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L’ignoranza di Sherlock Holmes

di Roberto Pecchioli - 22/12/2020

L’ignoranza di Sherlock Holmes

Fonte: Accademia nuova Italia

Nel primo dei racconti imperniati sulla figura di Sherlock Holmes, Uno studio in rosso, Arthur Conan Doyle fa dire al suo eroe, l’infallibile investigatore residente al 221 B di Baker Street, Londra, che non gli importa nulla di sapere se è la Terra a girare attorno al sole o viceversa. L’una o l’altra possibilità, afferma, non influisce affatto sul mio lavoro. Sherlock Holmes era un valente chimico, sapeva tutto sull’ aroma di innumerevoli marche di tabacco, era un autentico esperto nello studio delle orme, ma era fondamentalmente un ignorante, indifferente a qualsiasi cosa esulasse dal suo campo, l’investigazione criminale. Per meglio dire, era un “esperto”, afflitto dalla barbarie dello specialismo.
Scrisse José Ortega y Gasset nella Ribellione delle masse che l’uomo di scienza è il prototipo dell’uomo-massa. Egli, costretto dalla complessità del mondo a ridurre progressivamente il suo ambito di ricerca, perde contatto con tutte le altre parti della conoscenza, e” recluso nella ristrettezza del suo campo visivo, conosce appena la scienza e con essa l’enciclopedia del pensiero, che coscienziosamente ignora”. Proclama virtù questa carenza e “chiama dilettantismo la curiosità per l’insieme del sapere.” Sherlock era il figlio legittimo del positivismo ottocentesco, e il suo contraltare letterario, nella generazione successiva, fu il mite Padre Brown di Chesterton, il prete cattolico che risolveva i crimini attraverso la profonda conoscenza dell’umanità. Padre Brown era un sapiente, Holmes solo uno specialista ignorante, o, in termini moderni, un tecnico, brillante esperto di deduzione.
Fin troppo facile riconoscere nel tempo presente la prevalenza dell’ignoranza e di uno specialismo angusto, di imbarazzante ristrettezza mentale e morale e insieme profondamente soddisfatto di se stesso.  Nulla della “dotta ignoranza” di un Nicola Cusano, ossia la coscienza della conoscenza imperfetta che avanza ponendo l’ignoto in relazione con ciò che già si conosce. Ancor più lontano è il principio su cui Socrate fondò la gnoseologia occidentale: so di non sapere. Contro i sofisti convinti di sapere tutto, l’ateniese faceva dell’ignoranza – ossia del non sapere - il punto di partenza per una sapienza fatta di dialogo, confronto, confutazione, arricchimento reciproco, sulla cui base fondò l’etica occidentale e la teoria della conoscenza.
L’ignoranza moderna spaventa e produce danni irreversibili non in quanto tale, ma per la sua indifferenza nei confronti del sapere. L’uomo postmoderno sa già tutto ciò che vale la pena sapere, racchiuso negli apparati artificiali che manipola come giocattoli e non prova più alcuna curiosità, se non per gli ultimi ritrovati destinati a diventare oggetti di consumo, simboli di possesso e di posizione sociale. Egli evita e svaluta tutto ciò che non riesce a comprendere e padroneggiare con gli strumenti della sua misera scienza parcellizzata. E’ un indizio potente di decadenza, tanto intellettuale che morale. Scrisse il poeta Antonio Machado, a proposito del declino della Castiglia, motore storico della nazione spagnola: Castilla miserable, un dìa dominadora, envuelta en sus andrajos, desprecia cuanto ignora”. La Castiglia, una volta dominatrice, avvolta nei suoi stracci, disprezza quanto ignora. Non è differente la condizione postmoderna: l’uomo medio disprezza ciò che non capisce e non fa sforzo alcuno per andare oltre, avvolto in stracci, magari firmati, pagati a caro prezzo, ma pur sempre simulacri, orpelli.
