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La disunità araba

di Enrico Tomaselli - 21/09/2025

La disunità araba

Fonte: Giubbe rosse

Che il mondo arabo - o meglio, che le leadership del mondo arabo… - fosse inguaribilmente diviso, lo sappiamo purtroppo da tempo. Gheddafi ci aveva provato in ogni modo, a perseguire l'unità araba, finché non aveva dovuto arrendersi all'evidenza. Del resto, l'eredità coloniale si vede anche in questo: paesi i cui confini sono stati disegnati in base alla logica spartitoria delle potenze europee conquistatrici, e classi dirigenti abituate a vivere sulle spalle delle proprie popolazioni, senza alcun rispetto per gli interessi nazionali. E con la caduta di Assad, pur con tutti i suoi difetti, è venuto meno l'ultimo leader che non fosse esclusivamente interessato alle proprie finanze.
Ciononostante, si sperava che l'attacco israeliano a Doha, servisse a suscitare uno scatto d'orgoglio, e di lungimiranza. Perché in fin dei conti quella mossa ha messo definitivamente in luce due cose: Israele non guarda in faccia nessuno, e poiché si sente ad un passaggio storico, è preda ad un tempo di una insensata euforia guerresca e di un disperato intorpidimento; e gli Stati Uniti non sanno né - forse - vogliono proteggere i loro alleati, facendo quindi venir meno quella garanzia di sicurezza che i leader arabi avevano creduto di trovare a Washington.
Ma nonostante queste evidenze, di cui tutti sono consapevoli, alla fine le differenze - e le diffidenze - hanno prevalso. La proposta egiziana di una alleanza difensiva tra tutti i paesi arabi è stata respinta, apparentemente perché Ryad e il Cairo volevano entrambe averne la guida. In realtà, come poi si è visto, perché l'Arabia Saudita aveva già fatto la sua scelta, stringendo un patto col Pakistan. Probabilmente, a parte le rivalità interarabe, nella scelta saudita hanno pesato due considerazioni di ordine strategico. Innanzi tutto, avere un ombrello nucleare è preferibile, perché è una garanzia di ultima istanza, che però lascia le mani libere nell'ordinario; mentre una alleanza militare diventerebbe troppo vincolante, togliendo libertà d'azione alla spregiudicata diplomazia di MbS.
Il risultato è che comunque i paesi del golfo finiranno per accodarsi all'Arabia, e l'Egitto si troverà solo. E questa solitudine si andrà ad aggiungere alla debolezze geopolitiche egiziane, oscillante com'è tra una dipendenza dagli Stati Uniti ed il tentativo di avere un ruolo di potenza regionale - più africana che mediorientale, peraltro.
La posizione di al-Sisi si fa quindi assai complicata, ed il rischio è che a Tel Aviv possano pensare che è il momento buono per dare una spallata, che tra l'altro potrebbe riflettersi anche sugli interessi africani di Israele.
Se ciò dovesse comunque accadere, i bottegai sauditi si troveranno a loro volta più deboli, perché l'ombrello nucleare pakistano è un deterrente difensivo rispetto ad una eventuale minaccia di eguale natura da parte israeliana, ma non serve a gran che rispetto ad un conflitto convenzionale. E oggi, gli unici paesi arabi che abbiano un minimo di capacità di questo genere sono l'Egitto e, in minor misura, l'Iraq. Ma sinché le monarchie del golfo continuano a ragionare coi petrodollari, difficile che si sveglino.