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La fabbrica dell’odio funziona a pieno regime

di Marcello Veneziani - 14/09/2025

La fabbrica dell’odio funziona a pieno regime

Fonte: Marcello Veneziani

È stato disgustoso leggere nei giorni scorsi i commenti dei giornali militanti e dei giornaloni borghesi di sinistra all’assassinio di Charlie Kirk. Il succo non tanto sottinteso era: se l’è cercata, se l’è meritata, un fanatico ha ucciso un altro fanatico, una specie di regolamento di conti. E poi la causa di tutto è Trump e il clima da lui creato. Commenti incivili, feroci, di cui vergognarsi. Non un filo di umana pietà per un giovane, padre di due figli, che lascia una ragazza vedova, ucciso per le sue opinioni e per le sue scelte politiche, anche inaccettabili o semplicemente non condivisibili. Un omicidio che si inscrive in una lunga fila di attentati, atti violenti, uccisioni, non solo in America. La fabbrica dell’odio funziona a pieno regime. A questo punto temo la reazione dei trumpiani e la spirale che si può innescare.
Non farò la rassegna di queste miserabili citazioni e i nomi dei loro autori e delle testate. Cercherò invece, di malavoglia, perché mi annoia e mi deprime dire certe cose, di analizzare le giustificazioni “ideologiche” sottostanti a opinioni criminogene come queste. La prima, la più appariscente, dura ormai da più di mezzo secolo: uccidere un fascista non è reato. Un tempo era uno slogan degli estremisti negli anni di piombo, era scritto sui muri con la vernice rossa, e gli autori erano pronti a uccidere chi a loro insindacabile giudizio era ritenuto un “fascista”. Oggi lo ripetono in modo soft, velato, ipocrita, giornali e opinionisti borghesi, che magari si considerano non violenti, umanitari e pacifisti, in un’epoca non più di guerra civile tra estremisti. Quel che colpisce è l’estensione infinita della definizione di fascista, a ottant’anni dalla sua fine, anche a chi non c’entra affatto. Estensione che deriva da teoremi e autori che non appartengono al filone dell’estremismo. Quando Umberto Eco definiva il fascismo “eterno”, legittimava quanti potevano estendere il marchio di fascista anche a persone, epoche e movimenti che col fascismo storico non c’entravano affatto, come Kirk e tanti altri. Altri tempi, altri modi, altre idee. O quando il fascismo viene definito “male assoluto” dal presidente Mattarella, e ogni guerra o violenza di oggi viene da lui ricondotta al fascismo eterno e assoluto e al nazionalismo, poi è possibile dedurre: a male estremo e supremo, rimedi estremi.
La seconda chiave ideologica di questo assassinio è ritenere che un’opinione diversa dalla propria sia un reato e un crimine più grave di un atto violento e omicida. Il dire prevale sul fare, una parola diventa peggio di un colpo di fucile contro una persona, per giunta disarmata. Ma Kirk era favorevole al diritto di avere le armi in casa, dunque, ancora una volta se l’è cercata. Ma lui, a torto o a ragione, pensava che servissero a difendersi dai criminali, non ad armarli e ad uccidere chi non la pensava come lui.
Secondo questo codice ideologico in uso a sinistra chi uccide può trovare giustificazioni e motivazioni sociali e psicologiche, chi esprime un’opinione diversa sui temi “sensibili” di oggi invece è imperdonabile ed è considerato fuori dal consesso umano.
Peraltro sarebbe facile ribaltare la prospettiva e dire che un anti-abortista come Kirk che si batteva per difendere la vita del nascituro non può essere definito un criminale, mentre chi invoca la soppressione del nascituro indesiderato dalla madre può essere definito criminale; e non lo ha detto Kirk o Trump, ma Papa Francesco, addirittura. A rigore è apologia di un delitto invocare la soppressione di una vita che difenderla.
Ma c’è ancora un altro aspetto. Nel nome dell’ideologia, ci sono violenze progressive e violenze regressive, come diceva Gramsci; ovvero ci sono violenze giustificabili e altre ingiustificabili, a seconda se siano commesse da chi condivide le idee progressiste e chi invece professa idee conservatrici, nazionaliste o comunque non progressiste. Perciò il giudizio penale e sociale va subordinato alla parte da cui sta chi compie la violenza e chi la patisce.
