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“Il mio Paradiso è il campo di battaglia”. Chi era davvero Soleimani, eroe della guerra all’Isis

di Giovanni Feola - 05/01/2020

“Il mio Paradiso è il campo di battaglia”. Chi era davvero Soleimani, eroe della guerra all’Isis

Fonte: Il Primato Nazionale

Alcuni uomini racchiudono in sé i tratti salienti della propria terra, plasmandone la storia su di essi e sublimandone l’esistenza. Il generale Qassem Soleimani nacque l’11 marzo 1957 in una piccola località rurale tra le aspre montagne vicino alla storica città di Rabor, nell’Iran centro-orientale, famosa per le sue foreste, i suoi raccolti di albicocche, di noci e pesche e per i suoi coraggiosi soldati, guerrieri della Persia storica. In quella terra, nel cuore della regione desertica di Kerman, già descritta da Marco Polo come zona famosa per la lavorazione delle sellature dei cavalli, dell’acciaio delle armature dei cavalieri, ma soprattutto per le gemme preziose nascoste nella dura roccia, le pietre turchesi.

La Rivoluzione islamica del 1979

Di umili origini contadine, costretto al lavoro duro dei campi per aiutare la famiglia e onorarne i debiti, la sua esistenza come quella di milioni di iraniani e non, venne travolta da un evento storico destinato a sconquassare gli equilibri politici del Mondo: la Rivoluzione islamica del 1979. La Rivoluzione degli oppressi, delle masse diseredate, della giustizia sociale, dell’irruzione dello spirito nella politica ma prima di tutto la rivoluzione del popolo, degli iraniani, dei patrioti. Una delle poche e vere rivoluzioni del ‘900, l’azzeramento di un livello di vita, corrotto, servile, senza futuro per un altro, sovrano, libero, autodeterminato. Il richiamo delle masse sotto una nuova organizzazione politica, quella del velayat-e faqih (“tutela del giurisperito”), lontana sicuramente dal modo di concepire la società e lo Stato come forse intendiamo noi nel “nostro” Occidente, ma sicuramente una via tradizionale e organizzativa, riflesso dell’integrazione tra verticalità ed orizzontalità, cielo e terra. Una nuova strada: autoctona e sovrana, alternativa al mondo bipolare del dopoguerra.

I Guardiani della Rivoluzione islamica

Poco più che maggiorenne si arruolò nei Guardiani della Rivoluzione islamica (Sepah-e pasdaran-e enghelab-e eslami), una milizia politica, ideologizzata, composta da migliaia di giovani volontari, che avevano appiedato le file corrotte dell’esercito “imperiale” dello Shah, gendarme, senza anima, degli interessi inglesi e americani nel Golfo Persico. Giovane soldato nelle file della mobilitazione popolare contro l’aggressione dell’Iraq, il grande vicino arabo guidato da Saddam Hussein, che venne spinto nella fallimentare impresa dalle potenze occidentali e dalle monarchie del Golfo, impaurite dal fatto che la rivoluzione iraniana potesse essere scintilla che appiccasse un incendio di proporzioni inenarrabili in una cospicua parte del Mondo, quello delle masse musulmane e del cosiddetto “terzo mondo”, distruggendo tutti gli equilibri politici de facto.

La guerra Iran-Iraq

In mezzo alla carneficina di questa guerra (Iran-Iraq, 1980-88), che gli iraniani chiamano “Guerra Imposta” o “Difesa Sacra”, il giovane ufficiale Soleimani, più che per accademia per necessità, divenne noto per la sua opposizione alle “morti insignificanti” (quella degli assalti di fanteria contro il ben equipaggiato esercito iracheno) sul campo di battaglia, mentre piangeva a volte con fervore quando esortava i suoi uomini, giovani come lui, a combattere, abbracciandoli individualmente, uno ad uno, prima di ogni scontro.

La guerra contro i narcotrafficanti

Finita la vittoriosa guerra contro l’Iraq, vittoriosa in senso strategico perché l’Iran riuscì a conservare la propria integrità territoriale e a preservare la rivoluzione politica, stigmatizzata da Soleimani stesso nella frase: “Sono entrato in guerra per una missione di quindici giorni ma ci sono rimasto fino alla fine, eravamo giovani e volevamo servire la Rivoluzione”, gli venne poi affidata la battaglia, più subdola, contro le rotte del narcotraffico dell’eroina che partendo dall’Afghanistan arrivavano in Europa e nel mondo occidentale attraverso l’Iran, lasciando al loro passaggio migliaia di tossicodipendenti nell’Iran stesso e nelle nostre società.