La tragedia è che l’ignoranza di massa del tronfio uomo contemporaneo è frutto di una gigantesca operazione di ingegneria sociale. Già nei primi decenni del secolo XX Bertrand Russell, ne L’impatto della scienza sulla psicologia, parlò dell’enorme crescita dei metodi di propaganda e di manipolazione. Gli psicologi del futuro, concluse con il compiacimento dell’illuminato carico di albagia verso l’uomo comune, “sperimenteranno diversi metodi per produrre l’incrollabile convinzione che la neve è nera”. A questo sono pervenuti vittoriosamente nell’ultimo ventennio, in cui il potere ha diffuso un’ignoranza di massa – l’ignoranza “tecnica” alla Sherlock Holmes- attraverso cui riesce a far credere quello che le generazioni precedenti, meno istruite, non avrebbero accettato per evidenza e senso comune. Pensiamo all’idea che il sesso/genere è una scelta culturale, la maternità un’imposizione patriarcale, il matrimonio non è l’incontro aperto alla vita tra uomo e donna, le razze non esistono (solo quelle umane, per gli animali, i “fratelli minori” è diverso), addirittura che procurarsi la morte sia un atto di civiltà.
I persuasori non più occulti hanno svolto il loro sporco lavoro a vantaggio di un potere divenuto dominio e forse andrebbe riesumato per loro il reato di abuso della credulità popolare. L’uomo contemporaneo disprezza talmente quanto ignora che sembra convinto che l’arte, la bellezza ereditata non siano più che fondali, “location” per spettacoli, messaggi pubblicitari e fotografie con al centro “Io”. Nicolàs Gòmez Dàvila ripeté invano che le cattedrali non furono costruite dall’ente per il turismo. La neve è nera, se interessa alla megamacchina di comunicazione, intrattenimento e deculturazione. Gli ultimi che si azzarderanno ad affermare il contrario, basandosi sulla corrispondenza tra realtà e intelletto (adaequatio rei et intellectus), saranno trattati da negazionisti e da “terrapiattisti”, gente ridicola ma pericolosa, meritevole di esemplare punizione. L’ignorante di ieri sapeva di non sapere, quello di oggi crede a qualsiasi sproposito, purché condiviso dalla maggioranza e rivestito dall’autorità degli “esperti”.
In sostanza, è un accecato volontario, manipolato fin dall’infanzia da un sistema educativo – scolastico, sociale, culturale- che lavora a pieno ritmo per creare nuovi ignoranti, meglio se muniti di titoli accademici a giustificazione di spocchia ed esagerate ambizioni. Cito un episodio personale: molti anni fa, appena promosso alla carriera direttiva nella pubblica amministrazione, mi capitò di sostituire un collega esperto. Dovetti rispondere alla richiesta telefonica di chiarimenti da parte dell’avvocatura dello Stato. Non riuscii a capire quasi nulla del mio interlocutore: pressoché privo di preparazione giuridica, non solo ignoravo tutto sulla “rimessione” e l’”invalidità caducante “, ma non sapevo neppure chi fossero,  nel linguaggio processuale, l’ attore e il convenuto. Imbarazzato, dovetti confessare a me stesso la mia adeguatezza e rinfoderare premature ambizioni. Cercai di studiare e diventare un funzionario, come si diceva allora, preparato.  
Adesso, sembra che tutti sappiano già tutto; manca l’impegno a migliorare se stessi, l’umiltà di imparare e uscire da un’ignoranza che non vogliamo riconoscere. La diffusione dell’ignoranza è assolutamente voluta, perseguita dal livello più alto della società, l’oligarchia. Essa trascina con sé, inevitabilmente, la prevalenza del cretino, uno sciocco di nuovo tipo, indocile, arrogante, pieno di sé. Ne scrissero con esiti straordinari gli scrittori torinesi Fruttero e Lucentini. La prevalenza del cretino, del 1985, è un gioiello da consigliare ai pigri lettori del secolo XXI. Il progresso, in cui crede ciecamente, anzi superstiziosamente, ha aperto al prevalente cretino contemporaneo, la cui forza è brutalmente numerica, “infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumeri poltrone, sedie, sgabelli, telefoni”. Che cosa avrebbero scritto Fruttero & Lucentini se avessero conosciuto l’ignorante al tempo del web, le prodezze da tastiera, la vita scandita da clic, mi piace, non mi piace, pollice alzato o rovesciato come la plebe romana nel Colosseo?
