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La realtà è una: la guerra esiste e fa da regolatore finale dei conflitti

di Marcello Siragusa - 05/03/2022

La realtà è una: la guerra esiste e fa da regolatore finale dei conflitti

Fonte: Marcello Siragusa

La realtà è una: la guerra esiste e fa da regolatore finale dei conflitti.
L’europeo medio vive una dimensione post storica dove il tempo non esiste più. Non esiste più il passato e il futuro è un presente eterno.
Parlate coi vostri amici, io l’ho fatto, e la cosa che ne è uscita è che questa dimensione è oramai insita in quasi tutti.
È parte delle persone, sta dentro di loro, di quasi tutti loro, e ben pochi se ne sono liberati.
Come si fa a capirlo? Semplice: basta vedere come quasi tutti hanno pensato che la “pandemia” fosse un incidente di percorso per poi tornare all’eterno presente della normalità.
Quando facevo notare loro che la storia si era messa in moto (e a grande velocità) e che la “pandemia” non era solo una secchiata di merda che cade da un balcone, che basta quindi spostarsi di un passo di lato e al massimo arriva qualche schizzo e poi a posto come prima, mi prendevano per pazzo.
Ed eccola là la storia: con tutto il suo impatto magnificente e la sua pomposità.
Alla “pandemia” è seguita la guerra, come era ovvio (almeno per me e qualcun altro che già ragionavamo come la “pandemia” era anche una fase preparatoria alla guerra), e alla guerra seguirà la nascita di un blocco nuovo che si trascinerà altri pezzi di mondo in un turbine globale che ridisegnerà completamente le nostre vite.
È finito l’universo deflazionato di un’Europa stanca che mastica sè stessa.
Fine anche alla fantasia ridicola del mondo delle libertà.
Inflazione, disoccupazione e disciplinamento saranno le nuove colonne portanti del mondo che verrà.
L’assaggio l’abbiamo avuto con la “pandemia”: lockdown come i razionamenti energetici a venire, green pass come possibile strumento di controllo della fedeltà atlantica, vaccini a durata limitata come nelle guerre batteriologiche del futuro, controllo capillare dei media e dei social con conseguente silenziamento di ogni voce vagamente sospetta.
D’altronde dicevo tempo fa: la pandemia finiva quando finiva di essere trasmessa in tv. Così è andata: oggi 200 e fischia morti, eppure zero trasmissioni e quindi pochissima gente negli hub vaccinali. Flop di Novavax (e pure degli altri).
Però l’impianto del green pass rimane, anche se oramai tutti i sani di mente sanno chiaramente (e se lo dicono a bassa voce, non si sa mai) che non serve ad un cazzo e non è servito manco prima.
Lo strumento rimane, lì in bella posta, a ricordarci che da ora in poi il tuo grado di libertà corrisponderà al tuo livello di passività.
Dicevamo che la guerra c’è e serve a dirimere lo scontro quando il perimetro politico non riesce più a contenerla.
L’Europeo post storico non può neanche concepire questo ragionamento perché nella post-storia non esistono cause pregresse che scaturiscono conseguenze mostruose, e non esiste neanche una visione strategica del domani, perché il domani non esiste.
E invece sorpresa, i popoli attorno a noi raccolgono il passato, lo custodiscono nel presente e lo usano per proiettarsi nel futuro.
Ahi noi che abbiamo a rappresentarci un Di Maio che dice di un presidente di una potenza nucleare di dimensione continentale che è peggio di una bestia. Lui pensa che quello che ha detto termina nel momento stesso in cui finisce di parlare. Che non avrà conseguenze future. D’altronde nel presente eterno, se mi sloggo da Discord è finita così. L’interlocutore sta a mille kilometri di distanza, rosica un pochino e poi domani si riparte a trollare un altro utente.
Non esistono conseguenze nel presente eterno. E lo spazio è uno spazio digitale dove la mia incolumità non è mai a repentaglio seriamente. Non si muore sul Meta.
Spazio e tempo, due aspetti cruciali che l’occidentale ha completamente trasfigurato e che si affrontano in Ucraina.
I Russi non rilasciano video. Manco un soldato con una gopro in testa. Gli Ucraini vivono di fake news e produzioni cinematografiche continue. Tweet, post, video, Photoshop e chi più ne ha più ne metta.
E l’europeo ci sguazza in questo magma, lo adora, perché per lui alla dimensione reale deve essere sempre sovrapposta una dimensione aumentata che fa da filtro polarizzante. Uno Xanax virtuale che a ciclo continuo gli confermi i bias cognitivi.
D’altronde sono due anni che si va avanti così: trasfigurando la realtà per mantenere intatta una psiche collettiva oramai ridotta a spezzatino.
Non c’è tanta differenza d’altronde dalla bimba malata gravemente portata via in aereo (o elicottero, ora mi sfugge) e spacciata per gravissima novax, dal filmato della metro di Roma spacciato per i bombardamenti di Kiev.
Gli alti lai che sembrano salire come fuliggine dai comignoli delle case ogni sera all’apertura dei telegiornali non sono altro che il lamento di un Occidente non più in grado di comprendere che fuori dal “noi” esiste un “loro” che la guerra la concepisce eccome come esercizio dell’arbitro umano.
Non sono tanto i pelosi piagnistei a geometria variabile per i bambini ucraini che scuotono le anime belle dell’Europa, quanto l’idea che la guerra non è più solo un elemento scenico dell’esotismo teletrasmesso all’ora di cena, bensì una possibilità concreta.
E l’occidentale, che è oramai essere quasi completamente emozionale e basta, vive come un sogno acquerellato questa opzione, senza capirla a fondo in nessuno dei suoi aspetti razionali (e manco quelli profondi, perché le emozioni “galleggiano” sugli strati sottostanti dove risiedono gli spiriti dei popoli), ma cogliendo solo un indistinto senso di smarrimento atavico.
Il risveglio sarà brusco e non sarà per tutti. Perderemo pezzi consistenti per strada. Alcuni proprio fisicamente. Si dissolveranno senza avere capito nulla, con una espressione di incredulità incisa sul volto.
E toccherà a chi rimarrà in piedi (sulle rovine?) prendere la fiaccola del vero spirito europeo, deturpata da anni di occidentalismo che con l’Europa non c’entra nulla, e, depurata la sua fiamma, posizionarla sull’altare della storia che verrà.
Sarà compito arduo e non necessariamente arriverà a compimento. In quel caso di noi rimarrà una ballata come di un’Atlantide sepolta per sempre.