Alla guida della Forza Quds

Nel 1998, dopo un periodo di stallo dovuto molto probabilmente ai disaccordi con l’allora presidente iraniano Hashemi Rafsanjani, gli venne affidato il comando della Niru-ye Qods (Brigata Gerusalemme o anche Forza Quds) la forza speciale, di intelligence e operativa, composta da cinquemila uomini sceltissimi, dei Pasdaran. Una forza di élite, dedicata alle missioni estere, a difesa dell’Iran. Artefice della riorganizzazione del Corpo, reso più elastico ed efficiente, venne ben presto notato dai funzionari statunitensi dopo l’invasione Usa dell’Iraq nel 2003 e il rovesciamento di Saddam Hussein. Già allora ci furono diversi attentati alla sua vita tra cui un incidente aereo nel 2006 in cui rimasero vittima altri alti ufficiali iraniani. Per gli agenti della Cia era come Keyser Soze del film “I Soliti Sospetti”, imprendibile, imprevedibile, in ogni dove e da nessuna parte.

La guerra contro l’occupazione militare Usa

Ma il generale era invece sempre lì, sui campi di battaglia, a giocare una guerra poche volte frontale, contro un nemico militarmente ben più forte, ma indirizzata a minarne la solidità, immobilizzarne la politica, invalidarne l’azione, tessendo reti, contatti, non solo in Iraq ma anche in altri Paesi che vivevano e vivono l’occupazione militare americana. “Di solito nella rappresentazione popolare il Paradiso è descritto come un emozionante paesaggio colorato, ruscelli gorgoglianti, belle donne. Ma c’è un altro tipo di Paradiso: il campo di battaglia. Il campo di battaglia per la propria Patria” (Soleimani). Un uomo dotato di quella qualità che gli arabi chiamano “khilib”, carisma. “Ci possono essere dieci persone in una stanza, ma quando Soleimani entra non si siede lì accanto a loro. Si siede in disparte, da solo, in maniera discreta. Non parla, non commenta, rimane seduto lì e ascolta. Inevitabilmente i pensieri di tutti i presenti sono solo per lui”, commenta di lui un ex funzionario statunitense.

Il capolavoro strategico in Iraq

Se vogliamo semplificare, l’Iraq è il capolavoro strategico di Soleimani, comandante militare ma anche abile stratega politico: gli Stati Uniti abbattuto Saddam pensavano di aver definitivamente assoggettato il Paese, occupandolo, depredandolo, minandone l’unità col separatismo ed invece si sono trovati, nel tempo, ad amministrare o tentare di indirizzare, la politica di un Paese, è vero ormai debole, ma comunque ostile. Non quella base sicura per concludere l’assedio al nemico numero uno nella regione dal 1979: l’Iran. Eppure il Generale, il “comandante fantasma”, rimaneva lì, non si sa bene dove ma comunque invisibile al mondo esterno, anche se continuamente a lavoro, a dirigere agenti ed operazioni. “Soleimani è la persona operativa più potente in Medio oriente. E nessuno ha mai sentito parlare di lui” (John Maguire, ex Cia in Iraq).

Le “primavere arabe” e l’attacco alla Siria

Arriva poi il fatidico 2011, le cosiddette “primavere arabe”, frutto del visibile cambio di strategia di Washington, che portano instabilità in molti Paesi della regione. La Siria viene attaccata dall’internazionale del terrorismo, oltre centocinquantamila terroristi islamisti, eterodiretti dalle potenze occidentali, Stati Uniti in primis, armati e finanziati da Arabia Saudita e monarchie del Golfo. Lo scopo è quello di attaccare quello che viene ritenuto l’anello debole della catena dei Paesi resistenti all’egemonia mondialista nella regione, il famoso “Asse della Resistenza” in qualche modo cementato dallo stesso Soleimani, come ombrello protettivo e deterrente della regione, da Beirut a Teheran. Nei primi momenti la situazione è difficilissima, la Siria è barbaramente preda di distruttori e tagliagole di oltre ottanta nazionalità differenti, i soldati e il popolo siriano resistono eroicamente e si stringono intorno al proprio presidente Assad, ma sembra non bastare.

