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Sparare ai palloncini

di Lorenzo Merlo - 07/12/2025

Sparare ai palloncini

Fonte: Lorenzo Merlo

L’esperienza comune di un cambio o rinnegamento di opinione, di considerazione, di giudizio e di descrizione potrebbe bastare ad ognuno per concludere in che termini è vero che la realtà è maschera e ricreare così il brocardo nietzschiano che i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. (1)
Nonostante l’imprinting positivistico che ci impone di constatare che la realtà ha un’unica facciata, essa vive in noi soltanto in funzione della nostra presenza e descrizione. Se al cospetto di una medesima – presunta oggettiva realtà – dai presenti emergono descrizioni differenti, dovrebbe bastare per riconoscere in che termini è vero che la realtà è maschera.
Dovrebbe, ma non basta. La cultura in cui nasciamo riempie il vaso vuoto che siamo con il suo limo razional-materialista-scientista- meccanicista. Ciò tende a determinare in noi una tenace ma invisibile forma-pensiero che prende il nome di “oggettività”. Così, ne coltiviamo il culto e il mito, a mezzo del quale, diviene dogmatica.
Si può altresì osservare che il culto dell’oggettività è un magnete cognitivo e creativo che raduna, surroga e falsifica la libertà di pensiero, annichilendo così l’emancipazione dal suo popolare mito. 
Nonostante ciò, la narrazione dell’esistenza e della superiorità dell’oggettività non solo ha legittimità storica – se c’è, qualche esigenza l’avrà creata – ma ha, a suo favore, tutte le doti per descrivere attendibilmente il reale, purché limitatamente a un “campo chiuso” in un “tempo fermato”.
Campo chiuso allude ad un contesto regolamentato, il cui linguaggio e le cui regole sono accettate dagli attori.
Per guidare un’auto, per risalire il vento in barca a vela, per ottenere un medicamento omeopatico, per coltivare cipolle e per visitare un museo è necessario conoscere la relativa regolamentazione logistica, amministrativa, tecnica. Diversamente, nessuna delle attività appena elencate, quali campioni del concetto di campo chiuso, può essere soddisfacentemente realizzata.
Tempo fermato allude invece al momento preso in considerazione. Se alcuni campi chiusi – come per esempio presumibilmente quello della coltivazione delle cipolle – dispongono di un tempo fermato assai lungo, per altri, in generale quelli di carattere amministrativo, il tempo fermato si riduce. Una legislatura può modificare il come di più processi amministrativi; le regole di un gioco possono essere fisse e modificate in ogni momento e noi, possiamo cambiare le nostre in ogni momento, con il diritto di dare loro una durata volatile, a piacere.
Al contrario del campo chiuso, in cui i principi della logica e quelli della meccanica classica trovano il terreno ideale per fiorire e governano a pieno titolo e con somma efficienza ed efficacia, il campo aperto si riferisce a contesti relazionali non protocollabili e non esauribili entro le rigide architetture del razionalismo, della logica, del causa-effetto, della misurabilità, della prevedibilità. 
Se in quello chiuso, per esempio nella conduzione del decollo di un aereo, l’intento va a buon fine solo seguendo la procedura codificata e, in caso di avaria di qualche strumentazione, sarà la creatività – evento per definizione estraneo al conosciuto – del pilota a provvedere per il meglio.
In quello aperto, non v’è procedura alcuna, fatto salvo quella estemporanea, escogitata al momento. 
Tutte le libere relazioni umane, incluse quelle che possono accadere entro i campi chiusi, sono di tipo aperto, quindi del tutto corrispondenti all’infinito nella misura in cui, sempre, culminano in epiloghi potenzialmente imprevedibili, nelle quali avviene il regno del fraintendimento, dell’incomprensione, del contrasto e del conflitto. 
Nel caso di una relazione tra persone esso tende a produrre equivoci se si tratta di un confronto tra esigenze ed emozioni incompatibili o, al contrario, a realizzare comunicazione compiuta se compatibili, come nel caso degli amanti e dei complici, tra i quali si avvera una semantica inequivocabile con il minimo sforzo e con qualunque linguaggio, in cui il rischio di perturbazione tende al minimo. E così colui che danza cavalca il ritmo della melodia, al contrario dell’impacciato rapito dalle sue idee.
