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La “maledizione” del PIL e il greenwashing degli pseudo ecologisti

di Fabrizio Cortesi - 24/11/2021

La “maledizione” del PIL e il greenwashing degli pseudo ecologisti

Fonte: Sostenibilità equità solidarietà

Credevo e speravo che fosse ormai chiaro a tutti che crescita e ben-essere non sono identificabili, che la crescita del PIL di una nazione non è sovrapponibile con prosperità, salute, serenità del suo popolo.

Invece no: non sono bastati i fatti, i dati scientifici e le catastrofi, che hanno dimostrato ormai nei decenni e in ogni modo che lo studio del Club di Roma, dal quale già del 1972 si evincevano precisamente quali fossero “i limiti dello sviluppo”, era perfettamente corretto, ma non sono bastati nemmeno gli ammonimenti di un fresco premio Nobel come Giorgio Parisi in Parlamento, a togliere il brutto vizio dei nostri “condottieri politici”, di vedere tutto solo in chiave di crescita economica e di PIL.

Il nostro ammiratissimo Parisi non aveva fatto nemmeno in tempo a finire l’ultima frase in Parlamento sul PIL, che già il ministro Brunetta, quasi per istinto ribelle neoliberista, richiamava all’ordine gli statali dal regime di smart working in ufficio, perché la loro presenza, consumazioni ai bar, pendolarismi, parole sue, potranno contribuire ad alzare il PIL di almeno mezzo punto. Di lì a pochi giorni, Mario Draghi avrebbe promesso al paese una mirabolante crescita per il 2021 del 5 o 6% sull’anno precedente (dato strano visto che la stessa Cina prevede la sua crescita inferiore a quei numeri!).

Cosa ci potremmo aspettare, del resto, da un governo tecnocratico, al cui capo è stato messo dall’Europa, per l’ennesima volta senza elezioni democratiche nazionali, il signor Mario Draghi, un super tecnico di finanza internazionale, re assoluto delle tecniche finanziarie e contabili delle banche centrali per spingere PIL, contabilità e crescite degli stati, e cosa da un governo che, non casualmente, per mettere a punto i suoi piani strategici come il PNRR, si avvale solo delle raccomandazioni di ex amministratori delegati di aziende multinazionali di telecomunicazioni (che incidentalmente e impudicamente han messo il 5G tra le priorità di sviluppo, cercando di abbattere tutte le possibili barriere ostative per la sua implementazione), economisti, imprenditori, esperti di finanza internazionale?

Ossia, quando la catastrofe climatica è dimostrato essere stata causata proprio dalla cultura della crescita e dello sviluppo sfrenati, cosa ci si può aspettare quando a concepire il piano di ripresa PNRR è una task-force composta proprio da coloro che per eccellenza sono gli inventori-esecutori delle stesse strategie di crescita e sviluppo? Non potrai certo andare a chiedere a costoro di fermare la crescita, o addirittura parlare di decrescita: ecco perché G20 e COP26 falliscono.

E poi viene lo “Sviluppo Sostenibile”, parola all’ordine del giorno anche agli ultimi vertici ONU, popolati più da lobbisti e affaristi/greenwashers del settore fossile e nucleare che da funzionari di Stato.

Premesso che già vari studiosi e agenzie europee (ad esempio l’EEB, la EEA) hanno praticamente dimostrato che è impossibile disgiungere in modo assoluto la crescita (o sviluppo) dall’impatto ambientale, nessuna innovazione o efficientamento tecnologico sarà mai in grado di rendere ecologicamente sostenibile la crescita della produzione di merci o di servizi:, ossia la green economy non è sufficiente al perseguimento della vera sostenibilità, al più allontana di poco il punto di collasso della biosfera e delle società.

La terminologia ammaliante “sviluppo sostenibile” fu inventata nel 1987 dalla  “Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo” dell’ONU e definita come «Uno sviluppo che soddisfi i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

Di fatto questa locuzione-slogan, purtroppo tuttora sulla bocca di troppi sedicenti ecologisti, fu utilizzata come cavallo di Troia del consumismo, per giustificare il proseguimento indisturbato dell’economia finalizzata alla crescita della produzione di merci e servizi.