E ancora: se George Floyd compie atti criminali è una vittima della società, del classismo, del razzismo, dunque è giustificato. E si mobilita il mondo davanti alla sua uccisione da parte della polizia; è nato persino un movimento, Black lives matters, in suo nome.
Se dunque “il vissuto” diventa una giustificazione per le violenze e i comportamenti aggressivi di costoro, e la stessa giustificazione vale per gli immigrati indotti alla violenza dall’emarginazione e dalla discriminazione, perché non deve contare anche il “vissuto” di una persona che ha subito o ha conosciuto aggressioni e violenze perpetrate da questi delinquenti? Perché la sua esperienza di vita non può valere come spiegazione e giustificazione delle sue posizioni radicali?
La stessa ferocia disumana nel giudicare un assassinio riguardò, per cambiare contesto e paese, l’uccisione della giovane figlia del filosofo radicale russo, Aleksandr Dugin, Daria Dugina; aveva il torto di essere la figlia di Dugin e di condividere le idee di suo padre. Ben le sta, fu il sottinteso dei commenti sbrigativi alla sua uccisione.
L’ereditarietà della colpa è un altro dogma ideologico che vige sotto quella cupola ideologica; ci dicono ogni giorno che non siamo eredi di niente e di nessuno, non siamo eredi di una civiltà, ma siamo solo figli di noi stessi e del nostro tempo; ma per i nemici vale invece l’ereditarietà famigliare come marchio d’infamia e correità. E non solo: la trasmissibilità della colpa segue anche criteri etnico-nazionali: si possono cacciare e discriminare cittadini che hanno il torto di essere, per esempio, russi o israeliani. La prova contro di loro è che non rinnegano la loro patria, come è naturale; ma non per questo sono complici di quel che fanno i governi dei loro paesi. Se Netanyau ordina di sterminare e distruggere un popolo e una città non per questo un singolo israeliano può essere ritenuto colpevole di questo e perciò da escludere e vituperare. Anche l’eredità segue perversi itinerari ideologici.
Si potrebbe continuare con altri omicidi politici sparsi nel mondo, anche in Europa, contro leader ed esponenti del mondo nazional-conservatore, persino sequenze di morti misteriose, oltre che persecuzioni penali e carcere per reati ideologici. Per arrivare, tornando negli States, all’attentato a Donald Trump. Ma la “narrazione” ufficiale è che le vittime di questi agguati sarebbero i violenti, i guerrafondai, i criminali, non i loro sicari; sono loro i mandanti dei crimini che essi stessi subiscono…
Non bastano dunque gli estremisti e i killer a emettere ed eseguire condanne per i nemici ideologici, che perlomeno rischiano di pagare per il loro gesto omicida; c’è pure un’area borghese, non violenta, pacifista, anche da noi, che sotto coperta, è pronta a giustificare per le ragioni suddette l’eliminazione fisica degli avversari, e non si fermano neanche davanti al corpo ancora caldo di chi è stato abbattuto. Senza umana pietà e senza un minimo senso della verità, della storia, della realtà. Dove non arrivano i giudici partigiani, arrivano le pallottole.
Arrivo a una conclusione. Chi mi legge sa che non faccio sconti alla destra, ai “nazional-conservatori”, e ai loro governi, esercito la critica fino in fondo anche verso il governo Meloni, detesto pure l’uso del vittimismo e dei morti ai fini politici ed elettorali. E dissento fortemente da come sta comportandosi Trump nello scacchiere mondiale. Poi sento alcuni spari, mi volto allora dalla parte da cui provengono, sento che il sibilo dei proiettili omicidi canta “bella ciao”, è rivolto contro i “fascisti” presunti e sento i cori che ne seguono: trasudano odio contro la vittima più che contro l’assassino. E allora mi dico: quelli saranno maldestri, ma questi, i rivali di sinistra, sono umanamente peggiori.