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L'esercito europeo? Senza soldati

di Mario Porrini - 30/10/2025

L'esercito europeo? Senza soldati

Fonte: Italicum

Venti di guerra soffiano con sempre maggiore insistenza, alimentati dalle dichiarazioni di fuoco dei leader delle nazioni del Vecchio Continente oltreché dei burocrati che governano l’Ue i quali, invocando la nascita di un esercito europeo, prospettano la necessità di destinare sempre maggiori risorse economiche, da parte dei singoli Stati, per l’acquisizione di armamenti. Il nemico è alle porte – sostengono – e dobbiamo essere pronti a combattere contro l’Orso Russo che vuole soggiogare l’Europa intera. Questi continui e ripetuti appelli per una corsa al riarmo, sembrano non tenere alcun conto delle enormi difficoltà, da parte dei governi nazionali, a reperire fondi per l’acquisto di armi, in un periodo di profonda crisi economica, aggravata dalle sanzioni alla Russia che hanno provocato un aumento esponenziale dei costi energetici e dai dazi imposti da Trump che hanno dato il colpo di grazia. Appare del tutto evidente come la decisione di destinare per le spese militari una cifra pari, se non superiore, al 3% del PIL, comporti fatalmente, una consistente oltreché dolorosa sottrazione di fondi agli altri comparti statali quali sanità, assistenza sociale, previdenza, istruzione.

Alla costituzione di un Esercito europeo, si frappongono numerosi ostacoli. Oltre, naturalmente, al già citato reperimento delle necessarie risorse economiche, bisogna superare problemi di natura logistica, normativi, organizzativi, di mentalità. Ultimo ma non meno importante, si deve considerare il fattore umano. Le guerre, tutte le guerre, anche quelle moderne, sono combattute da uomini. Naturalmente, la tecnologia, gli armamenti, le risorse economiche e la capacità industriale rappresentano fattori importantissimi ma l’elemento essenziale è rappresentato dal combattente. Il soldato si rivela come il cuore pulsante di ogni esercito. E‘ questo il punto nodale della questione, ancora più importante del reperimento delle risorse economiche. I soldi si possono trovare, sia pur faticosamente, distraendoli da altre voci della spesa pubblica ma gli uomini no. Non sono sufficienti le alchimie contabili per creare dal nulla reggimenti o brigate. I paesi cosiddetti democratici dell’Europa occidentale, oggi fanno fatica a trovare giovani disposti ad arruolarsi. In merito, parla chiaro un report del Centro di Ricerca Bruegel e del Kiel Institute: i Paesi europei necessiterebbero di 300mila truppe aggiuntive rispetto a quelle attuali. Nella sua relazione sullo stato di salute delle FF.AA., il Capo di Stato Maggiore della Difesa Gen. Giuseppe Cavo Dragone a marzo scorso si esprimeva in questi termini: «Non abbiamo abbastanza uomini, con 170mila siamo al limite della sopravvivenza». Da parte sua, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Gen. Carmine Masiello, ha dichiarato come il potenziale incremento dei conflitti in corso, il calo demografico, i livelli di occupazione record, le prospettive e l’opportunità generate dal PNRR, nonché i mutamenti generazionali, influenzano negativamente il reclutamento. Con specifico riguardo alla categoria degli ufficiali, dopo un periodo di costante livello delle domande di partecipazione ai concorsi per l’Accademia, si sta registrando per il 2025 una flessione delle candidature. Pur prevedendo un incremento di 3.700 unità per l’Esercito e fissando i volumi complessivi a 93.100 uomini (personale militare), da conseguire entro il 2033, questo non basta perché tali volumi risultano inadeguati alle esigenze di carattere operativo e non assicurano alla forza armata la “massa” necessaria ad affrontare un eventuale conflitto ad “alta intensità”, che richiede, tra l’altro, la capacità di alimentare e rigenerare le forze impiegate in combattimento. Le limitazioni dell’attuale modello”, ha detto ancora Masiello, «appaiono immediatamente evidenti se analizziamo le richieste avanzate dall’Alleanza Atlantica nell’ambito degli obiettivi capacitivi 2025 e divengono ancor più significative se confrontate con la necessità di assicurare ulteriori forze per l’esecuzione del Piano militare di difesa nazionale». Detto in parole povere, per assecondare le richieste della NATO, rischiamo di non essere in grado di difendere adeguatamente il territorio nazionale. La coperta è palesemente corta.

