazzi di oggi, devo però notare in loro la mancanza di una spavalderia esistenziale, che fa rimandare quel momento. Ma c’è anche un’altra causa: l’aggressività delle donne, che spiega l’aumento abnorme dell’omosessualità maschile, e per converso di quella femminile, più nascosta. Questo, devo dire, va a vantaggio di noi pleistocenici (ride). Insomma si scopa molto di meno, e me lo dicono parecchi psicanalisti che conosco, che mi parlano di un’impotenza maschile non fisica, ma psicologica. Abbiamo un tasso di fertilità di 1,3 figli a donna, e a 1,26 se togliamo gli stranieri, che però, vedrai, si adegueranno a noi. Gli africani ce l’hanno a 5, e basta vedere i barconi pieni di donne incinte. Significa che questi, figliano anche nelle situazioni più difficili.

La generazione a cui appartengo, e ancor più quella venuta dopo, filtra tutto attraverso internet e i social, dove tutto è visibile, guardabile, a portata letteralmente di mano, facile e immediato, ma senza più l’esperienza diretta e i suoi lati problematici, misteriosi e di attesa.
Non c’è più seduzione. Una ragazza che scula in tanga è molto meno affascinante di quella direttrice di un giornale iraniano dal cui velo usciva un ricciolo di capelli biondi (Fini fa riferimento ad un passo del libro, ndr). Si è perso il vecchio gioco della seduzione. Soprattutto da parte delle donne. E’ come in un campo di nudisti, in cui ti sconsiglio vivamente di andare: l’eccitazione arriva alla sera, quando ci si riveste, non di giorno, quando la noia è mortale. Vedere tutto e subito, come dicevi tu, fa perdere ogni gusto.

Tornando a quel che è avvenuto o no d’importante in questa tua traversata, c’è invece qualche evento meritevole di essere stato vissuto?
In misura limitata direi il ’68, che è stata, specie all’inizio, un’esplosione di vitalità, e mi riferisco in particolare alla liberazione sessuale e, per quanto male si possa pensarne, anche al femminismo. Era la generazione che non aveva fatto nessuna guerra e aveva un sano bisogno di menar le mani. Poi ti direi il momento di Mani Pulite e della Lega, che sembrava l’occasione per un vero rinnovamento della classe dirigente, ma poi con Berlusconi i ladri sono diventati vittime e i giudici sono diventati i colpevoli.

Menar le mani, dicevi in senso lato. Però ogni tanto tu evochi la violenza vera, come quella volta che sul blog di Beppe Grillo parlasti di “mazze da baseball” con cui scendere in strada. C’è chi ti accusa di giocare pericolosamente con la fantasia della ribellione violenta. Come rispondi?
A differenza di colleghi che durante il ’68 e negli Anni di Piombo la predicarono e la praticarono, io non ho mai civettato con la violenza. Ma oggi, visto che non c’è uno sbocco, penso ad una violenza di massa, una rivolta di popolo. Come non posso nascondere la simpatia per l’Isis, perchè quelli almeno sacrificano la propria vita, mentre da noi nessuno è disposto a sacrificare niente. Pensa a quel che succede, poniamo, in una rapina in banca: tu leggi che reagisce lo slavo, il rumeno, il nero. Un bianco italiano, mai. C’è una carenza di vitalità, che è un problema mica solo nostro, ma occidentale. E’ un mondo in totale decadenza, che ricorda l’Impero Romano il cui crollo fu dovuto al fatto che i Romani non volevano più combattere per difendersi. Nel Medioevo i nobili avevano la funzione di difendere i sudditi, quando abbandonarono il mestiere delle armi per darsi alla vita oziosa di Versailles, giustamente la borghesia con la Rivoluzione diede loro un calcio nel culo.

D’accordo. Ma è un po’ troppo romantico enucleare dal cambiamento storico il passaggio, parziale e limitato, della presa della Bastiglia. Perchè alla fine ci si ritrova con un regime diverso ma identico nell’oppressione, col Direttorio, Napoleone e successivamente la Restaurazione.
E’ il destino di tutte le rivoluzioni instaurare regimi peggiori dei precedenti. Guarda la Russia sovietica, che le rivolte vere le schiacciò nel sangue. La verità, purtroppo, è che non ci sarà mai giustizia.

Dunque tu hai scelto la rivolta continua, come la teorizzava Camus, l’altro tuo grande “maestro” oltre a Nietzsche.
E’ il tema de “Lo straniero”, sì. L’uomo in rivolta non è il rivoluzionario, perchè vuole difendere solo se stesso e il suo modo di essere, e non è il cospiratore, perchè la sua lotta è alla luce del sole.

