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In Montepaschi accordo col rischio

di Stefano De Rosa - 18/09/2017

In Montepaschi accordo col rischio

Fonte: Italicum

Il 3 agosto 2017 Montepaschi e sindacati hanno siglato un accordo che, tra l’altro, prevede 4.800 esodi per i lavoratori che maturino i requisiti pensionistici AGO dal 31 ottobre 2017 al 31 ottobre 2022 con cessazione dal servizio il prossimo 31 ottobre e contestuale accesso al “Fondo di solidarietà”. La finestra di adesione al Fondo è stata aperta il 28 agosto e chiusa il 16 settembre 2017. Una volta accettata la domanda, i lavoratori “dovranno tassativamente entro il 10.10.2017 rassegnare irrevocabili dimissioni telematiche dal servizio (ex D.M. 15.12.2015), con effetto dal 31.10.2017 (ultimo giorno di servizio) pena la decadenza della domanda di accesso”.

Il punto è questo: tale formulazione-capestro sembra escludere, anzi esclude del tutto la possibilità di raggiungere accordi di conciliazione in “sede protetta”. Il d.lgs. n. 151 del 14 settembre 2015 – ed il richiamato decreto attuativo che da quest’ultimo discende – in realtà esclude il ricorso alle dimissioni telematiche in caso di conciliazione raggiunta in “sede sindacale” (art. 2113 cod.civ.).

La previsione delle sole dimissioni telematiche, che l’accordo rende invece l’unica modalità percorribile, può precludere l’opportunità per i lavoratori, in caso di modifiche normative riguardo l’accesso alla pensione AGO, di rientrare tra i salvaguardati; questo poiché le dimissioni telematiche sono unilaterali e – come detto – irrevocabili: tecnicamente è il dipendente che esprime la volontà di cessare il rapporto di lavoro, uscendo di fatto dal perimetro dell’accordo.

Qualora si verificassero simili fattispecie, l’impegno contenuto nell’accordo di “ricercare possibili soluzioni condivise” non pone al riparo totale i “dimissionari telematici” dal rischio di divenire – a distanza di sei anni dalla riforma Fornero – altrettanti esodati senza assegno del Fondo e con finestra pensionistica allungata di mesi od anni.

I ripetuti recenti interventi del presidente dell’Inps volti a caldeggiare l’introduzione di nuovi penalizzanti requisiti anagrafici per accedere alle prestazioni pensionistiche, a cominciare dall’innalzamento (con decorrenza 1° gennaio 2019) dei limiti di età di ben cinque mesi per adeguarli all’asserito aumento dell’attesa di vita (nonostante la speranza di vita alla nascita sia scesa nel 2015 da 80,3 anni a 80,1 per gli uomini e da 85 anni a 84,7 per le donne!), rendono molto concreto il pericolo paventato, considerando inoltre – dal 2019 in poi – la cadenza biennale di un adeguamento ormai svincolato dalle dinamiche demografiche.

Qualche domanda, allora, sorge spontanea. Perché azienda e sindacati hanno concluso un accordo contravvenendo allo spirito del decreto? Il divieto delle dimissioni telematiche non è forse ben conosciuto dal Ministero del Lavoro che in apposite FAQ ha esplicitamente escluso l’applicazione di questo strumento in caso di accordi sindacali realizzati anche attraverso l’utilizzo del Fondo di Solidarietà di categoria? Perché i contraenti vogliono impedire ai lavoratori di ricorrere alle dimissioni “in sede protetta” (cioè in Abi) dove in calce al modulo compaiono le firme del datore di lavoro, dell’Abi, del sindacato e del lavoratore?

Sembrerebbe, forse, che l’accordo del 3 agosto dissimuli un congruo favore al governo – divenuto azionista principale di MPS – il quale, in caso di modifiche normative o legislative circa l’accesso alle prestazioni pensionistiche (ricordiamo l’arco temporale di sessanta mesi da ottobre 2017 a ottobre 2022), potrebbe in punta di diritto non sentirsi obbligato ad intervenire in operazioni di “salvaguardia”, evitando così di dover coprire finanziariamente gli assegni per centinaia o migliaia di lavoratori (e relativi familiari) in mezzo al guado. È bene che i dipendenti MPS coinvolti ne prendano coscienza e chiedano spiegazioni alle “loro” delegazioni sindacali. (Stefano De Rosa)