L’ignoranza, per evidenti motivi quantitativi, è salita in cattedra e ha salito (o disceso?) anche gli scalini del governo. La rappresentanza politica – comunque la si pensi – è scaduta a livelli impensabili un quarto di secolo fa. Non scegliamo affatto i migliori, ma quelli che ci assomigliano di più, specie nei difetti. Un partito – quello di “uno vale uno” - rappresenta al meglio (peggio…) questa involuzione, tanto da essere diventato maggioranza relativa, specchio fedele, immagine autentica della nazione. Così, in uno dei periodi più drammatici della storia, affidiamo decisioni cruciali ad autentiche nullità, che, se verranno sostituite, lasceranno il campo a personaggi di analogo livello. L’ignoranza, infatti, è perfettamente trasversale, come dimostrò l’economista Carlo M. Cipolla nel sapido libello Le leggi fondamentali della stupidità umana. Unica consolazione: il governo non conta granché, il potere sta altrove, in alto, dove, ahimè, non regna l’ignoranza, piuttosto la malvagità. Il dramma è che nemmeno lo comprendiamo, a tutti i livelli della scala sociale. L’ignorante, poi, è per sempre, non può smettere a orari stabiliti.
Più diventiamo ignoranti, nel senso letterale di non sapere, non conoscere e neppure sospettare la complessità e i risvolti di fatti e problemi, più siamo manipolabili, soggetti a prestar fede a ogni menzogna. Somigliamo, nel rapporto con il potere, ai popolani della prima delle cento novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio. Il protagonista è un frate briccone che giunge in un paese per mostrare una preziosa reliquia, una piuma delle ali dell’arcangelo Gabriele. Alcuni buontemponi, suoi compari di bisboccia, sostituiscono la piuma con del carbone. Il monaco apre la scatola davanti alla folla, vede il carbone, non si perde d’animo, affermando che per miracolo la piuma si è trasformata nei tizzoni ardenti su cui fu martirizzato San Lorenzo, di cui ricorre la festa. Giubilo della folla.  
I carboni ardenti e la piuma dell’arcangelo sono sostituite dalla superstizione della tecnica e dalla fede infantile nella scienza, dal provincialismo grottesco delle parole nuove e sconosciute, preferibilmente straniere (lockdown, isolamento, recovery fund, fondo di recupero, ma prestito oneroso soggetto a condizioni). Imperano le neo-lingue specialistiche, masticate con malcelata difficoltà ma ostentate con orgogliosa sicurezza.  Ogni tanto, si formano crocchi di sedicenti “esperti” che parlottano tra loro usando un linguaggio criptico, che sarebbe esoterico se non fosse ridicolo, uno slang da specialisti di periferia che ricorda il “broccolino” dei poveri emigranti italiani alla Merica, Ridacchiano di battute che comprendono solo loro – gli iniziati – e si rivolgono al volgo in improbabili grammelot linguistici – segni di scienza infusa- che avrebbero fatto la delizia del pubblico nel teatro di avanspettacolo. Viene voglia di applaudire l’oligarchia che ci ha resi quel che siamo: ben ci sta, se è vero, come è vero, che nella mia città, alcuni giorni fa, sotto la pioggia, una folla ordinata e paziente ha sopportato una coda di ore due per accedere all’inaugurazione di un supermercato alimentare.
Un’ignoranza politicamente corretta si è impadronita anche della Chiesa cattolica, che, modificando il Padre Nostro, nega che l’Onnipotente possa indurre in tentazione, il che, nella dottrina precedente caduta in disgrazia, era parte della prova terrena degli uomini. D’altronde, nel passaggio dal venerando latino alle lingue volgari, mezzo secolo fa, tradussero l’Agnello di Dio “qui tollis peccata mundi”, che assumi il male su di te, sacrificandoti per l’umanità, con il maccheronico “che togli i peccati del mondo”. Ignorante è lo sconcertante presepe post cattolico di San Pietro, poiché ignora il deposito della fede, sostituito da un mediocre gioco situazionista.