Facendo il confronto con l’Italia di ieri, cos’è che ti più schifo dell’Italia di oggi?
Il bullismo giovanile. Quando ero bambino e ancora ragazzo io, ci si faceva un punto d’onore nel difendere il più debole. Ma più in generale mi fa senso la corruzione che dilaga fra chi non avrebbe bisogno di delinquere: penso a certi politici che son già miracolati di loro, ma non gli basta mai. E poi il delinquente che ha la pretesa di venire a farti la morale. Per questo mi piace Vallazansca (il “bel René”, l’ergastolano capo della “banda della Comasina”, ndr): lui è un malavitoso ma con un’etica, Berlusconi è un malavitoso e basta. Proiettando il discorso, facciamo l’esempio degli Stati Uniti: bombardano e massacrano ma pretendono di farlo in nome del Bene. Bisogna essere all’altezza anche delle proprie cattive azioni: mi ha sempre fatto ribrezzo più di tutti il mafioso che scioglie nell’acido un ragazzo e poi la sera si commuove ascoltando Frank Sinatra. A una figura simile, io preferisco un nazista.

Hai lavorato quando il giornalismo si faceva ancora prima coi piedi e poi con la testa. Internet l’ha ucciso?
Lo diceva Nino Nutrizio, il mitico direttore de La Notte. Si fa sempre meno, oggi le notizie si prendono dai social. E’ un circuito di autoalimentazione, che fa perdere il piacere di questo mestiere che è l’esperienza diretta: vai, giri, parli, annusi, raccogli, e poi dai un senso. La realtà non era mai quella che ti eri immaginato.

Una sorta di autoerotismo, quello odierno.
Un solipsismo che ormai vale ormai per tutto: nei bar non trovi più un biliardo, a cui un tempo giocavano assieme giovani e anziani: oggi ci sono le slot machines, perchè costano meno spazio e rendono molto di più. Ma giochi da solo. Sì, ci sono giovani che fanno volontariato, per carità. Anche con gli anziani. Ma se uno mi si presenta a casa, giuro che lo sbatto giù dalle scale.

Nel “Dizionario erotico” citi l’apologo della “sega cinese”, che in sostanza richiama la saggezza orientale, ma anche di qualche scuola filosofica greca, secondo cui la felicità, posto che esista, consiste nell’assenza di dolore. Però in vari punti sostieni di aver vissuto senza risparmiarti, cioè consapevole di voler soffrire. Da qualche parte c’è, la quadratura del cerchio?
Ammetto di essere molto contraddittorio. Da una parte capisco il pensiero orientale, che ha ragione. Però io avevo un’energia in eccesso, una vitalità tale che la ho buttata.

Anche nell’autodistruzione con l’alcol.
Sì. Ma se rinasco faccio il monaco buddista dall’inizio. A me hanno fregato le tipe. Il resto, cibo, oggetti, non mi è mai importato. Non fosse per loro sarei un asceta.

Ti hanno anche salvato. Non fosse stato per loro, cito, nei periodi di depressione saresti impazzito. Amare non è la chiave di volta, la quadratura di cui sopra?
Visto che un senso finale non c’è, tutto si riversa nei rapporti esistenziali. L’amore, questo disturbo psicosomatico, questa astuzia della Natura per farci riprodurre, è un espediente per sopravvivere ad una vita che, se la guardi bene, non ha senso, e non ce l’ha nemmeno quella dei tuoi figli. Bastano due respiri della notte e l’intelletto umano scompare, e “non sarà successo nulla di notevole”, come scrive Nietzsche. Non resta che vivere nel presente, anche se questa società te lo impedisce perchè ti proietta continuamente nel futuro. Alla fine, comunque, il carpe diem oraziano è ancora il modo più intelligente di vivere, a meno di non fare il salto nella Fede, ma io sono convinto che le religioni siano state inventate per lenire l’angoscia di morte dell’uomo, l’unico animale ad avere la coscienza.

“Animale malato”, lo definiva per questo motivo il filosofo tedesco.
Esatto. C’è un’unica civiltà al mondo senza Dio nè culto: gli indigeni delle Isole Andamane studiati da Mircea Eliade, gli unici ad essersi salvati dallo tsunami fra l’altro. Un dio lo avevano per la verità, ma poi lo hanno abbandonato e sono vissuti passando molto tempo divertendosi, cantando e ballando.

C’è qualcosa che ti fa ridere a gola aperta? In una recente intervista ti sei persino rifiutato di sorridere per la foto.
Io a comando non faccio nulla, anzi semmai faccio il contrario. Difficile che io rida, in me prevale il sarcasmo. A volte però ci sono dettagli che mi fanno ridere, e ho fatto le mie sere di totale follia. Sono umano anch’io, in fondo (risata alla Fini, trattenuta e appunto sarcastica, ndr).

Gioco: associazione di idee. Se ti dico “Veneto”, cosa ti viene in mente?
Una tristezza assoluta, anche se a Verona ci si diverte come pazzi e tutti trombano con tutti, e a Treviso ci sono le più belle donne d’Italia. A differenza della campagna toscana, forte e violenta, o di quella umbra, malinconica e spirituale, in quella veneta manca totalmente la spiritualità: zero.