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L’ansia dei ragazzi “digitali” è fame di realtà

di Claudio Risé - 10/07/2025

L’ansia dei ragazzi “digitali” è fame di realtà

Fonte: Claudio Risé

Il sistema dell’informazione ha scoperto che c’è l’ansia. E naturalmente si è spaventato, non senza ragione. Anche se gli ansiologhi lo ignorano, infatti, è fin dall’epoca classica che l’ansia è considerata il contrario della tranquillità e quindi della lucidità psicologica. Chi è in uno stato di ansia ha difficoltà a valutare i diversi fenomeni e decidere in modo appropriato il da farsi. Aulo Gellio, scanzonato cantore del II sec dopo Cristo, autore del classico Notti Attiche molto amato da Alberto Arbasino, presenta l’anxietas come “disposizione del carattere”, che si esprime con cura meticolosa e a volte esagerata, qualcosa di simile a ciò che oggi viene definito nevrosi ossessiva. Un fenomeno, questo, effettivamente molto diffuso, e assai complicato da trasformare in atteggiamenti e azioni aperte e appropriate verso la realtà quotidiana.
La più sospettata per l’attuale diffusione di ansia per quasi tutto (i soldi, il sesso, la vita intera) è naturalmente la morte, la regina degli spaventi. In questa fase di insicurezza universale le persone si spaventano talmente al solo pensarla che non si riesce più neppure a pronunciarla perfino negli annunci mortuari. In essi del protagonista si dice che è mancato, scomparso, ha iniziato il grande viaggio; ma morto mai, non sarebbe di bon ton.
La più sospettata di essere posseduta dall’ansia, che intanto si diffonde a piene mani tra la popolazione è però la generazione zeta, l’ultima arrivata, quella che è di fatto cresciuta con lo smart phone, le cui pericolose proprietà sono ormai state riconosciute(e raccolte con precisione nel già citato e veloce Smetto quando voglio dello psicologo Roberto Marchesini, Timone editore). A peggiorare funestamente i danni del neonato internettistico sta il fatto che la superficialità dei genitori fa spesso sì che la celebrata e onnipotente macchina inizi la sua azione di devastazione di ogni tranquillità e sicurezza già subito dopo l’inizio della vita, e i danni, a cominciare appunto dall’ansia, che si producono e manifestano già fin dentro il passeggino da quasi subito. Il bambino, essere sensibilissimo che in realtà registra accuratamente tutto ciò che gli adulti fanno o lasciano accadere attorno a lui, organizza però rapidamente le proprie difese nei confronti delle distrazioni o superficialità dei “grandi”.
“Il mondo virtuale è un luogo gelido, inospitale” nota nel suo recentissimo: Superbloom. Le tecnologie di connessione ci separano? l’acuto Nicholas Carr, già autore del fondamentale: Internet ci rende stupidi,(2019 sempre presso Raffaello Cortina editore).
Superbloom mostra come i componenti di quella prima “generazione cresciuta sugli smartphone, sui social media, sulle console collegate in rete, sono stati le ignare cavie di un immenso esperimento sociale architettato da giovani un po’ più grandi di loro”. Ora, infatti,”abbiamo un‘idea di cosa accade quando le persone vengono socializzate oppure si informano e si divertono in rete fin dai prima anni di vita.”
E cosa accade? Dopo “tendono a vivere da reclusi” risponde Carr. Non si fidano, direbbe Aulio Gello con i suoi amici filosofi, nottambuli ateniesi: fiutano il pericolo, sono ansiosi. La socializzazione non è mai stata facile - nei secoli- per l’uomo, che vi approda dopo il lungo e complesso viaggio nella pancia della mamma. Adesso figuriamoci se, dopo, ci tocca anche conquistare le ambigue e spesso inquietanti avventure del mondo virtuale. Generazione Z rimane lì, in rete, anche perché è ormai diventato quasi obbligatorio per vivere, però non si fida. A suo modo prende le distanze. Nell’attesa, a volte confessata a qualche intervistatrice, che ci si lasci vivere con la nostro personale anima, sulla terra. Non sulla nube.