La "casa del bosco" e la nostra "civiltà"
di Antonio Catalano - 25/11/2025

Fonte: Antonio Catalano
Interviene addirittura il Consiglio supremo della magistratura per reclamare una pratica di tutela a favore dei magistrati che hanno disposto l’allontanamento dei minori dei coniugi Trevallion-Birmingham. I giudici – scrive il Csm – hanno agito nell’esercizio delle funzioni attribuite dalla legge alla giustizia minorile perseguendo «esclusivamente finalità di protezione dei bambini coinvolti».
Ma di quale protezione si parla? Visto che: la casa è sicura, come da certificazione; l’obbligo scolastico è stato assolto tramite (come previsto dalla stessa Costituzione) istruzione domiciliare; i servizi fondamentali (acqua, luce, riscaldamento) sono assicurati… qual è insomma la contestazione?
«L’ordinanza cautelare non è fondata sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione», dice il Csm. Bene. «Ma sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione, produttiva di gravi conseguenze psichiche ed educative a carico del minore». Non si tratta quindi della mancanza di agibilità della casa, dell’acqua, della luce eccetera. In questa dichiarazione è tutta la debolezza del provvedimento. Alla quale i genitori facilmente rispondono facendo presente che i propri tre figli vivono un’intensa vita relazionale con i coetanei dei vicini (non sono in un bosco!).
Il punto allora è: di quale relazionalità parlano i giudici? E qui il discorso si fa necessariamente culturale, sociologico, e non può non tener conto della relazionalità che vive la stragrande maggioranza dei minori. Una relazionalità vissuta non (più) nella “strada”, umana quindi, ma nel chiuso di un angusto appartamento urbano pieno di dispositivi elettronici che lo precipitano nel buio di un’angoscia mortale che provoca spesso comportamenti autistici o addirittura pulsioni suicidiarie. Ci sono dati che non riporto per non appesantire il già pesante post.
Sia chiaro, qui non m’interessa difendere per principio la “famiglia del bosco” (che poi, come spiega in un commento al mio ultimo post Maria Albanese, si tratta non di bosco ma di ex zona agricola, ex “gerbido”), ognuno fa e vive le sue scelte. Il punto è che le figure istituzionali (giudici, psicologi, assistenti sociali) che hanno violentato la famiglia in questione appartenendo al “mondo delle cose”, non potranno mai capire il “mondo della vita”. Non hanno cultura. E qui per cultura non intendo il pezzo di carta, ma l’essere dentro la vita reale. Il loro orizzonte è quello inscritto nella “narrazione” dei diritti così come confezionati nei laboratori distopici di una ideologia neo totalitaria, di quel capitalismo della sorveglianza descritto da Shoshana Zuboff, che decide quali sono i parametri dell’intervento educativo… fino alla all’abominio della “educazione all’affettività”.
I coniugi Trevallion-Birmingham hanno costituito una famiglia e hanno deciso di impostarla secondo precisi principi. Accettabili o meno, ma sono i loro. Non fanno del male a nessuno, a cominciare dai loro amati bambini. Una scelta che non è solo la loro ma riguarda pezzi di società – minoranze, d’accordo – che hanno deciso di vivere in modo “alternativo”.
Le società “avanzate”, sempre più estranee alla naturalità della vita, al di là degli strombazzamenti ideologici su green e sostenibilità, spesso producono una reazione “esodale”, l’allontanamento da una vita super urbanizzata che a tanti risulta insopportabile. Una reazione che si esprime anche con il cosiddetto ruralismo, un ritorno cioè alla vita contadina. Non sto qui a esaltarne le virtù, sicuramente si tratta di una scelta “romantica”, ma non spetta a me giudicare chi compie una scelta del genere. Provo comprensione, e anche rispetto, perché comunque si tratta di una scelta non facile.
Gli Usa e Canada sono all’avanguardia in questo fenomeno, anche con esperienze di “ruralismo” estremo. Mentre, nel caso della nostra “casa del bosco”, si tratta di una scelta “moderata”, che non impedisce ai genitori di utilizzare la tecnologia seppur all’interno di una produzione autarchica dell’energia. Ritornando al continente nordamericano, segnalo una serie televisiva (in Italia sul canale 52, DMax) in cui si narrano le vicende dell’intrepida e ingegnosa famiglia Raney che interviene (su richiesta) per migliorare le condizioni abitative di quei nuclei familiari che hanno deciso di vivere “off the grid” (essere del tutto autosufficienti). Come ci sono comunità religiose Amish, sparse negli Usa e in Canada, che vivono nel rifiuto della modernità, tanto per capirci circolano con carrozze e cavalli. Gli Amish sono diventati noti al grande pubblico grazie al bel film “Il testimone” del 1985 con Harrison Ford, interamente girato in una comunità Amish (da vedere).
In conclusione, l’impianto “accusatorio” dei giudici è inconsistente, si può spiegare solo con la volontà ideologica di imporre l'idolatria di uno stato che deve “insegnare” ai cittadini-sudditi come si vive, come si pensa e come intendere le relazioni affettive. Un incubo.
P.S. Il popolo ha una sua sensibilità, che spesso è irrisa da un certo mondo progressista, una sensibilità che nasce dal vivere in quel mondo della vita che insegna a comportarsi. Il 6 dicembre a Roma è prevista una manifestazione nazionale davanti al Ministero della Famiglia. Tant’è.