Che dire dell’ignoranza - o indifferenza – con cui accogliamo in tempo di virus continue deroghe ai diritti costituzionali, ferite alla “costituzione più bella del mondo”?   Il dramma è che l’ignoranza nostra è la stessa delle classi e dei gruppi dirigenti. Che ne sappiamo di geopolitica, storia, relazioni internazionali, moneta e finanza? Poco o nulla, ma chi ci rappresenta spesso è ancora più inconsapevole di noi, allevati nel fastidio per la complessità, addestrati con i Bignami della conoscenza, convinti, come i quattro amici al bar, che esistano soluzioni semplici a problemi complessi. Se una lezione impartisce la cultura è la sensazione di inadeguatezza prodotta dall’addentrarsi alla radice dei problemi: sciolto un enigma, altri se ne pres
Il “rasoio di Occam” invita a non moltiplicare gli elementi più del necessario (entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem), tuttavia non si può lasciare la conoscenza – quindi inevitabilmente la decisione- a oligarchie nemiche il cui obiettivo manifesto è il caos, sul quale costruiscono una dominazione marmorea. Un esempio è l’assenza di dibattito su un tema decisivo come la tecnologia 5G, campo di battaglia delle superpotenze e dei giganti fintech. Sappiamo solo che si tratta di un sistema destinato a rendere più veloci le comunicazioni. E’ la quinta generazione – questo significa 5G - che rivoluzionerà i nostri apparati informatici, ma soprattutto permetterà la connessione multipla contemporanea (oggetti, elettrodomestici, Internet delle Cose) con fulminei tempi di risposta. Chi lo controllerà avrà il mondo ai suoi piedi. Ce lo hanno mai spiegato? Hanno mai accennato a rischi per la salute, problemi connessi alla riservatezza personale e all’interesse nazionale, alla possibilità che le onde elettromagnetiche nuocciano alla natura, ai viventi, all’uomo?
Si avanza, perché è tecnicamente fattibile. Le città raggiunte dal 5G, dicono i fautori, sono smart, furbe. Dunque, sono stupidi, arretrati, coloro che si oppongono o vorrebbero saperne di più, dato che si tratta della vita nostra e della prossima generazione. Analogo discorso vale per i vaccini anti Covid 19. Spaventa e dovrebbe insospettire, se ancora conservassimo un briciolo di spirito critico, la certezza apodittica unita alla squalifica preventiva, all’irrisione pregiudiziale gettata addosso alle tesi alternative, a chi non ci sta e invita al principio di prudenza.
L’ignoranza soddisfatta è credulona e non “moltiplica gli enti”, come prescriveva il monaco Occam. Si accontenta della versione ufficiale, che è, in genere, l’unica, ripetuta sino all’estenuazione – i messaggi passano per sovraccarico – sbuffando contro ogni obiezione. Ma la cultura è fatta di obiezioni, giudizi difformi, confronto di tesi, dubbio. E’ sempre revisionista, nel senso che rivede, sottopone ad indagine ogni affermazione e scoperta. Preoccupa il ritorno di uno pseudo aristotelismo di serie B. Ipse dixit, lo disse Aristotele, e con questa sentenza si impediva il dibattito filosofico e scientifico. Nel mondo liquido, l’autorità somma non è più lo stagirita, ma la cupola tecnoscientifica padrona, mentre è revocata in dubbio tutta la sapienza “di prima”.
Per l’ignoranza di Sherlock Holmes, il sapere è fatto essenzialmente di novità, corsa febbrile, abolizione del passato, irritata sufficienza per le obiezioni, gli approfondimenti, le dissidenze. Si nutre esclusivamente di “ciò che serve”, evita come la peste quello che induce a riflettere. Nulla è più terribile di un’ignoranza attiva. (J.W. Goethe).