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La distruzione dei sistemi fluviali

di Luciano Erba - 25/07/2018

La distruzione dei sistemi fluviali

Fonte: Luciano Erba

Nelle sue mirabolanti imprese (e in un legittimo processo di conoscenza) l'uomo non si è mai posto il problema delle conseguenze che le sue scelte od azioni potessero comportare all'altrui vigenza e nemmeno a se stesso. Men che meno nei confronti di una natura gratuitamente intesa come dispensatrice di risorse inestiguibili ed inossidabili. Il biblico: "dominerete su tutte le fiere e quant'altro" è interpretato non come una consegna fiduciaria, un mandato da adempiere con il senno del buon padre di famiglia o con la saggezza trascorsa di un antico re che governi con prudenza e lungimiranza il suo popolo ed il suo territorio, bensì come un'autorizzazione a delinquere, un invito specifico alla distruzione come se il Padreterno, nel suo impenetrabile percorso, abbia scelto la razza umana per estinguere od estremamente banalizzare (che è lo stesso) quanto così mirabilmente generato.

Per l'intento di questo breve appunto (ecologia delle acque di superficie) è utile rimarcare il trascorso di più di mezzo secolo di contaminazione ininterrotta e di geometrie coatte e contro natura,  per ridurre ogni fiume, ruscello, roggia o torrente dall'esplosione vitale della dimensione estatica ad un contenuto tossico-cloacale o astatico-canaliforme, se non peggio all'aridità, all'estinzione, alla distruzione fisica, al prosciugamento, annientando, con chimiche di ogni tipo, abusi e dismisure, una genesi irripetibile. Si sono prodotte leggi inutili, inapplicate od irrispettate, delle stesse - nel migliore dei casi - ne è stato fatto un uso strumentale volto più alla legalizzazione che alla rimozione del degrado. Errare umanum est…Si può anche comprendere ed assolvere, tollerando un danno limitato nel tempo, che un certo percorso, rivelatosi subitaneamente improponibile o inadeguato, venga interrotto ed uniformato ad un contenuto realmente sostenibile. Ma perseverare è ben altro discorso. L'insistenza ha raggiunto il parossismo di "elogiare" o comunque avallare la spesa aleatoria o degenerativa. Dunque più della metà dei corsi d'acqua nazionali risulta gravemente compromesso, inquinato o alterato. Un altro terzo classificato, con certa magnanimità, come "sufficiente", annovera acque di superficie comunque inquinate. In pratica tutta l'area antropica si presenta in versione ecologica antitetica alla sopravvivenza del ciclo vitale acquatico, al bios, quindi alla vita antonomastica (esigenza palesemente ben più ampia della qualità idro-potabile, pure fondamentalmente irrinunciabile e che fa parte, se ce lo siamo dimenticati, della stessa emanazione). Si salvano, per modo di dire,  i corsi montani o collinari al di sopra degli insediamenti, ma qui interviene il secondo disturbo, la captazione per uso idro-elettrico ed altro, già sfruttato all'esasperazione e ora decantato, in tutte le salse come energia pulita, rinnovabile etc…. In realtà i corsi d'acqua privati della componente intrinseca per lungo tratto (o distratti totalmente se la derivazione è perenne per usi civili ed industriali) e devastati da opere attinenti sono ridotti peggio delle acque inquinate. Una recente trasmissione televisiva di ottimo livello, al di sopra dei fatti, sicuramente non in malafede e  credo anche allineabile alle considerazioni della presente illustrava, elogiandone i meriti, grandi dighe, captazioni così come depuratori che rilasciano acque potabili o giù di lì. Il particolare è che il servizio mostrava, in involontario ossimoro imagistico, opere di alta ingegneria e, a latere, fiumi rigonfi d'acqua (botte piena e moglie ubriaca). In realtà a valle delle chiuse i cosiddetti "tratti sottesi", così tecnicamente identificati, sono di una devastazione e aridità intuibile, inoltre le operazioni di svaso dei bacini, per operazioni di sicurezza od ordinaria gestione, comportano un rilascio anomalo ed imponente di detriti e deflussi innaturali che finiscono per compromettere, sotto diversi aspetti, anche i recettori normalmente fluenti. Non parliamo poi delle piccole acque, ruscelli, rogge, torrenti, autentici minieden dispersi in valli o pianori che vengono letteralmente "richiesti di privatizzazione e distruzione" per l'energia di qualche lampadina. Questo scempio e furto legalizzato, che toglie l'acqua da un corretto e sostenibile "uso plurimo", viene avallato spesso per l'intrinseco (modesto in rapporto al danno e al teorico beneficio) di contributi comunitari (che alla fine noi stessi finanziamo, come finanziamo le multe per l'inadeguatezza dei valori qualitativi attesi). Un gioco di parole sui depuratori: più indispensabili che utili. La conurbazione, il consumo smisurato e futile dei suoli, ha comportato un parallelo abnorme incremento delle acque nere e una diminuzione drastica di quelle chiare (la quantità d'acqua circolante è sempre la stessa). Nella quasi totalità dei casi il "refluo depurato" non può nemmeno essere chiamato acqua, risultando alterata la componente organolettica (colore, odore, sapore) e quasi sempre quella fisico-chimica anche in presenza di rispetto dei limiti tabellari. Un refluo è ecologicamente conforme se non produce alterazione del corpo recettore, occorrono cioè riscontri reali (biotici) e non certo stime o parametri ancorché di avallo normativo. Inoltre il refluo stesso provenendo da input differenziati (civile industriale, urbano…), ancorché trattato, avrà un impatto difforme, anche nella stessa giornata, sul corpo idrico recettore. La risultante è un'incompatibilità sulla catena alimentare primaria, con inibizione del ciclo vitale fin dalla base perifitica. I cosiddetti solidi disciolti (quanto ancora residua dopo i trattamenti di depurazione) non sono limo fluviale od organico, ma  possono presentare consistenze chimiche ancora pericolose, ad esempio cromo-esavalente. Parliamo beninteso di depuratori funzionanti. Pensiamo agli incidenti di percorso (si tratta pur sempre di un processo "forzato" anche nella componente organica, batterica di depurazione). Poi ci sono gli impianti non ben funzionanti (i più numerosi) e quelli fantasma. La conclusione è che è scolastico, se non strumentale, pensare di utilizzare tutta l'acqua nell'errata convinzione che sia "artificialmente" depurabile. Una consistente quota della disponibilità dev'essere lasciata al ciclo naturale proprio a tutela di quella che si vorrebbe considerare depurata (depurabile).

