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La rincorsa verso il rischio zero

di Sara Gandini - 22/12/2021

La rincorsa verso il rischio zero

Fonte: Comune info

“La guerra è una delle poche attività umane a cui la gente non guarda in modo realistico; ovvero valutandone i costi o i risultati. In una guerra senza quartiere, le risorse vengono spese senza alcuna prudenza. La guerra è pura emergenza, in cui nessun sacrificio sarà considerato eccessivo” [Susan Sontag1]
Io ho avuto paura, durante tutta la pandemia, e ho tuttora paura, ogni volta che scrivo. Non ho paura del virus ma dell’aggressività delle persone. Ho paura di chi si sente in guerra e ti mette dall’altra parte della barricata. Di chi ha fretta di decidere e non ha tempo di discutere. C’è a rischio la vita, dicono. E così tutto vale.
Fin dal primo istante sono intervenuta come epidemiologa proprio per placare le paure, e sono stata attaccata pubblicamente con violenza, anche da persone amiche, anche da femministe.
Quando ho preso posizione contro i lockdown, per la riapertura delle scuole, e contro le vaccinazioni di massa ai bambini, sono intervenuta criticando le decisioni prese perché non si basavano sulle evidenze scientifiche e ho lottato tutto il tempo per mostrare che, rimanendo aggrappati al metodo scientifico, si poteva trovare una strategia corretta che tenesse conto sia dei rischi del Covid-19 che dei rischi delle misure di contenimento del virus. Sono intervenuta sui social, praticamente ogni giorno, goccia a goccia (nome della pag. fb/rubrica dedicata all’emergenza Covid e curata da un gruppo interdisciplinare e indipendente, ndr), per cercare di tranquillizzare, attraverso dati ricavati con rigoroso metodo scientifico, quando i quotidiani spaventavano le persone con narrazioni catastrofiche.
La pandemia ha creato un clima di tensione e di uso indiscriminato e manipolatorio dell’informazione, rendendo l’atmosfera del dibattito irrespirabile. Gli atteggiamenti peggiori vengono proprio dalla cosiddetta sinistra che quando va bene non prende posizione, quando va male si muove per schieramenti banalizzando le posizioni altrui e polarizzando la discussione. Se la cattiveria che circola sui social è praticata senza misura, quella dei giornalisti o dei colleghi di scienza non è da meno, condita spesso di invidia e misoginia.
Alcune femministe hanno invece attaccato a livello personale dandomi della narcisista – secondo loro desideravo inconsciamente ammazzare gli anziani, facevo gli interessi di Confindustria, non ero una scienziata seria ed ero corrotta. Gli attacchi sono venuti anche da donne con cui ero in relazione da anni: donne che non hanno avuto fiducia né nei dati che indicavo né nel ragionamento critico che andavo sviluppando come epidemiologa, rispetto alla narrazione mainstream. Ed ecco che alla distanza fisica richiesta dalla pandemia, già faticosa, si aggiunge la distanza affettiva e simbolica, causata dalla recisione di legami costruiti nel tempo.
Ho provato spavento nel vedermi rappresentata in modi in cui non mi riconoscevo. Mi sentivo sotto un fuoco incrociato, e non capivo cosa stesse capitando, se ero io che non riuscivo a spiegarmi e perché facessero di tutto per screditarmi. Per fortuna lo scambio praticamente quotidiano con altre femministe, come Ilaria Durigon, Tristana Dini e Maria Cristina Mecenero, mi ha permesso di sentirmi meno disorientata rispetto a quello che stava capitando.
Ho avuto paura e ho paura, tanto da passare svariate notti in bianco, ma non mollo. Per senso di giustizia e di verità, perché ho una grande passione politica, e soprattutto per senso di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni.
Fin dal primo istante sono intervenuta come epidemiologa e come femminista, per allargare il quadro, per tenere la complessità della situazione e placare le angosce.
Un esempio concreto: oramai tutti sanno che i bambini si ammalano molto raramente di Covid-19 e generalmente con sintomi molto blandi, eppure continua la narrazione dei bambini come di diffusori del virus e delle scuole come luoghi pericolosi. Così l’informazione mainstream spaventa i genitori nominando malattie terribili e sconosciute con nomi esotici come Kawasaki e MIS-C, pur di convincerli a far vaccinare figli e figlie, sebbene la comunità scientifica sia divisa e sia ancora in corso il dibattito rispetto alla necessità della vaccinazione pediatrica di massa (l’articolo è stato scritto prima dell’approvazione di Ema e Aifa, ma sul tema l’autrice resta oggi critica, ndr).