Ma c’è un altro dato che appare ancor più allarmante, come rilevato da un sondaggio di Gallup, in molti Paesi europei, la maggioranza dei cittadini non è disposta a difendere la propria nazione in caso di invasione – in Italia solo il 14% lo farebbe. Queste stesse difficoltà si riscontrano, sia pur in misura meno marcata, anche nei paesi autocratici dove le possibilità di sfuggire ai doveri di servire la Patria sono certamente minori. In queste nazioni, in caso di necessità, si chiamano nuove classi di leva e si deve obbedire senza tante discussioni o aperte manifestazioni di dissenso eppure molto spesso i risultati sono ben al di sotto delle aspettative. Esempio lampante è rappresentato dall’Ucraina, il cui regime non può essere certamente annoverato nella lista dei paesi democratici, avendo il presidente Zalensky preso spunto dalla guerra per assumere poteri dittatoriali, mettendo fuori gioco o imprigionando gli oppositori e governando con il pugno di ferro. Nei primi mesi dell’invasione russa, si era registrata una massiccia richiesta di arruolamenti di volontari - una vera e propria esplosione – da parte di quella parte di giovani e meno giovani i cui ideali sono fondati sullo spirito patriottico e l’amore per la propria nazione. Esaurito questo flusso volontaristico, i vertici militari si sono trovati di fronte a sempre maggiori difficoltà per reintegrare le perdite. Moltissimi giovani sono fuggiti all’estero fin dalle prime settimane di guerra, ci sono poi le esenzioni per motivi di studio accanto a quelli che vengono riformati grazie all’altissimo tasso di corruzione molto diffuso nel paese. In una intervista al Financial Times, il presidente della commissione Affari economici del Parlamento ucraino, Dmytro Natalukha, ha dichiarato come ci siano circa 800 mila renitenti alla leva. Da parte sua, il portavoce dell’agenzia doganale di frontiera, ha comunicato che negli ultimi mesi è stato impedito a quasi 50 mila giovani in età di leva di lascare il paese. Per aggirare i controlli, molti si inoltrano allora nelle foreste e sentieri più impervi e meno battuti per attraversare il confine mentre altri si affidano a reti di trafficanti che, considerato il giro di affari, si sono moltiplicate. Vista la situazione, negli ultimi tempi, le autorità stanno procedendo alla mobilitazione coatta, arrivando a mandare in giro squadre di militari a sequestrare uomini per strada e nei luoghi frequentati da giovani, quali discoteche, pub e ristoranti per poi avviarli al fronte. Il paradosso è che mentre il peso della guerra grava su quei valorosi che sono accorsi alle armi allo scoppio delle ostilità, i media occidentali dedicano la massima attenzione e visibilità a quei ragazzotti, la maggior parte dei quali dovrebbe essere in prima linea a combattere, che ipocritamente, sfoggiando un patriottismo a buon mercato, cantano l’inno nazionale con la mano sul cuore e le lacrime agli occhi, in occasione di eventi sportivi, quando partecipa qualche rappresentativa ucraina.

Se un paese governato da un regime autoritario impegnato in una guerra in difesa dei confini nazionali fa molta fatica a trovare uomini da inviare al fronte, come possiamo pensare che un greco, un portoghese o un italiano decida di arruolarsi per proteggere la Lituania da una potenziale minaccia russa?

Dopo 80 anni, durante i quali il concetto di Nazione è stato demonizzato ed il termine patriota è diventato sinonimo di fascista, ci illudiamo che qualcuno sia disposto a mettere in gioco la propria vita per qualcosa di indefinito come l’Europa. Per coloro che ancora credono in un Valore come quello di Patria, la identificano in un popolo che ha lingua, religione, cultura, tradizioni comuni, radicati in un territorio i cui confini sono sacri e per questo vanno difesi anche con il sacrificio della vita. Un vero patriota e ce ne sono, purtroppo sempre meno, è disposto a morire per la propria nazione, non per una nebulosa entità come l’Europa che al momento non esiste se non come unione meramente economica. L’Europa ha un senso soltanto come unità di nazioni, ognuna con le proprie specificità, legate da un sostrato comune che alcuni individuano nelle radici cristiane, altri nella medesima matrice culturale grazie alla quale si è spesso parlato di civiltà europea.