La tematica è molto estesa, complessa e male affrontata. Osserviamo la componente idrologica in alcuni aspetti: morfo-dinamico, idraulico, paesaggistico, trofico-funzionale. Metodologie scientifiche di alta affidabilità misurano il metabolismo fluviale, la sua funzionalità che dipende da numerosi parametri non solo qualità dell'acqua, ma anche ambiente che la circonda e veicola cioè la struttura del fiume, il corridoio fluviale in senso olistico. Definizioni molto subdole, da cui temere danni certi, sono le opere chiamate: riprofilatura, ricalibratura, se non addirittura riqualificazione, riassetto idrologico e simili, cioè l'artificializzazione del fiume. L'approccio è perverso in quanto mira a trasmettere nell'opinione pubblica  il falso concetto che l'acqua ha un "erroneo" percorso caotico ed è un grande traguardo "raddrizzarne" artificialmente l'evoluzione. L'esatto contrario cioè della dinamica naturale dove la bio-diversità è generata, imprescindibilmente, dalla diversità ambientale. Un corretto esercizio della "riqualificazione fluviale" (se proprio necessaria) è quello di ricondurre il fiume al suo autogoverno (ogni metro di un corso d'acqua è diverso dal precedente e dal successivo) e di rispettarne le distanze esistenziali (fascia di mobilità funzionale). Parallelamente la contingente questione della sicurezza idraulica. Se l'esecutivo stanzia, ad esempio, un miliardo in tale contesto, riteniamo risponda concretamente ad un problematica seria. Se poi questi investimenti sono utilizzati per canalizzare e consolidare gli alvei fluviali, avremo semplicemente raggiunto l'esatto opposto di un intento di "sicurezza programmata": situazioni d'emergenza come argini cedevoli, o aree a rischio vanno indiscutibilmente, localmente, affrontate anche con metodi tradizionali, ma la pianificazione sostenibile deve partire da altri presupposti: restituire ai fiumi il loro spazio (quello attualmente riservato è irrisorio) e non solo per la sicurezza. Molte immagini impressionanti della forza distruttiva di torrenti ci portano davanti a corsi d'acqua canalizzati, con costruzioni in alveo di piena (se non di magra) dove i tempi di corrivazione sono profondamente ridotti (l'acqua corre più veloce).

