Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il mondialismo? Viene dal pensiero di Kant

Il mondialismo? Viene dal pensiero di Kant

di Francesco Lamendola - 18/09/2019

Il mondialismo? Viene dal pensiero di Kant

Fonte: Accademia nuova Italia

Occorre distinguere fra globalizzazione e mondialismo. La prima è un processo in atto di totale internazionalizzazione della finanza, che ha l’effetto di assolutizzarla e imporla come il potere supremo e inappellabile a livello planetario: tutte le altre sue manifestazioni, dalla produzione alla cultura, dall’informazione allo sport, ne sono effetti collaterali. Infatti se la finanza è concentrata in pochissime mani e nulla le si oppone, né gli stati, né i confini, né le leggi, né il pensiero, né le religioni, allora ogni aspetto della vita pubblica e privata le viene sottomesso e diventa una sua funzione, cioè una maniera di accrescere ulteriormente i suoi capitali, drenandoli da ogni altro soggetto. Il mondialismo è un’ideologia che proclama la bellezza, oltre che l’ineluttabilità della globalizzazione, con tutte le sue conseguenze: formazione di un unico governo mondiale, di un monopolio mondiale sulle agenzie d’informazione, di un monopolio mondiale sulla scuola, sulla sanità, sulla psichiatria, sui trasporti, su ogni tipo di tecnologia, sul controllo e la distribuzione dell’acqua potabile, e naturalmente sulle istituzioni culturali e universitarie. Pertanto i suoi seguaci si dividono nettamente in  due categorie: i perfetti idioti, che si fanno propagandisti di un sistema che essi credono filantropico, umanitario, tollerante, garante dei diritti civili e specialmente di quelli delle minoranze, oltre che degli equilibri ecologici e ambientali; e i malvagi, che si sono messi scientemente al servizio dell’oligarchia finanziaria per ricavarne vantaggi di carriera, denaro, successo, potere. Chiunque sia un fautore del mondialismo rientra in una di queste due categorie, con qualche sfumatura intermedia: o è un perfetto idiota, la cui ingenuità colossale viene sfruttata da altri, o è un perfetto delinquente, cinicamente disposto a calpestare la dignità e il bene dei popoli e delle persone, per motivazioni abiette ed egoistiche.
Ma da dove viene, filosoficamente, il mondialismo? Da dove viene un’ideologia così spaventosa, ma così ben mascherata sotto nobili e altruistiche apparenze? Da dove viene un’ideologia che spinge ragazzotte come Carola Rackete a improvvisarsi salvatrici dell’Africa e strenue guerriere contro i mostri del sovranismo e del razzismo (perché è chiaro che non lasciarsi invadere è un patente delitto di razzismo), e giudici come Alessandra Vella ad assolverla e complimentarla per aver condotto una così encomiabile e ammirevole battaglia? Da dove viene un’ideologia che consente a un qualsiasi ragazzo africano di entrare a forza in Italia, chiedere e ottenere asilo “politico” perché omosessuale, quando nel suo Paese d’origine l’omosessualità è equiparata a un grave reato e punita con estremo rigore? E poco importa se quel ragazzo, poi, non è affatto omosessuale, e lo dimostra molestando e violentando le prime donne che gli capitano a tiro, oltre che rapinando nelle case e arrotondando le entrare con lo spaccio di droga, mentre è in attesa di ricevere una risposta alla sua domanda d’accoglienza: quel che conta è il principio. Se un cittadino senegalese, o nigeriano, o tunisino, si dichiara omosessuale in cerca di ospitalità, le porte non gli possono essere chiuse in faccia; qualsiasi Paese europeo che si dica civile ha il preciso dovere di accoglierlo, per risparmiargli le pene e le discriminazioni che la sua patria non tanto civile (e questo non è razzismo, cari progressisti e buonisti umanitari?) automaticamente gli infliggerebbe. Ciò significa che tutte le persone che dicono di essere discriminate e maltrattate in patria per il loro orientamento sessuale; tutte le persone che dicono di fuggire da guerre e carestie; tutte le persone che affermano di subire torti, ingiustizie, o di rischiare la pena di morte (e non, si badi, di essere innocenti di delitti anche gravissimi), tutte le persone che non godono di sufficiente tutela sanitaria, o di un adeguato livello d’istruzione scolastica, o che sono trattate da cittadini di serie B in quanto donne, o non godono di alcun sostegno pubblico in quanto handicappati o malati di mente, insomma tutti quelli che lamentano una condizione di precarietà, di arretratezza, di bisogno, hanno il diritto di fare domanda per essere accolti in un Paese di loro preferenza: guarda caso, in Europa o negli Stati Uniti, cioè nei Paesi più ricchi e più larghi di possibilità. Quelle domande poi verranno verificate, nei limiti del possibile, impegnando la giustizia del Paese che li ha accolti, per mesi e anni e consumando ingenti risorse, e forse risulterà che, alla fine, non avevano alcun preciso diritto da rivendicare, che non erano soggetti ad alcuna discriminazione e che non fuggivano da alcuna guerra: ma rimpatriarli, a quel punto, non sarà per niente facile. Una volta arrivati in Europa, quei soggetti ritengono di aver raggiunto una meta che nessuno può contestar loro; che volerli respingere sarebbe, da parte delle autorità, una vera ingiustizia, nonché una palese mancanza di umanità; faranno ricorso, oppure tenteranno di entrare una seconda, una terza, una quarta volta. E lo dicono, anche, senza nessun ritegno: Se mi rimandate a casa mia, io tornerò; tornerò una volta, due, dieci, col canotto, o aggrappato sotto l’asse di un camion, o chiuso dentro un container: tornerò e alla fine resterò, che lo vogliate o no. E, cosa più stupefacente di tutte, costui troverà un esercito di persone, proprio nel Paese in cui si è introdotto con la frode e la menzogna, uomini politici anche di altissimo livello e una schiera di preti, vescovi e cardinali, pronti e decisi a sostenerlo, con tutte le loro forze, e con qualsiasi mezzo a disposizione, lecito e illecito, sempre in nome dei diritti umani e con la ferma coscienza d’impersonare la parte migliore della società, quella accogliente, solidale, inclusiva e non ceto quella brutta, populista, xenofoba e fascista.
Ma dove viene tanta sicurezza di essere nel giusto, di esercitare un pieno diritto, e perciò di poter calpestare le leggi dei singoli stati, in nome di un valore superiore, quello dei diritti umani? Se dovessimo indicare un nome preciso, non esiteremmo a fare quello di Immanuel Kant, il massimo filosofo dell’illuminismo: perché quelle idee vengono tutte dalla cultura illuminista, e molte di esso dalla sua testa in modo particolare. Col suo scritto dal titolo edificante Per la pace perpetua, del 1795, egli ha stabilito, una volta per tutte, tre principi che sono  rimasti nella mentalità europea e accolti da quasi tutte le legislazioni: primo, la sola forma di governa degna di un Paese e civile è la repubblica; secondo, l’umanità deve costituirsi in unità mediante una federazione mondiale di Stati; terzo, esiste un diritto di ospitalità che supera il vecchio concetto dell’ospitalità come benevola concessione, perché è un vero diritto e scaturisce dal fatto – non ridete, se potete – che la Terra è una sfera e che quindi è un destino degli uomini quello di ritrovarsi tutti insieme, e non dispersi in differenti direzioni. Vale la pena di leggere e meditare le precise parole con le quali Kant sviluppa il suo ragionamento (da Per la pace perpetua, cit. in A.A.V.V. Agorà. Manuale di filosofia, Milano, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2007, vol. 2, L’età moderna, pp. 555-557):

