La lotta all'odio serve agli odiatori che sono in cerca di una scusa
di Andrea Ansaloni - 12/09/2025
Fonte: Andrea Ansaloni
La cosa che colpisce di più dell’omicidio di Charlie Kirk non è che in America ci possa essere uno schizzato che ritiene normale sparare a un padre di famiglia (presumibilmente) perché non la pensa come lui.
Quella che colpisce è la reazione dei “buoni” (anche di casa nostra): mostrificazione della vittima, ironia, giustificazioni, quando non esultanza.
Un odio limpido, cristallino, ma ormai talmente connaturato alla visione del mondo “di sinistra” da non essere più nemmeno percepito come tale.
Inconsapevole, normale, quotidiano.
Se Kirk fosse stato davvero come lo dipingono (estremista, intollerante, violento), forse sarebbe ancora vivo.
Quello che questa gente odia maggiormente è essere smascherata nella propria ipocrisia di antirazzisti che odiano il diverso, di democratici che pretendono si chiuda la bocca a chi non la pensa come loro, di razionalisti pieni di totem e tabù, di intellettuali non interessati all’altro da sé, di femministi che disprezzano le donne non allineate e (spesso) palpeggiano la stagista.
E quello che faceva più paura di Charlie Kirk era che portava questo smascheramento nei loro templi: le assemblee di studenti nelle università americane devastate dalla superstizione Woke.
Io non so se Charlie Kirk era un santo oppure no. So che era un giovane padre di famiglia che sosteneva le sue idee (che si possono condividere o meno) con la sola arma della dialettica, come si fa in Democrazia.
Chi gioisce, giustifica o ironizza sull'assassinio di un avversario politico, dimostra di non sapere nemmeno di cosa si tratta.
Per quanto ancora intendiamo permettere che il dibattito pubblico resti ostaggio di gente che la pensa così?