La strumentalizzazione delle paure, con il relativo ricatto – se non ti vaccini non puoi andare a scuola in presenza, non puoi andare in palestra, non puoi visitare un museo…-, è una delle posizioni politiche più cupa e pervasiva determinatasi durante la pandemia, anche perché si rinnova continuamente.
Quando a giugno 2020, iniziando a studiare i rischi nelle scuole degli altri paesi, ho mostrato con altri colleghi che i dati erano confortanti, la critica era che l’Italia fosse diversa e non si potevano fare confronti. Così nell’autunno 2020 abbiamo fatto di tutto per ottenere dati sulle scuole italiane che fortunatamente sono risultati in accordo con gli altri paesi, ma l’attacco è arrivato comunque: i dati non erano affidabili e lo studio non avrebbe mai passato la revisione scientifica necessaria. Quando a gennaio 2021, infine, il lavoro è stato pubblicato su una rivista scientifica, l’accusa è stata che i dati, essendo ritenuti vecchi, erano diventati inutili: la variante inglese cambiava tutto e rendeva i bambini più contagiosi. Quando in primavera 2021 abbiamo spiegato che l’apparente aumento del contagio tra i giovani era dovuto ad un aumento del numero di test realizzati nelle scuole, che anche con la variante inglese i giovani contagiano la metà degli adulti, e le scuole quindi dovevano riaprire, molti ci hanno dato degli assassini. Quando le scuole hanno finalmente riaperto, è stato anche grazie ai ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato che abbiamo vinto, e nessuna tragedia è accaduta, hanno rinnovato il pericolo affermando che la nuova variante delta colpirebbe proprio i giovani. Ad eco il CDC, una delle più importanti istituzioni scientifiche americane, ha affermato: “la guerra è cambiata”.
Di nuovo la metafora della guerra. Eppure OMS, UNICEF e UNESCO, sul sito dell’OMS, hanno mandato un allarme chiaro sui rischi della chiusura delle scuole, citando come riferimento, tra i tanti studi pubblicati in Italia e all’estero, proprio il nostro studio sulle scuole in Italia. Per questo sono d’accordo con Mike Haynes, professore di politica internazionale, quando afferma che la buona politica e la buona scienza si alimentano a vicenda e non sono distinguibili, specialmente quando parliamo di salute pubblica ed epidemiologia. Haynes spiega l’importanza di prendere decisioni che si basino sulle evidenze scientifiche perché le impressioni soggettive non bastano, possono essere fallaci, e c’è bisogno di tenere insieme i livelli di evidenza scientifica e studiare le contraddizioni che derivano dal confronto dei dati dai vari punti di vista per farne una occasione di crescita consapevole e razionale.2 È un testo interessante in cui mi sono ritrovata in quanto come lui mi sento parte del “meraviglioso e strano mondo estremamente di nicchia degli scettici del lockdown di sinistra”.
Ad aprile 2021 le scuole si sono confermate uno dei luoghi più sicuri e allora non erano ancora stati somministrati i vaccini, che si sono rivelati ampiamente efficaci nel ridurre il rischio di malattia. Ma niente basta mai in questo quadro di azione e reazione istituzionale. Ora abbiamo un 90 per cento di insegnanti vaccinati ma ci sono ancora politici e anche scienziati, che oltre alla ampia adesione ai vaccini chiedono pure distanziamento, mascherine, quarantene, screening… una infinita rincorsa verso il rischio zero, soprattutto nelle scuole. Condizioni che potrebbero essere prolungate per anni, se non per sempre.
Nella discussione comune non entra invece la riflessione su cosa possa voler dire per le nuove generazioni crescere in un mondo in cui l’incontro con l’altro da sé è sempre potenzialmente pericoloso. Più del rischio di contagi è questo che mi spaventa: che mondo sto lasciando a mia figlia poco più che adolescente? Ma in generale, che mondo è quello in cui l’eros di fatto viene bandito perché il corpo dell’altro è sempre potenzialmente contagioso? Stiamo dando spazio alla paura della sessualità, perché l’igiene e la costante attenzione ai pericoli delle malattie sembrano diventare i perni attorno ai quali riorganizzare l’ordine relazionale.
