Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La guerra più infame è contro il passato

La guerra più infame è contro il passato

di Marcello Veneziani - 13/09/2025

La guerra più infame è contro il passato

Fonte: Marcello Veneziani

La guerra contro il passato è la più vile delle aggressioni, perché è contro un morto che non può più difendersi. “Vile, tu uccidi un uomo morto”, avrebbe detto Ferrucci a Maramaldo; la guerra contro il passato si macchia prima di ogni altra cosa di questa infamia, infierire contro chi non ha la possibilità di rispondere. E vile e infame resta quando i parrucconi delle nostre Istituzioni incolpano il passato dei mali del presente e con falso coraggio s’incarogniscono contro i defunti che non possono reagire. La guerra contro il passato comincia dalla rituale, ossessiva condanna del “nazifascismo”, ma poi si estende nel nuovo canone occidentale a tutta la storia fatta e scritta da bianchi, maschi, etero, cristiani, condannata alla luce del razzismo, del classismo, del sessismo e del colonialismo. Quella guerra al passato coinvolge e travolge anche la scuola e il lessico.
Alla Guerra contro il passato (uscito da Fazi poche settimane fa) ha dedicato un ampio e ben costruito saggio Frank Furedi, sociologo di origine ungherese ma ormai britannico d’elezione e di accademia. Il suo, pur con qualche distinguo e qualche prudente concessione finale allo spirito del nostro tempo, è un libro conservatore, perché a suo dire è la storia stessa ad essere conservatrice. Ma per esorcizzare questa ascendenza conservatrice viene riportata in quarta di copertina una citazione di Luciano Canfora per il quale “il presidente Mao ebbe a scrivere più volte che la storia non si fa a pezzi, va conosciuta tutta”. In realtà Mao proclamò di voler ridurre la Cina a “una pagina bianca” cancellando la sua storia millenaria; e nel pensiero come nell’azione, sradicò tradizioni, popoli e culture nel nome del “grande balzo in avanti” e della rivoluzione culturale. Il Tibet ne fu il più vistoso esempio. Ovunque il comunismo ingaggio una guerra contro il passato. D’altra parte anche Marx voleva sacrificare il passato all’avvenire, considerando la tradizione come un peso e un incubo di cui liberarsi, come scrisse nel 18 Brumaio.
Furedi aveva già evidenziato il suo spirito controcorrente attaccando in un suo pamphlet il conformismo dei nuovi filistei intellettuali, poi difendendo in un altro suo saggio i confini, non solo geografici, necessari agli uomini e alle società, infine criticando in un altro suo studio gli eccessi della psicologia, che campa sulle fragilità altrui, aumentandone la dipendenza mentale e terapeutica, e dunque la vulnerabilità dei pazienti.
La guerra contro il passato è innanzitutto la guerra contro le origini, i padri, le famiglie di provenienza, i maestri, le tradizioni, le grandi opere e i grandi esempi che provengono dal passato. In secondo luogo la guerra contro il passato è inevitabilmente la guerra contro la storia tout court, la sua memoria e la ricostruzione degli eventi accaduti; il passato che i popoli hanno alle spalle coincide infatti con la storia, se abbatti l’uno, cancelli l’altra. Quindi è una guerra contro la cultura, ogni cultura, perché inevitabilmente il sapere è un’eredità che proviene dal passato, dagli autori, dagli insegnamenti accumulati nel tempo, i capolavori, le esperienze di ieri ripensate oggi. Infine è guerra contro ogni legame comunitario, a partire dal patriottismo. Togliendo ai popoli e alle persone il passato si tolgono anche le basi per sentirsi una comunità, attraverso la rete di relazioni, legami, comuni provenienze e memorie condivise e anche divise. La guerra contro il passato diventa poi una guerra contro le parole che provengono dal passato, contro il lessico incompatibile con i nuovi canoni contemporanei, i nuovi totem e tabù. Il risultato è evidente: la guerra contro il passato è la guerra della barbarie contro la civiltà.
Furedi compone una ricca statistica della follia, in larga parte anglo-americana, di cancellare e vilipendere il passato, vergognandosi della nostra civiltà, per il male che avrebbe disseminato nel mondo. Descrive anche molte ricadute nella vita corrente, molte applicazioni assurde di questa chiusura mentale. Censure, intolleranze, divieti, rimozioni e un timbro ricorrente “outdated”, ovvero datato, cioè scaduto, obsoleto, stantio. Fino alla follia di considerare Aristotele il padre del colonialismo e dello schiavismo occidentale. Paradossalmente, questa società senza eredi, crede invece all’ereditarietà della colpa: l’unico modo per liberarsi da questo peccato originale è denunciarlo, prendere le distanze e provare vergogna per gli antenati. Altro paradosso, giustamente evidenziato da Andrea Zhok nella bella prefazione al libro, è condannare l’imperialismo colonialista ma adottando la sua ideologia: cancellare le forme arretrate, tradizionali nel nome del modello globale presente, ovvero condannare il passato come arcaico preferendogli il moderno e l’odierno.
L’esito di tutto questo processo al passato non è la glorificazione del futuro, che scompare insieme al passato, ma è il presentismo, l’elevazione del presente a paradigma assoluto, un male che abbiamo più volte denunciato. Furedi riprende con alcune pertinenti citazioni, a partire da George Orwell in 1984: “La storia si è fermata. Non esiste nulla se non un presente in cui il Partito ha sempre ragione”. Il Partito valeva per i regimi totalitari, oggi vige il mainstream che pervade l’Occidente. Il risultato è la damnatio memoriae, di antica provenienza ma più attiva che mai ora, rivolta anche contro i viventi non allineati.
Furedi non esplicita invece un altro aspetto che abbiamo più volte sottolineato di questa guerra al passato: il vittimismo, ovvero la considerazione che la storia va fatta dal punto di vista delle vittime. Non gli eroi o i condottieri vanno ricordati, ma le vittime, nel nome di un moralismo risarcitorio che produce solo anatemi contro la storia.
Non mancano nel testo alcune imprecisioni: quando attribuisce la celebre frase “siamo nani sulle spalle dei giganti” a Isaac Newton ma l’autore è Bernardo di Chartres, o quando ritiene che la genesi della parola moderno o femmina siano nel tardo medioevo o nel ‘500 mentre sono parole notoriamente latine, in uso già nell’antica Roma. Quando Furedi denuncia la riduzione della storia a storia contemporanea non cita l’autore di quell’affermazione, Benedetto Croce: “Ogni storia è storia contemporanea”. Ma Croce sarebbe inorridito davanti alla distorsione del suo pensiero, ridotto a dichiarazione di guerra contro il passato. O avrebbe meglio calibrato il senso di quelle parole per non farsi travisare e confondere col presente abuso.
Anche il Novecento si aprì con la baldanzosa speranza di un mondo nuovo contro il mondo vecchio, i giovani contro il vecchiume. Ma c’era una tensione ideale, creativa e morale rivolta al futuro, c’era l’attesa di un mondo migliore, c’era la lotta contro il passatismo, non la rimozione del passato, si voleva scrivere la storia futura, non cancellare quella passata, ripiegando sul presente. Quell’energia generativa sognava la rivoluzione; ogni questo rancore erosivo produce dissoluzione.