Se vogliamo far nascere l’Europa come soggetto politico che sia l’espressione di un’unione di popoli uniti tra loro ma ognuno con le proprie specificità, dobbiamo partire riesumando il concetto di Nazione, facendolo tornare ad essere non più un disvalore ma una Idea con una valenza assolutamente positiva. Per ottenere qualche risultato, bisognerebbe tornare ad educare le giovani generazioni al culto della Patria, all’amore per la propria terra a credere in tutti quei valori che per decenni sono stati demonizzati. Ci vorrebbero comunque diversi lustri per vedere i primi risultati ma questa strada appare, però, poco praticabile, andando nella direzione opposta a quella per la quale l’ideologia globalista dominante ha inventato il concetto di Europa, concepito con il solo scopo di distruggere definitivamente l’Idea di Nazione, diluendola in un contenitore meramente geografico e quindi materiale, privo di quei valori ideali in grado di scaldare i cuori. Viviamo un periodo storico nel quale si è imposta una concezione della vita basata sull’edonismo, dove l’individuo persegue finalità solo ed esclusivamente utilitaristiche. Il piacere simboleggia la massima aspirazione dell'uomo e il suo conseguimento il fine esclusivo della propria esistenza. L’egoismo regna sovrano e la vita rappresenta per ognuno il sommo bene e nessuno sembra disposto a sacrificarla per alcun motivo. Ragionando in termini di mero materialismo appare ovvio come la fine della propria esistenza rappresenti la fine di tutto. Figuriamoci se la si possa mettere a repentaglio arruolandosi con il rischio, magari, di dover combattere veramente.

Allo stato attuale non ci sono i presupposti per la costituzione di un esercito europeo e questo lo sanno benissimo coloro che lo invocano. Non sono certamente così sprovveduti da pensarlo veramente, allora sorge il sospetto che tutta questa messinscena, di una presunta minaccia russa, rappresenti un gran bel regalo all’industria degli armamenti i cui ricavi, dall’inizio della guerra in Ucraina, sono già cresciuti del 65% e grazie a questi input, ci sono ottime possibilità che possano aumentare ancora in modo esponenziale nei prossimi anni. Tuttavia, oltre a queste motivazioni di natura economico - finanziaria, potrebbero essercene altre, per così dire, prettamente ideologiche: vista l’evidente impossibilità, per mancanza di organici, di far nascere ex novo un esercito europeo, la soluzione alternativa potrebbe semplicemente essere quella di sottrarre le forze armate dei singoli paesi dalla disponibilità dei rispettivi governi, trasferendone il comando ai vertici dell’Ue. Iniziando magari con pochi reparti per poi procedere, progressivamente, al completo passaggio di tutte le forze armato sotto un’unica guida continentale. Si tratterebbe di un altro importantissimo, forse fondamentale, passo verso la dissoluzione della Nazione. Verrebbe sancita definitivamente la morte delle Patria. Senza la disponibilità di forze armate che ne difendano la sicurezza dei confini e gli interessi nazionali, nessun paese può considerarsi sovrano. Sarebbe la chiusura del cerchio: dopo aver distrutto, demonizzandola, nella mentalità dei popoli europei, l’Idea di Nazione, verrebbe  certificata la perdita, anche sostanziale, del potere statale. Sarebbe una rivoluzione “morbida”, nessuno insorgerebbe, non ci sarebbero manifestazioni di piazza per opporsi perché verrebbe presentata come un ulteriore passo avanti verso l’integrazione europea ma per coloro che ancora credono nella Patria, sarebbe una sciagura. L’obiettivo non dichiarato è questo – indipendentemente dai tempi più o meno lunghi - si cerca di porre le basi per lo smantellamento definitivo dello stato nazionale. Non dobbiamo permetterlo!

                                                           

 

 

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