"Le bombe d'acqua" esistite - pur meno frequentemente - anche in passato, dipendono -  come precipitazioni dicono gli esperti - da una variazione climatica in atto. Ciò che si dice molto meno è l'impermeabilizzazione diffusa dei suoli e la trasformazione di torrenti e scoli in scivoli tipo "acqua splash"; tipologie brutte a vedersi, onerose, distruttive del profilo esistenziale dei corsi d'acqua ed inesistenti in natura, dove ogni diversità risponde a regole funzionali imperfettibili, selezionate da un processo evolutivo geologico e da una logica deterministica. Spendere per declassare un fiume a livello di canale è illogico ed insostenibile, significa imporre alla natura un iter forzato che verrà in qualche modo scalzato magari con disastri che poi chiameremo "calamità naturali!". In sostanza proporre, ad esempio, il raddoppio delle difese spondali del Po non ci sembra molto innovativo (anche sui bancali della spesa) soprattutto considerando gli esiti di questa pratica che andrebbe rivista in modo ecologicamente più sostenibile, e più accreditabile nei risultati (magari restituendo un po' di dignità alla qualità dell'acqua ridotta ad una brodaglia inclassificabile). E poi alla fine anche se riducessimo tutti i corsi entro muraglie cinesi, avremo raggiunto il brillante risultato di un "eco-sistema morto". Mentre si esaltano le esondazioni, aumenta l'aridità, non solo quella climatica, ma quella della cattiva gestione. Le manipolazioni morfo-dinamiche in definitiva sono più gravi dell'inquinamento e vengono proposte come rimedio a tutti i mali! Per estrema sintesi esemplificativa, scavare con una ruspa l'alveo di un piccolo ruscello, che è un micro-cosmo di vita,  lo trasforma, spesso letalmente, in un fosso deossigenato e privato dell'efficienza di esondazione quindi progressivamente destinato alla perdita del suo ruolo e capacità vitale. L'impatto delle grandi opere di qualunque genere insistenti è facile immaginarlo. Osserviamo un fiume di qualunque ordine e grandezza, esso presenta una dimensione longitudinale, trasversale, perpendicolare e temporale ed è tutt'altro che un flusso qualunquistico che scende per inerzia dai monti al mare. Valutiamo la dimensione trasversale avrà 3 distinte situazioni: un alveo di magra (sempre bagnato dall'acqua), un alveo di morbida (in caso di portata consistente con evidente distensione dell'acquifero) e un alveo di piena e di massima piena con estensione trasversale molto vistosa (esemplificando per i piccoli corsi d'acqua anche fino a cento volte la copertura di magra). Finora si tende a considerare solo l'alveo di magra o poco più,  per cui urbanizzazioni, coltivi, tracciati viari, tipologie produttive, insistono in ambito di morbida e di piena,  isolate da consolidamenti impropri,  con le conseguenze note in caso di cedimenti spondali. L'assurdo consiste nel considerare anche qui "erroneo" il comportamento del fiume (cioè l'esondazione, che invece è un fattore esistenziale per l'auto-mantenimento di qualunque espressione lotica) per cui anziché allontanarsi dalle aree perifluviali si insiste in ottuse costrizioni. Il fenomeno opposto, di cui nessuno tiene conto, salvo quando i campi inaridiscono è che il corso d'acqua velocizzato e ristretto in ambiti impropri consegue uno svuotamento rapido senza o con minori riserve interstiziali. Quando arrivano le stagioni critiche (siccitose), la magra si può trasformare in secca, con conseguenze disastrose.