In questo slogan, che va davvero analizzato bene per capirne l’inganno e gli intenti, il concetto prevalente, il sostantivo, è SVILUPPO, mentre l’aggettivo è SOSTENIBILE, che va semplicemente a connotare il sostantivo principale, ossia lo sviluppo economico, affinché esso possa soddisfare non solo i bisogni delle generazioni umane attuali, ma anche di quelle future. Il focus insomma, non è l’equilibro con la biosfera, con le altre specie, che non vengono nemmeno nominate, ma le esigenze della specie umana di continuare a sviluppare i propri interessi, anche nelle generazioni future: ecco perché deve essere sostenibile, a parole. Non risponde a sensibilità ecologica, ma a interesse antropocentrico, alle sole esigenze della nostra specie.

Lo “Sviluppo sostenibile”, insomma, non mira necessariamente a tutelare l’ambiente, ma la prosecuzione dello sviluppo. Peccato che uno sviluppo o crescita infinita, non è per definizione sostenibile, né nell’equilibrio con le risorse e la natura, né in durata, proprio per la finitezza delle risorse e del mondo stesso.

La riduzione dell’impatto ambientale, se incidentalmente si persegue qui, non viene considerata come un valore in sé, ma in modo strumentale, come la condizione necessaria per consentire la continuità del nostro sviluppo. L’aggettivo Sostenibile, in altri termini, è intercambiabile con durevole, il che abbiamo dimostrato facilmente sopra essere impossibile in un mondo finito, se riferito alla crescita.

Anche se lo sviluppo fosse oggi in equilibrio con la biosfera, continuando a crescere arriverebbe comunque a un punto di rottura in cui non lo sarebbe più. È pura aritmetica, addizione e sottrazione, non servono né moltiplicazione e divisione, né tanto meno un premio Nobel a dimostrarlo.

Ebbene, oggi l’overshoot day arriva a Luglio / Agosto, ossia ci stiamo consumando due pianeti, vedete voi come si possa ancora sperare di crescere senza impattare.

Fanno sorridere gli pseudo ambientalisti quando ripetono macchinalmente, come un mantra, che la salvezza è la green economy, perché è il mezzo per raggiungere lo sviluppo sostenibile.

Sviluppo e crescita sono usati in modo intercambiabile, uno con connotazione più qualitativa, l’altro quantitativa, ma tutte le volte che i suoi paladini si esibiscono con l’accostamento di questi sostantivi con aggettivi come (crescita) green, sostenibile, qualitativa,  si noti che il sostantivo è sempre lo stesso e gli aggettivi sono utilizzati per attenuare verbalmente il significato di un concetto che implica un aumento del consumo di risorse e delle emissioni di sostanze di scarto, cioè proprio dei fattori della crisi ambientale che si pretende di esorcizzare con quegli aggettivi.

Passiamo poi alla più recente locuzione “economia circolare”, usata quasi a voler trasmettere la rassicurante ma velleitaria illusione del moto perpetuo produttivo a ridotto o nullo impatto ambientale, grazie al riutilizzo dei materiali  contenuti negli oggetti dismessi per continuare a produrre quantità sempre maggiori di oggetti, come se tutti i materiali fossero riciclabili all’infinito,  l’aumento annuale della produzione non comportasse un fabbisogno di materia superiore alla quantità di materia utilizzata per produrre gli oggetti dismessi negli anni precedenti (anche se l’efficienza fosse del 100%, cosa molto lontana dalla realtà) e il riciclo non richiedesse un consumo energetico importante. Neanche questa, ahimè, è la chiave della sostenibilità, semmai un altro palliativo.

Concludendo: è davvero tardi ormai per salvare il salvabile sull’unico pianeta che abbiamo, ma se vogliamo avere qualche chance, sarebbe tempo di finirla con la farsa delle illusioni e dei giochi di parole rassicuranti per prendere tempo e continuare tutto come prima; occorrerebbe piuttosto subito una nuova classe politica, che incidesse sul cambiamentodi cultura, della società e dell’economia di ogni nazione, spostando drasticamente l’obiettivo dell’economia dalla crescita della produzione di merci e servizi, e quindi dei consumi, al solo riequilibrio della nostra specie con gli altri esseri viventi e con tutti i cicli biochimici della biosfera: solo a quel punto sarebbe più chiaro a tutti che l’unica crescita accettabile e perseguibile è quella che misura la serenità, l’armonia, il ben-essere, l’equità diffusa, la sostenibilità. Il saggista-filosofo Maurizio Pallante, da cui ho preso in prestito e sviluppato alcuni di questi concetti, chiama questa vera transizione la “conversione economica dell’ecologia”.