Per orientarmi di fronte a questo nuovo immaginario e simbolico mi sono ancorata al metodo scientifico e alla pratica politica che ho imparato con il femminismo. Dare importanza alla verità soggettiva, alla necessità di tenere sempre la complessità, e allo stesso tempo non rinunciare al rigore del metodo scientifico. Stare in queste tensioni mi ha aiutata a cercare un equilibro, nonostante le difficoltà, e a non cedere alle tentazioni di drammatizzare la situazione strumentalmente. Penso ad esempio che il Green Pass sia una misura inaccettabile e controproducente, che assume il valore di un ricatto sociale, e non perché i rischi da vaccino siano così preoccupanti o il vaccino non sia efficace. Il Green Pass è un altro atto in cui si concretizza la logica della paura e del controllo. La paura non aiuta a pensare, non aiuta le persone in difficoltà e non aiuta a trovare le parole che sappiano fare le mediazioni necessarie, perché crea contrapposizioni e mette le persone sulla difensiva. La paura indebolisce.
Quindi l’obiettivo per me è sempre stato fornire informazioni corrette e farlo senza spaventare, ancorandomi alla cosiddetta “evidence based medicine”. Non sono d’accordo quindi con chi mi dice “siamo in guerra e quindi ogni mezzo è ammesso”. Io non accetto la logica della guerra.
Voglio ricordare Susan Sontang che invita a riflettere sul fatto che la metafora della guerra anestetizza e ci rende ubbidienti, perché in guerra devi sopravvivere e quindi devi usare tutte le energie per difenderti dai nemici. Le politiche strategico-militari semplificano ogni posizione riducendo tutto alla dicotomia amico/nemico. Se la lotta contro il Covid-19 è intesa al pari di una guerra, i governi sono legittimati a proteggere i cittadini nascondendo loro notizie scomode o il fatto di non avere certezze sulle scelte migliori da prendere. Il diritto all’informazione, la necessità di tenere senso critico e trasparenza diventano aspetti secondari rispetto all’obiettivo che è sconfiggere il nemico. E così come in guerra, bisogna scovare e consegnare i traditori e diventare delatori.
È quindi fondamentale cambiare la narrazione della pandemia. Sars-cov2 è un virus, non è un nemico invisibile che può colpire ovunque e chiunque allo stesso modo. Chi cerca di tenere senso critico sulla gestione della pandemia non è un negazionista e chi propone il Green Pass non è un nazista (lo dico, sebbene io non sia d’accordo con questa misura, ma altro è stravolgere l’identità di chi ne è a favore). Seguendo la logica della guerra, dovrei pensare che l’unica possibilità di far politica sia la guerriglia sui monti o in clandestinità, considerando che qualsiasi posizione non allineata con la narrazione mainstream è bandita? La mia scelta è un’altra: voglio continuare ad agire a testa alta, con la massima correttezza possibile, qui e ora, senza diventare un’eroina che mette a rischio il proprio lavoro e senza rinunciare a pensare e a vivere.
Per riuscire a farlo bisogna poter usare senso critico, senza affidarsi alla scienza ciecamente, dando valore sempre al dubbio, pretendendo trasparenza e condivisione dei dati. L’impossibilità di distinguere la scienza dalla politica fa emergere il fatto che la scienza non è neutra e che le misure di salute pubblica proposte rispecchiano necessariamente lo sguardo e la visione del mondo dello scienziato, della scienziata.
Sicuramente la mia formazione politica come femminista ha influenzato il modo con cui leggere la pandemia: la mia lettura della pandemia ha messo al centro della riflessione il fatto che le misure come il lockdown o la didattica a distanza abbiano ricadute differenti su uomini o donne e nelle classi sociali. Inoltre, mi spaventano molto le derive autoritarie e paternaliste che portano a imporre dall’alto misure insensate perché i cittadini non capirebbero e non sarebbero capaci di agire responsabilmente, evitando comportamenti a rischio: anche questo ha a che fare con la mia storia e la storia di molte altre donne.
Per me e per quanti non sto incontrando che sono in una ricerca altra di ciò che ci sta capitando, si tratta di fare spazio alla verità delle cose, ai dati di realtà, di usare positivamente il timore e l’ansia per essere precisi e puntuali nel raccogliere le evidenze e comprendere gli andamenti degli eventi, senza proiettare le proprie ombre. È una sfida non da poco ma aiuta a lavorare senza banalizzazioni, schieramenti da stadio, sottraendo terreno a tutto il circo di aggressioni in stile social che conosciamo. E, in fin dei conti, a non soccombere alla paura.

Note

1 https://www.internazionale.it/opinione/daniele-cassandro/2020/03/22/coronavirus-metafore-guerra