Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La nuova Nakba, come strategia permanente

La nuova Nakba, come strategia permanente

di Lavinia Marchetti - 16/09/2025

La nuova Nakba, come strategia permanente

Fonte: Lavinia Marchetti

Case bruciate, chiodi sulla strada, bambini che non dormono ( o muoiono).
Gaza e la Cisgiordania, laboratorio del terrore.

Il villaggio di Jaba’, a sud-est di Ramallah, è diventato un bersaglio da manuale di guerra sporca. Arson, imboscate, chiodi disseminati sulle strade, case incendiate sotto gli occhi dei bambini. Da febbraio i coloni hanno eretto un avamposto illegale sulle colline e da lì scendono mascherati, con bottiglie incendiarie e pietre. L’esercito lo ha demolito sei volte, ma sei volte è stato ricostruito. Perché Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e colono egli stesso, decide quali avamposti devono sparire e quali devono restare. Nel frattempo, la popolazione di Jaba’ passa le notti a turni di guardia sui tetti, armata solo di torce e secchi d’acqua.
Un padre racconta: “Dormo un’ora o due, poi salgo sul tetto. Se non li vedo arrivare, possiamo morire.”
Questa è la Cisgiordania nel 2025: un fuoco lento che consuma i villaggi palestinesi tra l’impunità e la complicità. La polizia non protegge, arresta i denuncianti. I bambini non sognano più, vegliano. Le case sono ridotte a trappole.
E Gaza? Qui il laboratorio raggiunge la sua fase più avanzata. Il capo di stato maggiore Eyal Zamir denuncia che Netanyahu non condivide i piani dell’offensiva con i suoi stessi generali. Eppure ordina l’evacuazione totale di Gaza City, 1,2 milioni di abitanti, senza condizioni minime per accogliere chi fugge.
Trecentomila persone già spinte a sud, sotto le bombe che abbattono palazzi di venti piani come scatole di cartone. L’avvocata generale militare aveva dichiarato illegale quell’ordine, ma la macchina si muove lo stesso.
Intanto, mentre le case bruciano e la città viene svuotata, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir promette di costruire un “quartiere residenziale per poliziotti” sulle spiagge di Gaza.
Un “posto perfetto” per il suo sogno coloniale. Chiede applausi e li ottiene, propone la pena di morte come legge, invoca “l’emigrazione volontaria” dei palestinesi. È la retorica dello sterminio tradotta in linguaggio burocratico, con il sorrisone da cerimonia ufficiale.
Gli Stati Uniti, attraverso il segretario di Stato Marco Rubio, discutono di legittimità internazionale, di Doha, di equilibri strategici. Gaza è trattata come un tavolo da poker in cui l’unica posta sono vite umane. La macchina umanitaria, con dodici centri di distribuzione, viene liquidata dallo stesso Zamir come un fallimento. “Perché spendere soldi per qualcosa che non funziona?” ha dichiarato.
Eppure funziona il fuoco. Funziona lo sfollamento. Funziona il panico. Funziona l’idea che la sopravvivenza palestinese debba essere provvisoria, transitoria, sempre in fuga.
È la nuova Nakba, come strategia permanente.
Coloni che incendiano case di lamiera a Jaba’. Ministri che progettano quartieri balneari per la polizia israeliana a Gaza. Generali che ammettono l’impossibilità di sconfiggere Hamas ma avanzano lo stesso, demolendo torri e strade, convinti che la rovina dell’altro sia l’unica garanzia di sopravvivenza.
Il filo che lega questi scenari è la trasformazione della violenza in norma. Da una parte il rogo notturno, dall’altra la pianificazione di un’occupazione totale. È un continuum: dal villaggio bruciato alla città svuotata, dalla pietra lanciata al missile guidato.
E intanto l’Europa tace, gli Stati Uniti legittimano, i media parlano di “complessità”. Ma la complessità qui ha il volto dei bambini che non dormono a Jaba’ e delle famiglie che marciano verso sud a Gaza. La complessità è questa: vivere sapendo che il tuo corpo, la tua casa, il tuo villaggio sono considerati sacrificabili.
La storia giudicherà.
Intanto bruciano ogni cosa, comprese migliaia di vite. 
---