Lo stato di pace fra gli uomini assieme conviventi non è affatto uno stato di natura. Questo è piuttosto uno stato di guerra, nel senso che, anche se non vi sono sempre ostilità dichiarate, è però continua la minaccia che esse abbiamo a prodursi. Dunque lo stato di pace dev’essere istituito, perché la mancanza di ostilità non significa ancora sicurezza. (…)
[Primo articolo definitivo] La costituzione fondata: 1) sul principio della libertà dei membri di una società (come uomini); 2 sul principio della dipendenza di tutti da un’unica comune legislazione (come sudditi); 3 sulla legge dell’uguaglianza di tutti (come cittadini) – e, cioè l’unica costituzione che derivi dall’idea del contratto originario, sul quale la legislazione di ogni popolo deve fondarsi – è la costituzione repubblicana. (…)
Ora, la costituzione repubblicana (…) presenta la prospettiva del fine desiderato, cioè della pace perpetua, per il seguente motivo: se (come in questa costituzione non può non accadere) è richiesto l’assenso dei cittadini per decidere se la guerra debba o non debba essere fatta, nulla di più naturale pensare che, dovendo far ricadere sopra di sé tutte le calamità della guerra (…) essi rifletteranno a lungo prima di iniziare un così cattivo giuoco. In una costituzione invece, in cui il suddito non è cittadino e che pertanto non è repubblicana, la guerra diventa la cosa più facile del mondo, perché il sovrano non è membro dello Stato, ma ne è il proprietario, e nulla ha da rimettere a causa della guerra dei suoi banchetti, delle sue cacce, delle sue case di diporto, delle sue feste di Corte ecc., e può quindi dichiarare la guerra come una specie di partita di piacere. (…)
[Secondo articolo definitivo] I popoli, in quanto Stati, potrebbero esser considerati come singoli individui che, vivendo nello stato di natura (cioè nell’indipendenza da leggi esterne), si recano ingiustizia già solo per il fatto della loro vicinanza; perciò ognuno di essi per la propria sicurezza può e deve esigere dall’altro di entrare con lui in una costituzione analoga alla civile, nella quale si può garantire ad ognuno il suo diritto. Questa sarebbe una federazione di popoli, ma non dovrebbe però essere uno Stato di popoli. (…)
Come l’attaccamento dei selvaggi alla loro libertà senza legge, che li spinge a preferire di azzuffarsi di continuo tra loro piuttosto che sottoporsi a una coazione legale da loro stessi stabilita, a preferire una folle libertà a una libertà ragionevole, noi lo guardiamo con profondo disprezzo e lo consideriamo barbarie, rozzezza, degradazione brutale dell’umanità, così si dovrebbe pensare che i popoli civili (di cui ognuno forma uno Stato per sé) dovrebbero affrettarsi ad uscire al più presto possibile da uno stato così degradante. (…)
La ragione dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna in modo assoluto la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere immediato la stato di pace, che tuttavia non può essere creato o assicurato senza una convenzione dei popoli. Di qui la necessità di una lega di natura speciale, che si può chiamare lega della pace (foedus pacificum), da distinguersi dal patto di pace (pactum pacis) in ciò; che quest’ultimo si propone di porre termine semplicemente a una guerra, quello invece a tutte le guerre e per sempre.
[Terzo articolo definitivo] Qui, come negli articoli precedenti, non si tratta di filantropia, ma di diritto, e quindi ospitalità significa il diritto di uno straniero che arriva sul territorio di un altro Stato di non essere da questo trattato ostilmente (…). Non si tratta di un diritto di ospitalità, cui si può fare appello (a ciò si rischierebbe un benevolo accordo particolare, col quale si accoglie per un certo tempo in casa un estraneo come coabitante), ma di un diritto di visita, spettante a tutti gli uomini, cioè di entrare a far parte della società in virtù del diritto comune del possesso della superficie della terra, sulla quale, essendo sferica, gli uomini non possono disperdersi isolandosi all’infinito, ma deve da ultimo rassegnarsi a incontrarsi e a coesistere. Nessuno in origine ha maggior diritto di un altro ad una porzione determinata della terra.