Si può così sostenere che nel caso equivoco gli attori sono mossi da vibrazioni tra loro cacofoniche, incommensurabili e che, nel secondo, è presente un’energia risonante. 
A evidenziare il concetto di incompatibilità, oltre alla rappresentazione grafica, può venire incontro l’impossibilità di coniugazione tra i numeri primi e tra questi e quelli divisibili (non solo da 1 e da loro stessi). Mentre, tanto questi ultimi quanto quelli della sequenza di Fibonacci – che peraltro contempla la presenza di numeri primi – si prestano a dare senso al concetto di compatibilità.
L’aspetto grafico di onde di vibrazioni può essere impiegato per esemplificare la realtà del campo chiuso e di quello aperto e perciò, anche della comunicazione compiuta o fallita, la natura del loro spirito meccanico-prevedibile per quello chiuso e quantistico-serendipidico per quello aperto, la realtà composta da parti esterne a noi e quella sempre integrale che nulla esclude esistente in noi.
La dimensione materiale e quella dell’oggettività avrebbero quindi modo di realizzarsi in occasione di una consonanza vibrazionale tra le parti. È così che il bimbo crede che la realtà corrisponda alla descrizione che ne fanno i genitori, lo scientista nei confronti di quella descritta dalla scienza, il tesserato a quella narrata e circoscritta dalla ideologia del suo partito e il buon cittadino, probiviro dell’etica democratica, vede il sistema e pensa di esserne protagonista. Ma anche da quella che decanta da un’idea. Nessun fiore della realtà esiste senza uno spirito che la insemini. Nessuna realtà è quindi fuori da noi prima di esserci dentro. 
La tendenza alla materializzazione, quindi ad una certa stabilità e univocità della realtà, è tipica del campo chiuso, mentre è caratteristica di quello aperto una certa volatilità che, graficamente parlando, corrisponde alla dissonanza tra le vibrazioni presenti/emesse dalle parti in relazione.
Se perciò il campo chiuso e la materia vedono quali fondamenta di se stessi la risonanza e permettono la ragione dell’ordine, della misurabilità e della prevedibilità, nonché del credito ai saperi cognitivi e della predilezione del criterio analitico, una risonanza è anche il dietro le quinte di ogni nostro cambio di idea, di stato, di concezione, di descrizione del mondo.
Considerare l’avvento di una consapevolezza e di un cambio di valutazione, ovvero del mutamento di prospettiva e descrizione della realtà, sarebbe dunque rispettoso delle configurazioni finora espresse in quanto, ad ogni scatto di consapevolezza, corrisponde una risonanza prima assente. 
Dunque, comprimere il mondo entro la narrazione meccanicistica e dare a questa il monopolio del vero e del giusto e del definitivamente oggettivo corrisponde alla mortificazione della conoscenza e a rimanere nella cultura brutale dei saperi e delle specializzazioni quali insuperabili, incomparabili e indiscussi picchi assoluti e non semplicemente funzionali all’organizzazione meccanica sociale. 
Vette dall’ossigeno rarefatto e dall’euforia incontrollata, dalle quali non ci si avvede della dimensione energetica e vibrazionale della realtà. Consapevolezza così necessaria per constatare l’origine ondulatoria degli equivoci, quanto indispensabile per riconoscere le forze sottili che trascorrono nelle relazioni tra noi e il nostro oggetto d’attenzione. Forze sottili ma potenti, sole madri delle nostre interpretazioni e dei nostri giudizi, che impregnano di sé i campi aperti.
Eppure, noi viviamo in questi. Non dedicarsi a loro, seguitare a costringere la vita entro autoreferenziali categorie, classificazioni, protocolli, misurazioni dello studio cognitivo è mortificare l’esistenza, il cui carattere è artigianale non industriale, analogico non digitale. È scialacquare la vita in un luna park di fuochi fatui, felici di sparare ai palloncini.

Nota
1.Formula attribuita a Nietzsche a causa di quanto affermato in Frammenti postumi 1885-1887, Milano, Adelphi, 1975.