L’attentato a Damasco e le Forze di difesa nazionali

L’Iran per primo corre in aiuto, al popolo fratello, all’alleato storico. Soleimani, come Karla nei romanzi di John Le Carré, è lì a Damasco, sfugge all’attentato (si pensa guidato da qualche Paese straniero…) che i terroristi compiono nel 2012 uccidendo i più alti ufficiali siriani e praticamente azzerando il Gabinetto di guerra. Rimane ancora lì. Supporta la difesa, suggerisce ai comandi militari siriani di organizzare una mobilitazione popolare, su volontari, che difendano il Paese casa per casa, quartiere per quartiere, composta da siriani di varie etnie e religioni ma uniti nel difendere la Patria: nascono le Forze di difesa nazionali, nelle cui file si arruolano decine di migliaia di siriani cristiani, unità più capillari ed elastiche in supporto all’Esercito regolare siriano, più utili nella guerra asimmetrica contro le orde dei terroristi. Ma non basta.

Il generale mobilita i volontari contro l’Isis

Soleimani coinvolge gli alleati libanesi di Hezbollah, che lui stesso aveva contribuito a fondare nei primi anni ’80, consapevole che il Libano sarebbe stato il prossimo obiettivo dei terroristi, e compie tra tutte, anche se pochi ora ricordano, la grande battaglia di Qusayr, una vittoria strategica che segnerà il conflitto a favore della Siria. Mobilita volontari dall’estero, tra cui non solo gli stessi iraniani e libanesi, ma anche iracheni e afghani. Sono loro che cacciano i terroristi da Ma’lula, liberando le suore dai conventi e la comunità cristiana. Sono loro che difendono il Mausoleo di Zeinab dalla furia distruttrice dei “ribelli moderati”. Sono loro che difendono l’aeroporto di Damasco e aprono le grandi offensive per liberare Aleppo.

Incontra i russi e organizza il loro intervento in Siria

Soleimani non dà tregua all’Isis, al terrorismo islamista, né in Siria né in Iraq, dove praticamente si stabilisce e supporta le Unità di mobilitazione popolari (Pmu) e il Kataib Hezbollah iracheno, formazioni ben più efficienti dello stesso esercito iracheno, nelle battaglie di Falluja, Salahuddin e Tikrit. Convince il governo di Baghdad ad aprire lo spazio aereo iracheno agli aerei iraniani per aiutare la Siria. Incontra i russi e, poco prima del loro intervento diretto in Siria, organizza con loro la fase operativa dell’intervento coordinato. “Il ricordo del martire Soleimani rimarrà sempre vivo nella coscienza del popolo siriano che non dimenticherà la sua determinazione nel difendere la Siria contro i terroristi a fianco dell’esercito siriano” (Bashar Al Assad).

“Lo stratega” distrugge l’Isis nella regione e manda in fumo i piani Usa-Israele

Soleimani, “lo stratega”, è il primo ad entrare ad Aleppo liberata dai terroristi, pianifica la liberazione di Mosul, invia truppe fidate in sostegno degli eroici soldati siriani del generale Zahreddine assediati a Deir Ez Zor. Distrugge l’Isis e con essa i piani di smembramento delle nazioni arabe e di accerchiamento dell’Iran da parte di Washington e Tel Aviv, mandando in fumo le loro strategie e miliardi di dollari di investimenti.

L’uccisione del Generale Qassem Soleimani, il martire, avvenuta il 3 gennaio a Baghdad, ad opera dei militari Usa dietro diretto comando del presidente Trump è un punto di non ritorno. Una dichiarazione di guerra, vigliacca e arrogante. L’umanità tutta ne pagherà, purtroppo, le conseguenze e dovrà prima o poi riconoscere il ruolo di decine di migliaia di patrioti, in gran parte musulmani, caduti in combattimento contro il terrorismo mondialista. Il Generale, Hajj Qassem Soleimani, sarà ancora una volta in prima fila. Mai servo, mai sconfitto.