E questo sarebbe il grande, il grandissimo filosofo, padre del pensiero moderno, che tanti ammirano incondizionatamente, magari senza averlo letto personalmente? Le idee che qui esprime sono di una rozzezza e di una superficialità quasi inverosimili. Partiamo dal punto primo: dopo aver ammesso che gli uomini sono continuamente in guerra secondo la loro natura, contraddicendosi afferma che se essi verranno interpellati sulla pace o la guerra, sceglieranno quasi certamente la pace. Questo, beninteso, se hanno la buona sorte di vivere in regime repubblicano, perché lì il loro parere trova applicazione, mentre negli stati monarchici (nessuna distinzione, si noti, fra monarchia assoluta e monarchia costituzionale) il sovrano pensa solo alle cacce e ai divertimenti, e perfino la guerra per lui è un gioco. Tanto questa seconda immagine è caricaturale e perfino grottesca, quanto la prima, quella del regime repubblicano, è assurdamente idealizzata e semplificata, perché non è affatto vero che i cittadini di una repubblica sceglieranno probabilmente la pace invece della guerra. Kant non conosce la storia greca, non ha mai letto Tucidide? Non sa che le poleis greche erano, per definizione, repubblicane, e che specialmente Atene era anche democratica, e che tuttavia fu Atene, sotto la guida di Pericle, a incominciare la guerra del Peloponneso contro Sparta; e che molte altre guerre furono condotte in regime democratico, sin dall’antichità? Guerra di aggressione, si badi, e non guerre meramente difensive: guerre originate dall’avidità di ricchezze e dalla brama di spazzar via ogni concorrenza commerciale e industriale. Inoltre, quando Kant scriveva Per la pace perpetua, da tre anni infuriava la guerra in Europa, anch’essa scatenata da una repubblica, la Repubblica francese, proclamata nel 1792: e non era poi così difficile vedere e comprendere che l’Europa stava entrando in un’epoca di guerre molto più accanite, distruttive e “totali” delle piccole guerre dinastiche del passato. Che dire del secondo punto? Ogni popolo forma uno Stato, dice Kant. Ma non conosce l’Italia, l’Ungheria, la Grecia? E non vede che la Polonia viene spartita sotto i suoi occhi? Quanto alla superiorità morale dei popoli civili: quanti più morti e distruzioni hanno fatto le loro guerre, di quelle dei selvaggi! Infine il terzo punto: meno male che la terra è sferica, perché ciò costringe gli uomini a coesistere in uno spazio limitato. E se invece fosse cubica, sarebbe diverso?
Comunque, egli dice che tutta la terra è di ciascun uomo: una perfetta teorizzazione del comunismo.