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La banalità del male

di Enrico Tomaselli - 13/09/2025

La banalità del male

Fonte: Giubbe rosse

Può sembrare una banalità, ma tante volte, quando ci troviamo di fronte ad una situazione in cui ci dobbiamo confrontare con problematiche complesse, il rischio è che ci sfuggano alcune cose molto semplici. Per esempio, quando si discute su quale sia la miglior soluzione possibile per il conflitto israelo-palestinese… anzi, no: cominciamo col mettere correttamente in riga i fatti, a partire dalle parole usate per descriverli. Quindi, quando si discute su quale sia la miglior soluzione possibile per mettere fine alla guerra di liberazione del popolo palestinese, tutto si sposta sul come e sul se sia possibile la soluzione cosiddetta "dei due stati". Che è poi, diciamolo, un modo per prolungare un conflitto e rinviarne la definitiva soluzione. La guerra di liberazione del Vietnam, per dire, dopo la cacciata dei francesi trovò 'soluzione' nella creazione di due stati, uno al nord ed uno al sud; cosa che servì soltanto a prolungare la guerra per un'altra ventina d'anni, e qualche milione di morti in più.
Eppure, cos'è in effetti il nocciolo del ragionamento di chi indica questa soluzione? Alla fine, tutto si riduce al rifiuto di mettere in discussione la legittimità - legale, politica e morale - dello stato di Israele e, scavando ancora più a fondo, nell'assunto che senza questo gli ebrei dovrebbero andarsene via.
Ovviamente si potrebbe a ciò obiettare, nemmeno troppo polemicamente, che non ci sarebbe nulla di male: la stragrande maggioranza degli ebrei israeliani è arrivata nel paese negli ultimi cinquant'anni, provenendo prevalentemente dall'est Europa. Per quanto amino raccontare che stanno lì da duemila anni, sono né più né meno come degli immigrati africani di seconda o terza generazione nella banlieu di Parigi…
Ma naturalmente il punto non è questo. Nessuno chiede, né si aspetta, che vadano via. Del resto - per citare non a caso un altro paese con una storia simile - quando in Sud Africa è terminato il regime dell'apartheid e del dominio dei bianchi sui neri, solo una piccolissima parte dei discendenti dei coloni afrikaneer o inglesi lasciarono il paese. Anche grazie al processo di pacificazione nazionale voluto da Mandela. Se domani si realizzasse un unico stato di Palestina, questo conterebbe circa 7 milioni e mezzo di ebrei e più o meno altrettanti arabi (sommando i 2 milioni già attualmente con cittadinanza israeliana, i 2 milioni della Striscia di Gaza e gli oltre 3 milioni della Cisgiordania). Sarebbe quindi un paese la cui popolazione sarebbe grosso modo divisa in due gruppi etnico-religiosi equivalenti, in cui quindi nessuna comunità avrebbe un vantaggio numerico tale da risultare determinante. E, oltretutto, la comunità ebraica sarebbe quella più ricca, ancora almeno per un lungo periodo.
Il punto, quindi, non è un eventuale diritto degli ebrei a rimanere in quella terra, ma la pretesa - avallata dall'intero occidente - di mantenervi uno stato ebraico, cioè caratterizzato dall'appartenenza religiosa e (presuntamente) etnica, che esclude le altre comunità. Cioè una colonia. La controprova si evince chiaramente dal fatto che, quando si ipotizza la soluzione dei due stati (anche a prescindere dalla irriducibile opposizione israeliana, e dalla estrema frammentazione del suo eventuale territorio), si ragiona come se ciò, miracolosamente, separasse il grano dal loglio: tutti gli ebrei da una parte, e tutti gli arabi da un'altra. Ma, appunto, quei due milioni di arabi israeliani cosa dovrebbero fare, abbandonare tutto e trasferirsi nel vicino stato palestinese? Perché, ça va sans dire, nessuno tra coloro che chiedono l'adozione di una soluzione a due stati (e che quello palestinese non sia governato da Hamas, a prescindere da quel che vuole il popolo palestinese…) chiede al contempo che nello stato di Israele si ponga fine al regime di apartheid. Quello no, quello non si mette in discussione.
Insomma, se si scrosta la vicenda da tutte le sovrastrutture stratificatesi in decenni di conflitto e di propagande, si mette semplicemente a nudo la verità, e cioè che ad essere minacciato non il diritto degli ebrei di vivere in Terra Santa, ma l'esistenza di una fortezza a presidio degli interessi coloniali occidentali. E quando si parla del "diritto a difendersi" di Israele, è esattamente a questo che si pensa. Proprio come quando le élite europee parlano dell'Ucraina come di un "istrice d'acciaio". Degli ebrei e degli ucraini non gli frega una ceppa, sono ascari a difesa di una marca di frontiera.