La miopia di Israele
di Silvio Dalla Torre - 22/05/2025
Fonte: Silvio Dalla Torre
Chiunque osservi senza pregiudizio quanto avviene in Medio Oriente non può non prendere atto che il vero obiettivo dello stato di Israele è scacciare da Gaza i tre milioni di abitanti che popolano questo territorio. L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 - anche ammesso, diversamente da quanto io credo, che le cose siano andate come ci viene raccontato – è stato solo l’occasione per porre in essere un progetto già da tempo pianificato. Il passo successivo sarà quello di provocare l’esodo dalla Cisgiordania, estendendo il pieno controllo dello stato ebraico dal fiume al mare. I sette milioni di palestinesi che abitano da sempre quelle terre (malgrado le incredibili vessazioni subite, si tratta ancora di metà della popolazione della Palestina storica) vengono visti come un intralcio per la realizzazione del grande Israele promesso dalle scritture. Se al posto di Hamas Gaza fosse governata dalla pacifica confraternita di San Francesco, le cose cambierebbero poco.
Ci sono, certamente, delle persone di buon senso che, all’interno dello stato di Israele, si oppongo alla deriva genocidiaria in corso. Si tratta, purtroppo, di minoranze. Non si spiegherebbe , altrimenti, perché Nethaniau sia da venti anni l’uomo forte del paese , nonché il vincitore di quasi tutte le elezioni che si sono tenute in questo periodo. Quel che è peggio, anche gli ebrei della diaspora sono stati conquistati da questa deriva bellicista. Alle poche voci che si sono levate per condannare e fermare lo scempio, si contrappone un attivo sostegno di gran parte delle comunità ebraiche del mondo.
Anche gli Stati Uniti appoggiano incondizionatamente Israele, per quanto le elite politiche del paese (sotto questo aspetto non vedo molte differenze tra Biden e Trump) preferirebbero dei metodi meno brutali , rendendosi conto che le violenze di Gaza danno un grave colpo, presso l’opinione pubblica di tre quarti del mondo, alla credibilità dell’intero Occidente. Purtroppo, il peso della lobby ebraica, che finanzia le campagne elettorali di tutti i partiti americani e controlla gran parte del sistema informativo, fa sì che Israele, pur essendo economicamente e militarmente del tutto dipendente dagli Stati Uniti, sia però politicamente autonomo. In pratica, Nethaniau può fare quello che vuole. Gli unici ostacoli sulla sua strada sono la tenacia dei palestinesi e lo scandalo che i suoi comportamenti suscitano in chi conserva un briciolo di umanità e non è obnubilato da un messianesimo biblico delirante.
E’ difficile dire come andrà a finire. Sul breve periodo Nethaniau ne esce indubbiamente trionfatore. Sui tempi lunghi le cose potrebbero però essere diverse. Il capitale morale che lo stato ebraico ha acquisito con la shoah e grazie al quale ha potuto agire, in questi anni, al di fuori di tutte le regole del diritto internazionale, sarà in futuro sempre meno spendibile. L’accusa di antisemitismo per chi critica le azioni dello stato di Israele appare a un numero di persone sempre crescente del tutto strumentale. Incomincia a diffondersi , anche in Occidente, la consapevolezza che i crimini subiti dai bisnonni non autorizzano i pronipoti a compierne di altrettanto gravi.
Non è escluso che, sul lungo periodo, la vittoria di oggi si trasformi in una sconfitta.