Nel contesto depauperativo è parallelamente necessario normare la captazione per l'esigenza idroelettrica, (assolutamente da vietare per i piccoli corsi d'acqua) come già ricordato, tutt'altro che sostenibile, e tutt'altro che prioritaria negli usi plurimi e di tutela conservativa della risorsa e del patrimonio dipendente. L'emungimento industriale, per sua parte, assorbe volumi critici, utilizzando enormi quantità d'acqua di falda di buona qualità  e restituendo nel migliore dei casi reflui esausti, quando non micro-tossici. Abnorme poi l'uso agricolo della portata fluviale. Ci riferiamo in particolare alle colture intensive di basso spessore (mais a coltivazione fito-tossica) che si presenta in volumi e dimensioni sproporzionate rispetto alle esigenze di utilizzo complessive. L'urbanizzazione invasiva ha poi effetto di cancellazione fisica dei micro-ecositemi acquatici.

In questo stravolgimento, il ciclo trofico (la vita del fiume: dal macro-benthos alla fauna ittica e riparia alle coperture arboree che, specie in fascia ecotonale, presentano un'eccellente biodiversità) subisce tutte le peggiori conseguenze: tossicità con scomparsa graduale della catena alimentare e della capacità auto-depurativa; perdita di zone di rifugio e riproduzione faunistica, estrema banalizzazione della nicchia ecologica. Devastante in questo contesto il dragaggio del corso d'acqua e la canalizzazione. Rimuovere gli inerti (naturali) dal fiume: massi, acciottolato specie di grossa granulometria, banalizza notevolmente la ritenzione trofica e aumenta la velocità di scorrimento. In definitiva, dove inevitabile, i consolidamenti vanno delocalizzati fuori dall'alveo di piena con enorme beneficio ecosistemico e per lo stesso stempero delle acque. Attualmente, come descritto, si procede in senso antitetico.

Un solo rigo per il profilo paesaggistico, che pure avrebbe un riscontro anche economico (turistico-ricreativo) non disprezzabile e direttamente propedeutico al corollario qualitativo. Non alludiamo certo alle "piste ciclabili" (benvenute, ma sempre esternamente alle aree sensibili), bensì al contenuto bio-estetico, processo sintetico di salvaguardia delle acque di superficie ( e, per indotto, di falda). Infine l'interconnessione del ciclo dell'acqua (tout se tient). La compromissione oceanica, parte da molto lontano, anche da un piccolo ruscello "intubato" nella tecnologia del progresso. Nessuna nota al disegno soprannaturale, all'acqua sorgente materiale e simbolica della vita, in quanto parlare di etica oggi è scandaloso.

 

Meglio dire dell'ignoranza, oggi molto più di moda, anche in questioni (ritenute) di gran lunga ben più importanti. Ignoriamo dunque, disconosciamo il ruolo e le dinamiche naturali, dimentichiamoci, se mai ci si abbia inavvertitamente pensato, soprattutto allontaniamo le nostre brame dai fiumi e dai torrenti, se non per rinfrescarci (a nostro insindacabile rischio) il corpo e la mente. Sarà l'unico modo, incontrovertibile, per garantire un futuro alle acque planetarie e all'incipiente sete (di verità) per chi ne ricerca la fonte.